La sensazione di colore è frutto di una lunga evoluzione e la sua modellizzazione matematica, completa o parziale, rimane ancora un problema aperto. Edoardo Provenzi, professore all’Université de Bordeaux, ci guida in un sorprendente percorso, lungo più di tre secoli, ricostruendo le tappe fondamentali dello studio matematico del colore, terminando con un racconto del suo particolare cammino scientifico. Una serie in sei puntate curata da Barbara Nelli.
Leggendo il titolo di questa serie di articoli immagino che, almeno per qualche lettore, ci sia un sentimento di sorpresa, dopotutto è naturale porsi la domanda: “cosa ha a che fare la matematica col colore?”. Devo ammettere che anche per me è stato sorprendente scoprire non tanto che la matematica è usata per studiare il colore (dopotutto, la matematica è usata ovunque…), quanto la varietà e la complessità delle tecniche matematiche che sono richieste per modellizzare correttamente come gli esseri umani percepiscono i colori. Di fatto, questa scoperta l’ho fatta mentre svolgevo una parte del mio dottorato in matematica negli Stati Uniti, quando studiavo la…gravità quantistica…ovvero la cosiddetta “teoria ultima”, il tentativo di riconciliare la relatività generale di Einstein, che descrive la gravità generata da distribuzioni di massa e/o energia attraverso la curvatura della geometria dello spazio-tempo, e la meccanica quantistica, che invece rappresenta il comportamento delle particelle elementari a livello ultramicroscopico. Se avrete un po’ di pazienza, saprete alla fine di questa serie come è possibile che molta della matematica usata nella gravità quantistica costituisca anche una parte essenziale dello studio della percezione dei colori da parte degli esseri umani. Ci arriveremo dopo una motivazione iniziale e attraverso un percorso storico cronologico, nel quale vedremo quanti scienziati straordinari si sono interessati a questo problema affascinante.
Una motivazione iniziale: “Perché è interessante studiare la percezione del colore”
La sensazione di colore che gli esseri umani, ed altri animali, posseggono è frutto di una lunga evoluzione. A parte il lato estetico, comunque importante, il colore per noi è soprattutto informazione e, per di più, un tipo d’informazione molto stabile.
Per spiegare questa affermazione non c’è niente di meglio di un semplice esempio della vita di tutti i giorni: immaginiamo di andare al mercato e di trovarci di fronte a dei peperoni della stessa forma e dimensione, è chiaro che sarebbe impossibile distinguerli senza stabilire quali sono rossi, arancioni, gialli o verdi.
La stabilità dell’informazione è qualcosa di un po’ più complesso, ma, fortunatamente, possiamo aiutarci ancora con un esempio pratico: è capitato a tutti di fotografare una persona o un oggetto in un ambiente chiuso e di accorgersi, con un misto di stupore e rammarico, che i colori della fotografia non corrispondevano a quelli che si stavano percependo in quel momento. La differenza è particolarmente flagrante nella rappresentazione del bianco: un foglio di carta illuminato da una lampada riflette ad una fotocamera il “colore” della luce emessa dalla lampada ed una fotocamera mostrerà questo colore, laddove per noi il foglio sarà percepito come bianco, indipendentemente dall’illuminazione (se non arriviamo ad illuminanti estremi, come i laser o certi neon fluorescenti).
La spiegazione di questo fatto è che il sistema visivo umano ha la capacità di adattarsi automaticamente, ed in modo molto efficiente, a diverse condizioni di illuminazione mantenendo quasi inalterata la propria percezione dei colori: un cappotto che ci appare rosso in una bella giornata di sole continua ad apparirci come tale anche quando una nuvola oscura il sole o quando lo riponiamo sull’appendiabiti all’interno della nostra casa. Se prendessimo delle foto nelle tre situazioni appena descritte, senza specificare alla nostra fotocamera il tipo di illuminazione presente, avremmo tre rappresentazioni cromatiche ben distinte del nostro cappotto.
Questo è tutt’altro che un problema banale: se i sistemi visivi artificiali potessero beneficiare della “costanza cromatica” del sistema visuale umano, ovvero la capacità di percepire i colori in modo stabile rispetto a variazioni di illuminazione, avrebbero la possibilità di riconoscere o di seguire nello spazio un qualsiasi oggetto a partire dalla sola informazione cromatica, o comunque aiutandosi fortemente con quest’ultima.
Queste considerazioni, insieme agli sforzi tecnologici di portare sugli schermi dei nostri telefoni o televisori immagini e video con colori sempre più realistici, spiegano come mai la scienza del colore sia più che mai viva ed occupi molti ricercatori in tutto il mondo. Come vedremo negli articoli che seguiranno, la ricerca sul colore ha interessato moltissimi scienziati, tra i quali possiamo annoverare due tra i più grandi di tutti i tempi: Isaac Newton e James Clerk Maxwell. Anche se di seguito tratteremo soprattutto il lavoro di fisici, matematici e fisiologi, non possiamo non citare anche il poeta Johann Wolfgang Goethe e i filosofi Arthur Schopenhauer, Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein, tutti quanti affascinati dalla comprensione del colore.
Edoardo Provenzi
#Fine prima parte
L’articolo, sin dalla copertina, risulta accattivante e misterioso: perché il colore nero, con qualche pennellata di colori sempre scuri? Perché il nero è il colore fondamentale o perché è il colore con cui immaginiamo l’universo? Dal nero può emergere più facilmente un bagliore che può farci scorgere un colore; allora gli esseri umani percepiscono il colore per differenza con il nero? La nostra percezione del colore cambia con la latitudine/longitudine? Ricordo di una vacanza in Grecia, percepivo una luminosità diversa più intensa nei colori degli oggetti, ma anche del cielo; solo sensazione o esiste un fondo di verità? Le foto del cappotto rosso, in tre momenti temporali differenti, non dovrebbero restituire lo stesso colore? eppure guardandole affermiamo che il cappotto è rosso, ma non riusciamo a distinguere le differenti tonalità di rosso. Potremmo affermare che l’osservazione del colore del cappotto sia dovuta più ad un fatto di “memorizzazione del colore” piuttosto che ad una analisi visiva corretta, che ci consentirebbe di cogliere le differenze del colore? Non c’è un netto contrasto, come nella copertina con il nero. Complimenti agli estensori dell’articolo, ricerca originale e coinvolgente. Grazie.