Pitagora, da non confondersi con Senofonte, è nato a Samo tra il 580 e il 570 a.C.. Un po’ vanesio, il grande Pitagora non volle mai rivelare con precisione l’anno della sua nascita, e si faceva disporre sulla torta di compleanno un intervallo di candeline. Un giorno, uno dei suoi studenti pensò di fargli cosa gradita proponendogli un’equazione che rivelasse con esattezza la sua data di nascita: Pitagora sorrise e lo seppellì in un campo di fave.
Matematico, taumaturgo, astronomo, scienziato, politico, sale e pepe q.b, Pitagora fu un genio eclettico, capace di fondare da solo a Crotone una delle più importanti scuole di pensiero dell’umanità, che fu chiamata Scuola pitagorica (da non confondere con la Scuola senofontiana).
Nell’ambito di questa scuola, si svilupparono molte conoscenze, in particolare quelle matematiche e applicazioni tra le quali il celeberrimo “Teorema di Pitagora”. Il teorema per cui è famoso era in realtà già noto ai Babilonesi e, infatti, prima che lo enunciasse, molti babilonesi si chiedevano chi diavolo fosse questo Pitagora.
Questo teorema afferma che il quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti fino a esaurimento scorte. Prima di allora, in pochi avevano pensato a costruire quadrati sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo: sui lati di un rettangolo sì, sui lati di un trapezio sì, sui lati di un micetto sì, ma sull’ipotenusa fu una grossa novità.
La vita di Pitagora è avvolta nel mistero, di lui sappiamo pochissimo e tante cose sono complimenti messi in giro dalla mamma. In “Vite di Pitagora”, composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del neopitagorismo, il filosofo viene presentato come figlio del dio Apollo e cugino di terzo grado di Sansone. Si giunse a considerarlo profeta, guaritore, mago e perfino idraulico; alcuni arrivarono ad attribuirgli miracoli e, nel caso di una donna, tre figli.
Da Samo, Pitagora si trasferì nella Magna Grecia. A Crotone, all’incirca nel 530 a.C., fondò la Scuola pitagorica che ebbe subito numerosi studenti, i cosiddetti “pitagorici”, soprattutto perché non c’era test di ingresso e numero chiuso. I suoi viaggi in Egitto, narrati dalla tradizione dossografica, non vi sono fonti certe ed essi sono ritenuti in parte leggendari, anche se si sa quasi con sicurezza che la fama di Pitagora giunse nel paese delle Piramidi e a lui dedicarono un geroglifico (quello che significa “epperò”).
Si narra che un giorno, passando davanti all’officina di un fabbro, Pitagora sarebbe rimasto colpito dal modo in cui i martelli dell’artigiano, battendo il ferro sull’incudine, riuscivano a produrre echi in accordo tra loro. E soprattutto fu sorpreso della corrispondenza tra rapporti numerici semplici e consonanze sonore. Ma solo quando il fabbro lo colpì sulla sommità del capo, perché disturbato dal suo continuo fissare, Pitagora riuscì a inventare la scala musicale.
Quasi sicuramente Pitagora non lasciò nulla di scritto, perché era profondamente insoddisfatto della sua grafia e le opere “Tre libri” e “Versi aurei” vanno ascritte ad autori sconosciuti, che li scrissero in epoca cristiana o di poco antecedente, tra le cinque e le sei del pomeriggio. Sulla sua morte, alcuni autori affermano che i suoi amici, nell’incendio della casa dove si trovavano riuniti, gettatisi nelle fiamme aprirono una via di uscita al maestro, formando con i loro corpi una sorta di ponte sul fuoco. Scampato dall’incendio Pitagora, per il dolore di essere stato privato dei suoi amici, si diede la morte 42 anni dopo.
Un’altra versione della morte di Pitagora è collegata all’idiosincrasia del filosofo e della sua Scuola per le fave, che i pitagorici si guardavano bene dal mangiare, evitando anche il semplice contatto. Secondo la leggenda, Pitagora, era inseguito dagli scherani di Cilone di Crotone – ai quali poco prima aveva cercato di vendere una fontana con un quadrato costruito sopra – ma, raggiunto, preferì farsi uccidere piuttosto che mettersi in salvo in un campo di fave. Ma in realtà Pitagora non fu scontento di morire, dato che credeva nella metempsicosi, secondo cui l’anima di qualcuno che muore si può reincarnare in un uomo, un animale o in una bibita, se fa caldo.
Di lui, scrisse Bertrand Russell: «Non so di nessun altro uomo che abbia avuto altrettanta influenza nella sfera del pensiero. […] Ciò che appare come il platonismo, si trova già, analizzandolo, nell’essenza del pitagorismo. L’intera concezione di un mondo eterno rivelato all’intelletto, ma non ai sensi, deriva da lui. Se non fosse per lui, i Cristiani non avrebbero pensato a Cristo come al Verbo; se non fosse per lui i teologi non avrebbero cercato prove logiche di Dio e dell’immortalità. E io non avrei scritto questo magnifico pensiero»
Stefano Pisani
Fa schifo!!!