La ricorsività del calendario ha dato purtroppo adito alle più balzane teorie, in particolare quella che i Maya abbiano previsto la fine del mondo, o comunque gravi cataclismi naturali, per il Dicembre 2012
I Maya furono una delle grandi civiltà pre-colombiane. Il periodo della loro maggior fioritura artistica, politica ed economica e’ quello detto “classico” – tra il terzo e il nono secolo d.C. – con lo sviluppo delle grandi città-stato situate negli odierni Messico sud-occidentale, Guatemala e Honduras.
Il periodo classico finisce repentinamente tra l’ottavo e il nono secolo d.C.: il tracollo, a tutt’oggi non spiegato in modo soddisfacente, avviene comunque in modo drammatico, tanto che in ogni singola città si è potuta rintracciare l’ultima data che venne registrata sulle iscrizioni prima che la popolazione si disperdesse nelle campagne. Al momento della conquista spagnola nel sedicesimo secolo, la civiltà dei Maya era dunque già svanita, come dissolta, da moltissimi anni; i Maya non erano certo scomparsi, ma vivevano in piccoli villaggi, come del resto accade ancora oggi.
Le città stato maya furono una realtà politicamente molto complessa. Erano infatti autonome ma legate da articolate alleanze e odi reciproci, che le portavano ad essere spesso in guerra tra loro. Questa realtà comincia solo da alcuni decenni ad essere lentamente districata grazie alla decifrazione della scrittura, resa possibile inizialmente da una geniale intuizione di Tatiana Prouskianoff . Si deve infatti considerare che fino agli anni cinquanta vigeva uno scellerato dogma archeologico che vedeva nei Maya una specie di “popolo di figli dei fiori”. Malgrado basti dare un’occhiata all’arte maya – piena di scene cruente – per convincersi di quanto sia assurda questa convinzione, si credeva veramente che i Maya fossero un tranquillo e pacifico popolo di mansueti agricoltori. Il dogma veniva ovviamente applicato anche alle iscrizioni, tanto che si pensava che “il tema fondamentale della civiltà Maya era il passaggio del tempo” come diceva, ancora nel 1954, l’autorevole studioso J. Eric Thompson. Di fatto invece i glifi, cioè i disegni, presenti nelle stele e disposti fra una data e l’altra sono registrazioni di eventi reali. Questa scoperta ha permesso di aprire gli archivi della storiografia maya, che erano rimasti muti, anche se sotto gli occhi di tutti, a segnare il passaggio del nostro tempo e della nostra scellerata miopia, fin dalla riscoperta di questa meravigliosa civiltà.
Carta delle principali città-stato Maya
Il mondo e la vita dei maya erano inestricabilmente legati sia alla natura – erano infatti agricoltori formidabili, dotati di raffinate tecniche di terrazzamento e irrigazione – che alla sua “controparte” sovrannaturale, rappresentata da un insieme di divinità estremamente complesso. Il cosmo maya era infatti strutturato su tre “livelli”, o “mondi”, uno sotterraneo, uno terrestre ed uno “celeste”. Spesso si afferma di conseguenza che i Maya consideravano la terra – cioè il “livello dell’uomo” come una superficie piatta. Per quanto mi riguarda, ho forti dubbi che un astronomo maya potesse credere ad una simile sciocchezza; di fatto, dubito fortemente che qualunque astronomo degno di questo nome nel passato abbia potuto non accorgersi della “rotondità” della terra studiando le eclissi di luna, e della sfericità della terra stessa studiando lo svolgersi di fenomeni all’orizzonte.
Il mondo sotterraneo maya, lo Xibalbá, era diviso in nove livelli, ognuno abitato da divinità associate alla morte, mentre il mondo “celeste” era popolato da divinità associate ai fenomeni naturali, in particolare Chac, Dio della Pioggia, fortemente collegato a Venere. Il ciclo di questo pianeta – e più in generale i cicli celesti – avevano dunque grande importanza. La registrazione dei movimenti degli astri avveniva tramite un sistema numerico in base venti che utilizzava tre simboli, una conchiglia per lo zero, un punto per l’unità e una sbarra per le cinque unità. I numeri venivano scritti in verticale e, esattamente come nel nostro sistema, i multipli della base erano individuati dalle posizioni (spesso si dice, di conseguenza, che i numerali Maya erano più comodi dei numerali romani – privi dello zero – ancora in uso in Europa alla stessa epoca dei Maya, tuttavia la “comodità” è soprattutto questione di abitudine).
Una pagina del Codice di Dresda.
Le osservazioni astronomiche venivano registrate su quaderni di fogli di corteccia, oggi detti codici. Purtroppo, la maggior parte dei codici maya fu distrutta dopo la conquista. Si salvarono quattro volumi (e forse altri che devono ancora essere ritrovati). Sono i codici di Dresda, Parigi, Madrid (dai nomi delle biblioteche dove sono conservati) e il codice Grollier. È impresa ardua spiegare che cosa realmente è un codice maya. Forse la definizione migliore è “manuale”: vi si trovano infatti registrazioni astronomiche associate a pagine di descrizioni di rituali e “predizioni” da trarre dagli eventi celesti. Il più studiato e compreso dei codici è senza dubbio il Codice di Dresda. Lungo 3.5 metri e diviso in 39 fogli di 8.5 x 20.5 centimetri, il suo contenuto riguarda la previsione delle eclissi e i cicli di Venere, Marte e Mercurio. La precisione degli astronomi che compilarono il Codice e’ accuratissima: contiene ad esempio osservazioni delle fasi lunari nell’arco di 11960 giorni, cioè circa 32 anni. Vennero osservate 405 lune nuove, il che significa che il Codice di Dresda contiene la seguente stima del ciclo delle fasi: 11960/405 = 29.53086 giorni, una stima ottima, migliore tra l’altro di quella data da Tolomeo.
Poiché lo studio degli eventi celesti era legato alle loro presunte influenze sulla vita umana, cioè a ciò che oggi chiameremmo “Astrologia”, gli scienziati Maya sono spesso etichettati con la dicitura “astrologi e non astronomi”. Si tratta tuttavia di uno schema privo di senso perché, a differenza della insulsa “astrologia” di oggi, quella Maya era fondata su una osservazione puntuale e meticolosa del cielo. Basata sull’incastro armonico di cicli differenti e molto complessi era, ad esempio, la struttura stessa del calendario Maya. I Maya avevano infatti tre “computi” del tempo: uno di 260 giorni, lo Tzolkin, uno “civile” di 365 giorni, chiamato Haab, e infine un calendario di lungo periodo dato dal minimo comune multiplo tra gli “anni” degli altri due calendari. Il minimo comune multiplo fra 260 e 365 è 18980 giorni; tale periodo costituiva per i Maya un “grande anno”, in un certo senso un terzo calendario in cui “un anno” durava circa 52 anni solari.
Il funzionamento del calendario di 260 giorni illustrato come un meccanismo ad ingranaggi: i numeri dei giorni (a sinistra) vanno da 1 a 13, con venti possibili nomi (a destra).
Lo Tzolkin assegnava ad ogni giorno un numero da 1 a 13 ed un nome tra venti possibili (13 x 20 =260). Non e’ sicuro il motivo per cui fu scelto proprio un periodo di 260 giorni; tuttavia, e’ molto probabile che esso abbia una origine astronomica, e corrisponda al tempo che intercorre tra i due passaggi del sole allo zenit alla latitudine della grande città maya di Copan, nell’Honduras. Il passaggio allo zenit e’ un fenomeno piuttosto impressionante – il sole di mezzogiorno passa infatti esattamente sulla verticale dell’osservatore – che noi non possiamo sperimentare dall’Europa, perché avviene solo nella fascia dei tropici. In tale fascia esso avviene due volte all’anno, in due date simmetriche rispetto al solstizio d’estate (le date ovviamente dipendono dalla latitudine). La prova che il ciclo del sole fosse seguito dai Maya con la stessa attenzione di quello della Luna e di Venere ci viene dalla Archeoastronomia, cioè la disciplina scientifica che studia il modo in cui le conoscenze astronomiche furono incorporate nei progetti dei grandi monumenti dell’antichità’. Ad esempio, a Copan precisi allineamenti tra stele monumentali in pietra segnano il sorgere e il tramontare del sole in giorni significativi; tuttavia, l’esempio più spettacolare si trova a Chicen Itzá, nello Yucatan. Nel centro monumentale di questa città si trova una grande piramide a gradoni dedicata al Serpente Piumato, una divinità di origine centro-americana, la cui testa in pietra spicca alla base delle scalinate. Il monumento funziona da enorme calendario di pietra, segnalando i passaggi del sole allo zenit e gli equinozi.
Il Serpente di Luce a Chichen Itzá il giorno dell’equinozio di primavera.
Per legare il progetto ai passaggi allo zenit, una diagonale del quadrato di base fu orientata a nord dell’est verso il punto di levata del Sole in tali giorni. Di conseguenza, le due facce della piramide rimangono completamente in ombra finché il Sole non passa per la verticale dell’edificio. Il modo scelto per segnalare gli equinozi e’, se possibile, ancora più spettacolare. Se si osserva il profilo degli spigoli della piramide ci si rende infatti conto che è lievemente smussato, sinuoso. Il motivo per cui fu realizzato in questo modo è che, di conseguenza, anche la sua ombra è sinuosa. Abitualmente questa ombra si “perde” nel fianco della piramide. Tuttavia le dimensioni della scalinata e quelle della sagomatura degli spigoli furono accuratamente progettate in modo tale che, circa mezz’ora prima del tramonto nei giorni di sole a cavallo degli equinozi, l’ombra si proiettasse a metà del basamento della scalinata.
Il risultato è una spettacolare ierofania cioè una manifestazione del sacro che avviene tramite un legame tra l’architettura e i cicli celesti: l’ombra infatti “disegna” il corpo di un gigantesco serpente, che si connette idealmente con la testa in pietra posta alla base della scalinata. La struttura del calendario solare Maya, lo Haab, era di 18 mesi di 20 giorni ciascuno, più 5 giorni considerati “infausti”, per un totale di 365 giorni. Le date venivano espresse con gruppi di cinque numeri così composti: kin (giorno) unial (20 giorni) tun (18 unial = 360 giorni) katun (20 tun = 7200 giorni) baktun (20 katun = 144000 giorni) proprio come le nostre date sono espresse da tre numeri, giorno, mese, anno. La nostra convenzione non è, chiaramente, ne più bella né più brutta di quella Maya. Esiste però una fondamentale differenza, sulla quale è importante insistere per evitare le infinite sciocchezze che si continuano a sentir dire sul tempo dei Maya. Per noi, i giorni vanno da 1 a 31, i mesi da 1 a 12, mentre gli anni crescono indefinitamente. Per i Maya, i kin, i tun e i katun andavano da 0 a 19, gli unial andavano da 0 a 17 e i baktun da 1 a 13. Dunque, il calendario Maya aveva un numero finito di date possibili. Pertanto la misura del tempo aveva natura ricorsiva (preferisco “ricorsivo” a “ciclico”, perché ovviamente è la data che si ripeteva). Ogni periodo terminava a 13.0.0.0.0 che corrisponde a (circa) 5125 anni solari. Per sapere a quale data corrisponde la data iniziale e’ necessario ancorare la cronologia maya con la nostra, cioè identificare almeno un giorno con il corrispondente gregoriano. Si tratta di fatto di una operazione fondamentale per tutta la storiografia maya; solo così, infatti, è possibile tradurre la cronologia degli eventi storici riportati nelle iscrizioni nel nostro sistema di datazione, e sapere quindi quando si sono verificati. Non entrerò nei dettagli di questo complesso problema la cui soluzione si basa sulle fonti e sull’individuazione di eventi astronomici databili con sicurezza e registrati dai Maya, quali le eclissi . È comunque estremamente probabile che la data di partenza del periodo che i Maya stavano vivendo sia il nostro 13 agosto 3114 a.C. e quella conclusiva quindi cada il 21 dicembre 2012. Il 13 di Agosto e’ una delle due date in cui il Sole passa allo zenit sul parallelo di Copan, un fortissimo indizio dunque della validità di questa cronologia.
La ricorsività del calendario ha dato purtroppo adito alle più balzane teorie, in particolare quella che i Maya abbiano previsto la fine del mondo, o comunque gravi cataclismi naturali, per il Dicembre 2012. In realtà vaghi accenni di questo tipo compaiono solo nei Libri di Chilam Balam, manoscritti vergati nel 17-18 secolo, dunque molto dopo la conquista, in lingua maya-yucateco ma in caratteri latini, che contengono intricati grovigli di testi magici, storici e religiosi nei quali tradizioni e influenze occidentali sono praticamente inestricabili. La confusione e’ aumentata dal fatto che i “catastrofisti” spesso confondono i Maya con le popolazioni successive; ad esempio, quando si parla di 2012 e’ facile incontrare l’immagine della così detta “pietra del sole”; una scultura a forma di disco con incisioni calendariali che presenta immagini abbastanza minacciose (comunque di difficile interpretazione) riferite alla fine di cicli astronomici. Tuttavia, questo monolite e’ stato scolpito dagli Aztechi, quasi 600 anni dopo la fine della civiltà Maya. È di fatto probabile che la fine del ciclo dei Baktun non sarebbe stata vissuta dai Maya in modo molto diverso da come noi abbiamo vissuto il capodanno del 2000.
Naturalmente, il problema di capire perché il loro calendario era ricorsivo rimane; tuttavia, è anche vero che gli astronomi Maya avrebbero dovuto porsi il problema, nel caso avessero potuto studiare la nostra civiltà, di capire perché il nostro calendario non lo e’.
Di Giulio Magli
Copyright@ Giulio Magli, 2009
Professore Ordinario di Meccanica Razionale al Politecnico di Milano
Per approfondire: Giulio Magli, Archeoastronomia. Da Giza all’Isola di Pasqua. Pitagora, Bologna 2009.
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