“È difficile pensare che non rivedrò mai più Benoît. Era una forza della natura, una presenza fisica impressionante, sempre pronto a parlare di tutti i problemi del mondo” il ricordo di Mandelbrot del grande matematico Jean-Pierre Kahane, membro dell’Accademia delle Scienze francese
È difficile pensare che non rivedrò mai più Benoît. Era una forza della natura, una presenza fisica impressionante, sempre pronto a parlare di tutti i problemi del mondo, uno spirito sempre in movimento. Per diffondere le sue idee, era di una generosità inesauribile, e al tempo stesso era divorato da un bisogno mai soddisfatto di riconoscimenti e onori. Bisogna dire che in materia di riconoscimenti aveva dovuto aspettare a lungo. Suo zio Szolem Mandelbrojt, che lui venerava e che fu il mio direttore di tesi, non apprezzava la direzione di ricerca che aveva preso, la linguistica dal punto di vista matematico, e considerava molto poco l’originalità e la fecondità dei suoi primi lavori (Marcel-Paul Schutzenberger, lui stesso un outsider, fu la più notevole eccezione). Szolem aveva raccomandato a Benoît la lettura dei lavori di Fatou e Julia sull’iterazione, e Benoît, con la sua voracità abituale, aveva seguito il consiglio. Szolem non poteva sapere che, molti decenni più tardi, questo doveva portare all’insieme di Mandelbrot. Benoît era un visionario, e la sua visione era geometrica. Non si accontentava della curva a campana, cercava di esplorare la coda delle distribuzioni di probabilità, sia nella frequenza delle lettere nei testi che nella descrizione dei valori in Borsa. Cosa che gli permette di avere oggi una grande considerazione da parte degli economisti.
La sua visione gemetrica mi si è rivelata verso la metà degli anni ’60. quando si è posto il problema se l’insieme dei valori di un processo di Lévy crescente (un oggetto che gli anglosassoni chiamano oggi «Lévy Flight», un volo di Lévy) non fosse altro che quello che io avevo chiamato un insieme di Salem, una specie di oggetto «rotondo» dal punto di vista dell’analisi di Fourier. È vero e abbastanza facile da dimostrare direttamente. Ma Benoît aveva in questo un approccio molto personale, che doveva rivelarsi di grande portata: vedeva questo insieme come ciò che restava della retta quando si tolgono degli intervalli distibuiti casualmente usando una certa regola (random cut-outs). Questa intuizione si collega alle moltiplicazioni aleatorie e alle «cascate di Mandelbrot» che lui ha proposto come modelli di turbolenza, ispirandosi a Landau e Kolmogorov, e cui io e Jacques Peyrière abbiamo dato una forma matematica, dimostrando le sue congetture.
Allo stesso modo, lui «vedeva» certi processi togliendo il tempo, e riferendosi solo alla loro immagine. Il caso più famoso è quello del moto browniano piano, di cui aveva congetturato che la frontiera esterna avesse una dimensione di Hausdorff uguale a 4/3, un risultato che è stato dimostrato da Greg Lawler e Wendelin Werner prima di diventare una conseguenza della teoria SLE, introdotta da Oded Schram e sviluppata da Schram, Lawler e Werner.
Certamente, l’essenziale di questa visione geometrica è ben rappresentata dal termine che li stesso ha creato di geometria frattale. Non bisogna cercare di definire un frattale, è soltanto un oggetto da studiare nel quadro della geometria frattale. E la geometria frattale è un campo della matematica di cui, anche prima di Benoît, si conoscevano bene alcuni fiori, degli alberi singolari, ma era allo stato selvaggio, o coltivato in piccoli giardini. È stato Benoît che ha aperto questo campo, mostrandone l’ampiezza delle applicazioni e dandogli un nome. La creazione del vocabolo è inseparabile dall’idea, e Benoît aveva una specie di genio della lingua, per far arrivare i fiori singolari nella civiltà. Gli esempi a cui penso sono «il fiocco di neve» al posto della «curva di Von Koch» e soprattutto «la scala del diavolo» al posto della «funzione di Lebesgue costruita sull’insieme triadico di Cantor».
Bisognerebbe dire d’altra parte dell’influenza dell’opera di Benoît in matematica e nella scienza in generale. Io mi sono limitato a descrivere ciò che l’annuncio della sua morte ha prodotto nel mio spirito. Nel corso della mia vita, ho imparato a misurare il posto delle grandi idee rispetto a quello dell’abilità e della tecnica. Benoît aveva delle grandi idee e delle belle visioni, che daranno per molto tempo del lavoro da fare ai matematici e agli altri. Sono convinto che in futuro verrà riconosciuto il suo posto unico nella scienza, meglio di come sia stato fatto fino ad oggi.
di Jean-Pierre Kahane
Professeur à l’Université Paris Sud, Orsay – Membre de l’Académie des Sciences (page web)
Per citare questo articolo: Jean-Pierre Kahane, Benoît Mandelbrot (1924-2010). Images des Mathématiques, CNRS, 2010 (tradotto in italiano per Maddmaths! da Roberto Natalini). URL : http://images.math.cnrs.fr/Benoit-Mandelbrot-1924-2010.html