La matematica non è solo una disciplina scientifica, ma anche un modo di guardare in modo diverso quello che è accanto a noi… compresa la matematica stessa, se serve. Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come lui vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Il tema di oggi è la Verità Matematica Eterna nelle indicazioni nazionali per i programmi scolastici.
Se non siete abbonati a Repubblica, vi siete probabilmente persi il batti e ribatti tra Chiara Valerio e Vincenzo Vespri sulle Nuove Indicazioni Nazionali 2025 per scuola infanzia e primaria promulgate dal Ministro dell’Innovazione e del Merito, scusate le maiuscole. Nel caso voleste leggerlo, l’articolo originale di Valerio è questo, mentre risposta e controrisposta si trovano qui. Prima di proseguire, però, devo fare una precisazione sugli attori in gioco: Valerio probabilmente la conoscete come scrittrice e forse sapete anche che ha un dottorato in matematica: Vespri, anch’egli matematico, è invece il Presidente delle commissioni STEM per la revisione delle Indicazioni nazionali. Aggiungo che Valerio non l’ho mai incontrata, Vespri sì: ha qualche anno più di me ed era dottorando in Normale quando io ero studente. Non ho però a che fare con nessuno dei due, quindi niente conflitto di interessi.
Perché riscrivere le indicazioni nazionali? Immagino perché bisogna mettere il proprio biglietto da visita sulla scuola. Devo dire che è un peccato, almeno per quanto riguarda la matematica: ho letto le indicazioni 2012 e sono rimasto davvero stupito favorevolmente da frasi come
In matematica, come nelle altre discipline scientifiche, è elemento fondamentale il laboratorio, inteso sia come luogo fisico sia come momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati, negozia e costruisce significati, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze personali e collettive.
Non so quanti “laboratori matematici” ci siano nelle scuole italiane, ma sono sempre pochi rispetto a quelli che ci vorrebbero. La matematica non si può davvero capire se non ci si sporca le mani. Al limite quello che spiace è che le indicazioni di solito non siano state messe in pratica: ma mi sa che quella sia la parte davvero difficile, per le resistenze parallele di insegnanti e allievi.
Sono poi andato a leggere la bozza di indicazioni 2025 – o più correttamente i “Materiali per il dibattito pubblico” – e mi sono chiesto se per caso fosse stato usato un LLM per scrivere frasi di per sé sensate ma senza troppi agganci con la realtà. Per esempio sono d’accordo che «è necessaria l’introduzione dell’insegnamento dell’Informatica nella scuola – già a partire dalla primaria», ma non certo perché «fornisce i concetti ed i linguaggi indispensabili per comprendere appieno e per partecipare attivamente alla società digitale.» È come se cinquant’anni fa qualcuno avesse scritto che è necessaria l’introduzione all’insegnamento della meccanica già a partire dalle elementari, perché fornisce i concetti ed i linguaggi indispensabili per l’uso delle automobili.» Suvvia, l’informatica è importante, permette di sviluppare il pensiero logico con il vantaggio rispetto al latino che se prendi un interprete Python ti dice subito se hai sbagliato la sintassi. (Per la semantica bisogna ancora lavorare, ma mi ricordo certe mie versioni di latino che prendevano un significato tutto loro: quindi non è che si perda molto passando all’informatica). Non che sia tutto da buttare: ci sono principi condivisibili, come
«lungi dall’essere meramente un bagaglio di nozioni astratte, la Matematica deve favorire lo sviluppo di competenze trasversali quali la capacità di comunicare informazioni in modo appropriato, intuire e immaginare, porre e risolvere problemi, concepire e costruire modelli di situazioni reali. L’obiettivo primario è quello di favorire lo sviluppo di un pensiero matematico critico e creativo, utile per interpretare, studiare e analizzare fenomeni della realtà.»
ma ho il sospetto che siamo comunque messi male. Almeno io non parlerei di competenze trasversali in quel caso, ma magari sono io che penso male. E il “laboratorio” è praticamente scomparso: lo si trova solo come ultimo punto del box Suggerimenti metodologico-didattici per i docenti, per la serie “sì, se proprio volete farlo e avete tempo e voglia ve lo concediamo”.
Torniamo ora ai due protagonisti: dal mio punto di vista hanno torto entrambi, o se volete vedere il bicchiere mezzo pieno hanno entrambi ragione, ma solo in parte. Cominciamo con la famigerata frase sul teorema di Pitagora. Nella bozza troviamo scritto che
La matematica è un linguaggio formale capace di distinguere il vero dal falso. Il teorema di Pitagora, ad esempio, era vero 2500 anni fa, è vero oggi e lo sarà per l’eternità.
Mi sarei aspettato che Valerio attaccasse sul concetto di matematica come “linguaggio formale”, concezione che direi possiamo fare risalire a Peano ma ormai è superata: il formalismo è oggi un mezzo più che un fine. Invece si è dedicata al teorema di Pitagora, appunto. Il suo assunto è questo:
Che una cosa sia vera “sempre” non significa, intanto, che sia vera “dovunque”. Il teorema di Pitagora, per esempio, non vale per chi progetta rotte oceaniche o stellari (pur restando ferma l’universalità del linguaggio matematico, assiomi, principi, ipotesi).
A questa affermazione Vespri replica così:
In matematica, accettati alcuni assiomi non verificabili ma assunti come veri, ciò che ne consegue è una verità eterna. […] Per quanto riguarda, nello specifico, l’esempio legato al teorema di Pitagora, forse non si tiene conto del fatto che chi progetta rotte oceaniche non utilizza la geometria piana e gli assiomi ad essa collegati, in particolare il quinto postulato relativo alle rette parallele. Assumendo postulati diversi, si può sviluppare una matematica differente, con conseguenze diverse.
Entrambe le affermazioni sono vere, anche se non so quanto la cosa sia chiara ai lettori di Repubblica. Ma noi stiamo parlando delle bozze delle indicazioni nazionali, vi ricordo. E la mia domanda è “ma perché Vespri non ha fatto scrivere “nella geometria euclidea il teorema di Pitagora, ad esempio, era vero 2500 anni fa, è vero oggi e lo sarà per l’eternità”? Il punto è proprio questo. Io vorrei che gli studenti vedessero la dimostrazione del teorema di Pitagora e poi fosse loro messo davanti un triangolo trirettangolo su una sfera. A questo punto gli si può chiedere “perché non vale il teorema di Pitagora?” e si può fare vedere come sia importante definire gli assiomi che ci servono; credo che un test del genere sia molto più utile, almeno nella scuola secondaria di primo grado, di un’introduzione standard alle geometrie non euclidee. Insomma Vespri ha peccato di omissione, ma anche Valerio non ha spiegato il perché il teorema non vale in altri spazi.
Peggio mi pare però l’altro punto di Valerio:
«la matematica non insegna a distinguere il vero dal falso. Questa è una idea consolatoria che nasce e fiorisce in un Paese dove le scienze esatte non sono mai state considerate il corredo di un cittadino, un intellettuale o un politico. La matematica non insegna la verità, ma la verificabilità. […] La possibilità è accettare che le matematiche, e le scienze tutte che utilizzano le matematiche, rappresentano non la verità assoluta ma la verificabilità assoluta, la ripetizione di un risultato che dà senso di realtà. Il teorema di Pitagora non è vero: è verificabile e lo sarà sempre e per sempre.»
Non ho capito bene la prima parte del suo ragionamento. È purtroppo vero che nell’ultimo secolo e mezzo le scienze esatte non sono mai state considerate il corredo di un cittadino, un intellettuale o un politico; ma se l’“idea consolatoria” è quella dei matematici il testo mi pare poco chiaro. D’altra parte io direi che spesso la matematica (rectius: la logica) permette di stabilire se una proposizione è vera o falsa, ma soprattutto non parlerei affatto di verificabilità, e questo per una ragione semantica: per me la verificabilità è un procedimento del tutto meccanico, e questo è davvero riduttivo. Molto meglio sarebbe stato parlare di deducibilità della matematica (a partire da un insieme di assiomi, per l’appunto); e qui tra l’altro avrebbe avuto senso l’affermare che la deducibilità è per sempre. (Tra l’altro le scienze che usano la matematica non godono di questa deducibilità, e anche la verificabilità che nel loro caso è empirica non è detto che sia assoluta.)
Gli stessi problemi di definizioni si vedono nella replica di Valerio, dove afferma che x² = −1 è un’«espressione che, sa meglio di me, è stata falsa per la maggior parte della storia umana» per poi diventare vera una volta definiti i numeri complessi. Qui “vero” e “falso” non sono secondo me i termini corretti: io parlerei di “impossibile” e “possibile”. O forse pensate che x² = 1 è vera? Lo è solo se x è uguale a 1 oppure −1, mentre è falsa per tutti gli altri valori di x. Tutt’al più possiamo dire che x² = −1 è stata sempre falsa per la maggior parte della storia umana, per poi diventare vera in alcuni casi. Anche qui stiamo però uscendo dal seminato; o meglio nelle indicazioni mi piacerebbe che fosse messo l’accento sulle possibilità e non su verità o falsità. In compenso mi accodo al pensiero maligno di Valerio quando dice
«tutto ciò che nelle nuove linee guida è scritto sul latino, sulla storia dell’Occidente, sull’intelligenza artificiale, sull’imparare poesie a memoria, sullo scrivere in corsivo, pare una chiosa all’idea portante. E cioè che la verità sia assoluta, che le verità scientifiche siano assimilabili alle verità religiose.»
Vorrei però ricordare (al ministro Valditara) che per i cattolici la Verità (religiosa) esiste, ma essendo noi esseri finiti continuiamo a cercare il modo per avvicinarci sempre di più a esprimerla con il nostro linguaggio finito. Insomma, l’idea portante non funziona. Poi vabbè, tanto pare che non si possano esprimere giudizi su questa bozza che non siano positivi, quindi tutte queste discussioni lasciano il tempo che trovano. L’unica cosa che posso aggiungere è che il “provando e riprovando” galileiano non è il “provando e riprovando” dantesco, che significa “approvando (l’ipotesi corretta) e disapprovando (quelle errate)”…
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… Commento ciò che leggo: “In matematica, accettati alcuni assiomi non verificabili ma assunti come veri, ciò che ne consegue è una verità eterna.”. Il che in generale è falso, a meno di rinunciare alla non contraddittorietà del sistema di assiomi. La verità di un’affermazione può prescindere dagli assiomi su cui quella affermazione è costruita.
Nel complesso, mi sembra si possa concordare con Valerio quando individua come idea portante di queste linee guida il fatto che “la verità sia assoluta, che le verità scientifiche siano assimilabili alle verità religiose.”
concordo anch’io che l’idea portante è il parallelo tra verità religiose e scientifiche (al che potrei rispondere come Pilato “quod est veritas”). Però non mi pare che questo discenda dal ragionamento. di Vespri.
Se si ammette la contraddittorietà degli assiomi ovviamente non abbiamo verità eterne, perché a un certo punto abbiamo A e NOT A, uno è falso, ed ex falso quodlibet. Ma più sul pezzo, mi pare che Vespri non dica che ciò che consegue sia “la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”, ma solo la verità: non può essere “tutta la verità” per Gödel, e non è “nient’altro che la verità” per l’ipotesi implicita di non contradditorietà.
Ma quest’ultima ipotesi è radicata nei matematici: se putacaso si scoprisse che l’assioma della scelta porta a una contraddizione, l’istante successivo lo si sostituirebbe con un assioma più debole che risolve la contraddizione.
L’approccio delle Indicazioni Nazionali 2025, e di Vespri in particolare, pare essere forzosamente riduzionista: la matematica come marchingegno infallibile che, una volta provvisto delle opportune informazioni di base – le assunzioni –, emette sentenze inappellabili e persino eterne. Sentenze quindi assolute, e allo stesso tempo condizionate alla validità delle assunzioni alla loro stessa base. E’ davvero sorprendente, anzi sconcertante, la disinvoltura con cui vengono accostati termini come “assiomi non verificabili assunti come veri” e “verità eterne”: queste verità eterne dovrebbero dipendere da assunzioni di cui non si può accertare la verità!
Ma – oltre a essere stridente – l’affermazione è anche falsa: un matematico dovrebbe sapere ciò che si sa da quasi un secolo: e cioè che da un sistema di assiomi possono essere dedotte affermazioni (“verità”) di cui all’interno del sistema non si può dire se siano vere o false. E questo sistema di assiomi inesorabilmente incompleto non riguarda qualche astrusa teoria, ma l’aritmetica che si studia alle elementari!
Soprattutto, l’approccio riduzionista mirato al dualismo vero/falso, è in contrapposizione con l’obiettivo dichiarato riguardo alla matematica: “lungi dall’essere meramente un bagaglio di nozioni astratte, la Matematica deve favorire lo sviluppo di competenze trasversali”. Prime tra queste dovrebbero essere quelle scientifiche. Peccato che la scienza non procede affatto sul crinale “vero/falso”: forse che Einstein è vero e Newton falso?!
beh, no, Gödel ci dice che ci sono enunciati di cui all’interno del sistema non si può dedurre la verità o la falsità, e immagino che dal suo punto di vista quegli enunciati non facciano parte della matematica.