Questa intervista si è svolta a Oslo il 18 maggio 2015, giorno prima della cerimonia di premiazione e solo cinque giorni prima del tragico incidente nel quale hanno perso la vita John Nash e sua moglie Alicia. La morte improvvisa di Nash ha reso impossibile seguire la procedura usuale per le interviste ai vincitori del Premio Abel secondo cui agli intervistati è chiesto di rileggere e modificare le bozze. Tutti i possibili equivoci sono quindi di esclusiva responsabilità degli intervistatori.
di Martin Raussen (Aalborg University, Denmark) e Christian Skau (Norwegian University of Science and Technology, Trondheim, Norway). Traduzione di Elena Toscano. [Intervista apparsa sulla EMS Newsletter September 2015, pubblicata per gentile concessione dell’EMS Newsletter]
Il Premio
Professor Nash, innanzitutto vogliamo congratularci con lei in qualità di vincitore del Premio Abel per la matematica nel 2015, un premio che condivide con Louis Nirenberg. Qual è stata la sua reazione appena ha appreso di aver vinto il Premio Abel?
Ho appreso di questo premio in modo diverso da quanto era successo nel caso del premio Nobel. Ho ricevuto una telefonata un po’ confusa il giorno prima dell’annuncio ufficiale, sul tardi. Tuttavia, non sono stato del tutto sorpreso. Avevo pensato al premio Abel. Si tratta di un interessante esempio di una nuova categoria di premi che sono abbastanza rilevanti e ancora non del tutto prevedibili. Mi hanno dato una sorta di “pre-notificazione”. Mi è stato detto al telefono che il Premio Abel sarebbe stato annunciato la mattina del giorno seguente. Quindi ero preparato.
Ma è stato inatteso?
Sì, lo è stato. Non sapevo nemmeno che fossero state annunciate le assegnazioni del Premio Abel. Avevo letto qualcosa sui giornali, ma non avevo seguito con attenzione la cosa. Avevo avuto modo di vedere che erano stati selezionati studiosi piuttosto ragguardevoli.
Giovinezza e istruzione
Quando ha capito di avere un talento eccezionale per la matematica? Ci sono state persone che l’hanno incoraggiata a dedicarsi alla matematica nei suoi anni di formazione?
Beh, mia madre era una maestra di scuola, ma lei insegnava inglese e latino. Mio padre era un ingegnere elettrico. È stato anche insegnante di scuola subito prima guerra mondiale. Quando frequentavo la scuola elementare, ero solito fare esercizi di aritmetica – addizioni e moltiplicazioni – con numeri a più cifre invece che con numeri a due sole cifre come era richiesto a scuola. Così ho avuto modo di lavorare con numeri a quattro e cinque cifre. Mi piaceva molto di trovare la procedura corretta per questo genere di calcoli. Tutto ciò è stato, ovviamente, indicativo di un particolare talento matematico. Poi ci sono stati anche altri segni. In tenera età ho letto il libro di E.T. Bell, Uomini di Matematica. Credo che Abel venga menzionato in quel libro, no?
John F. Nash Jr. e sua moglie Alicia ricevuti da Sua Maestà Re Harald V. a Palazzo Reale. (Foto: Håkon Mosvold Larsen/ NTB Scanpix.)
Sì, lo è. Nel 1948, quando aveva 20 anni, è stato ammesso come studente di dottorato in matematica all’Università di Princeton, un istituto elitario che seleziona con estrema cura i propri studenti. Le è piaciuto l’atmosfera di Princeton? Era un ambiente molto competitivo?
È stato stimolante. Naturalmente c’era anche competizione, una serena competizione tra studenti. Non eravamo in concorrenza diretta l’uno con l’altro come tennisti. Tutti ambivamo a ricevere qualche apprezzamento speciale. Nessuno diceva nulla a riguardo ma era qualcosa di cui tutti eravamo consapevoli implicitamente.
Lei si è interessato alla teoria dei giochi da subito. Ha infatti inventato un ingegnoso gioco di natura topologica col quale hanno lungamente giocato sia i docenti che gli studenti della facoltà nella Sala Comune della Fine Hall, l’edificio sede del dipartimento di matematica a Princeton. Il gioco è stato chiamato “Nash” a Princeton, ma oggi è comunemente conosciuto come “Hex”. In realtà Piet Hein, un inventore danese, aveva scoperto indipendentemente questo gioco. Perché si è interessato ai giochi e alla teoria dei giochi?
Beh, ho studiato economia nell’istituto da cui provenivo, il Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh (oggi Carnegie Mellon University) e ho osservato le persone che studiavano il legame tra giochi e programmazione matematica a Princeton. Così ho avuto alcune idee. Alcune delle quali connesse con l’economia, altre relative a giochi come quello degli speculatori sul mercato azionario – che è davvero un gioco. Non ho informazioni molto precise ma si è scoperto che, a Princeton, von Neumann (1903–1957) e Morgenstern (1902–1977) possedevano una dimostrazione della soluzione di un gioco a due persone che era un caso speciale di un teorema generale per l’equilibrio dei giochi a n-persone, che è quanto ho dimostrato io. Ho associato ciò con l’idea intuitiva di equilibrio e con l’idea topologica del Teorema di punto fisso di Brouwer. Quando e perché ho iniziato esattamente, o quando von Neumann e Morgenstern hanno messo a punto il loro risultato, non so dirlo con certezza. Solo più tardi, sono venuto a sapere del Teorema di punto fisso di Kakutani, una generalizzazione del teorema di Brouwer. Non mi rendevo conto che von Neumann lo aveva ispirato e che aveva influenzato Kakutani (1911–2004). Kakutani era uno studente di Princeton, pertanto von Neumann non fu sorpreso dall’idea che un argomento topologico potesse essere correlato all’equilibrio in generale. Così ho sviluppato una teoria per studiare alcuni altri aspetti del gioco.
Lei è un po’ più avanti di noi ora. Diverse persone al di fuori della comunità matematica sanno che ha vinto il Premio Nobel per l’economia nel 1994.
Che è stato molto tardi.
Sì. Grazie al film A Beautiful Mind, in cui Russell Crowe interpretava il suo ruolo, un pubblico molto ampio è venuto a conoscenza del fatto che lei ha ricevuto il Premio Nobel per l’economia. Ma non tutti sanno che l’idea per cui ha ricevuto il Nobel era già esposta nella sua tesi di dottorato che è stata discussa a Princeton nel 1950, quando lei aveva 21 anni. Il titolo della tesi era Giochi non-cooperativi. Ha avuto qualche sentore di quanto tale argomento si sarebbe rivelato rivoluzionario? Del fatto che avrebbe avuto un notevole impatto, non solo in economia ma anche in ambiti diversi come la politica e la biologia evolutiva?
È difficile da dire. È vero che può essere utilizzato ovunque ci sia una sorta di equilibrio e ci siano parti in competizione o che interagiscono tra loro. L’idea degli evoluzionisti è naturalmente simile. Sto divagando in una direzione scientifica adesso.
Ma ha realizzato subito quanto valida fosse la sua tesi?
Sì. Ne avevo inizialmente scritto una versione più lunga che è stata poi ridotta dal mio relatore. Avevo anche dell’altro materiale sui giochi cooperativi che poi è stato pubblicato in separata sede.
Quando ha scritto la sua tesi ha trovato l’argomento da sé o le è stato suggerito dal suo relatore?
Beh, ho più o meno ho trovato il tema da me e, di conseguenza, il relatore di tesi è stato scelto sulla base dell’argomento.
Il suo relatore per la tesi di dottorato è stato Albert Tucker, giusto?
Sì. Aveva collaborato con von Neumann e Morgenstern.
Gli anni a Princeton
Vorremmo chiederle delle sue abitudini di studio e di lavoro. Lei frequentava raramente le lezioni a Princeton. Perché?
È vero. Princeton era piuttosto flessibile da questo punto di vista. Non molto tempo prima del mio arrivo era stato introdotto il concetto di “voto N”. Così, per esempio, un professore che teneva un corso riconosceva automaticamente un voto standard N, che significa “nessun voto”. Ma questo ha cambiato il modo di lavorare. Credo che Harvard non facesse lo stesso a quei tempi. Non so se da allora in poi lo hanno mai fatto. Princeton ha continuato a lavorare con il “voto N”, cosicché il numero di persone che effettivamente seguono i corsi (seguendo formalmente corsi in cui venivano dati dei voti) è inferiore a Princeton rispetto ad altri atenei.
È veramente convinto che l’apprendimento “di seconda mano” possa soffocare la creatività e l’originalità?
Sì, mi sembra avere senso. Ma che cosa intendiamo con “di seconda mano”?
Giusto, cosa significa “di seconda mano”?
“Di seconda mano” significa, ad esempio, che non si impara direttamente da Abel ma da qualcuno che ha studiato gli integrali abeliani.
Infatti, proprio Abel scrisse che si dovrebbero studiare i maestri e non i loro allievi.
Sì, l’idea è praticamente questa.
Quando era a Princeton è entrato in contatto con Albert Einstein e von Neumann in diverse occasioni. Entrambi erano all’Institute for Advanced Study di Princeton che si trova vicino al campus dell’Università di Princeton. Contattare questi insigni studiosi è stato un atto estremamente audace per un giovane studente, non è vero?
Beh, potrebbe esserlo stato. Rientra nell’idea di attività intellettuali. Per quanto riguarda von Neumann, ho ottenuto la mia dimostrazione del teorema di equilibrio per la teoria dei giochi utilizzando il teorema di punto fisso di Brouwer, mentre von Neumann e Morgenstern utilizzavano altre argomentazioni nel loro libro. Ma quando sono andato da von Neumann, ed ero alla lavagna, mi chiese: «Hai usato il teorema di punto fisso?». «Sì», dissi. «Ho usato il teorema di punto fisso di Brouwer». Già da tempo, mi ero reso conto che si poteva dare una versione della dimostrazione utilizzando il teorema di punto fisso di Kakutani, che è conveniente nelle applicazioni nel campo dell’economia in quanto non è richiesto che la funzione sia del tutto continua. Deve avere alcune proprietà di continuità, le cosiddette proprietà di continuità generalizzata e pure in questo caso vi è un teorema di punto fisso. Non mi ero però reso conto che Kakutani aveva dimostrato ciò ispirato proprio da von Neumann che stava usando un teorema di punto fisso per un problema economico con parti che interagiscono in un sistema economico (tuttavia, non lo stava utilizzando in teoria dei giochi).
Quale è stata la reazione di von Neumann quando lei è andato a parlargli?
Beh, come le ho detto, ero nel suo ufficio ed egli mi disse alcune cose di carattere generale. Solo ora posso immaginare cosa può aver pensato dato che conosceva il teorema di punto fisso di Kakutani e io non ne ho fatto menzione (cosa che avrei potuto fare). Ha detto alcune cose generali, come: «Bene, funziona». Non disse molto su quanto il risultato fosse sensazionale.
Quando ha incontrato Einstein e ha parlato con lui, spiegando alcune delle sue idee nel campo della fisica, come ha reagito Einstein?
C’era uno dei suoi assistenti lì con lui. Non me lo aspettavo. Ho parlato della mia idea che riguardava la perdita di energia dei fotoni nei lunghi viaggi attraverso l’universo e il conseguente spostamento verso il rosso [dello spettro, NdT]. Altri hanno avuto questa idea. Ho visto molto più tardi che qualcuno in Germania aveva scritto un articolo in proposito ma non so darle un riferimento bibliografico preciso. Se questo fenomeno esisteva, l’allora comune opinione sull’espansione dell’Universo sarebbe stata messa in discussione perché quello che sembrerebbe essere un effetto dell’espansione dell’universo (una sorta di spostamento verso il rosso dovuto all’effetto Doppler) non poteva essere validamente interpretato in quel modo dal momento che ci sarebbe potuto essere un spostamento verso il rosso di altra origine. Più avanti ho sviluppato una teoria matematica su questo fenomeno. Parlerò proprio di questa mia possibile interpretazione domani quando terrò la mia lezione per il premio Abel. C’è un’equazione interessante che potrebbe descrivere i diversi tipi di spazio-tempo. Ci sono alcune singolarità che potrebbero essere correlate a idee sulla materia e sull’energia oscura. Chi sostiene ciò sta promuovendo l’idea che la maggior parte della massa dell’Universo derivi da energia oscura. Forse però non è così. Potrebbero esserci delle teorie alternative.
John Milnor, che si è aggiudicato il premio Abel nel 2011, è entrato a Princeton come matricola lo stesso anno in cui lei ha conseguito il titolo di dottorato. Ha riferito che lei era molto preso dai problemi irrisolti e spesso interrogava gli altri su di essi. Era alla ricerca di problemi aperti famosi mentre era a Princeton?
Beh, lo ero. Lo sono stato, in generale. Milnor può aver notato in quel momento che stavo cercando alcuni problemi specifici da studiare. Milnor stesso ha fatto varie scoperte sensazionali. Ad esempio, le strutture differenziabili non standard sulla sfera 7. Ha inoltre dimostrato che ogni nodo ha una certa curvatura, anche se ciò non costituiva esattamnete un nuovo teorema, poiché qualcun altro – ovvero István Fáry che era sconosciuto di Milnor – lo aveva già dimostrato.
John F. Nash Jr. presso la Sala Comune, Istitute for Advanced Study di Princeton. (Per gentile concessione dell’Istitute for Advanced Study. Foto di Serge J.-F. Levy.)
Una serie di risultati famosi
Mentre scriveva la sua tesi sulla teoria dei giochi all’Università di Princeton, stava già lavorando su problemi di natura molto diversa, dal ‘sapore’ piuttosto geometrico. E ha continuato questo lavoro mentre era al MIT di Boston, dove ha lavorato dal 1951 al 1959. Ha ottenuto una serie di risultati davvero sorprendenti. In effetti, i risultati che ha ottenuto in quel periodo costituiscono la principale motivazione per l’assegnazione del premio Abel di quest’anno. Tuttavia, prima di entrare in dettaglio sui suoi risultati di quesl periodo, vorremmo dare un’idea della loro portata citando Mikhail Gromov che ha ricevuto il premio Abel nel 2009. Durante l’intervista che gli abbiamo fatto sei anni fa, ci ha detto che i suoi metodi mostrato un’«incredibile originalità». E ancora: «Quello che Nash ha fatto in geometria è, dal mio punto di vista, incomparabilmente più grande – di molti ordini di grandezza – di quello che ha fatto in economia». Concorda con la valutazione espressa da Gromov?
Io dico che è semplicemente una questione di gusto. È stata davvero una sfida. C’è qualcosa di ciò che ho fatto in geometria algebrica che è sottilmente legato alla geometria differenziale. Ho fatto un passo avanti in quel contesto nella determinazione della forma geometrica di una varietà algebrica.
Questo sarà appunto l’oggetto della nostra prossima domanda. Lei ha sottomesso un articolo sulle varietà algebriche reali quando hai iniziato a lavorare al MIT, nel mese di ottobre 1951. Vorremmo citare Michael Artin al MIT che in seguito ha fatto uso del suo risultato. Ha commentato: «Solo aver concepito un simile teorema è notevole». Ci può raccontare qualcosa a riguardo e spiegare cosa ha dimostrato in quel lavoro e come ha iniziato?
Ero influenzato dal concetto di spazio-tempo, da Einstein e dall’idea delle distribuzioni stellari e ho pensato: ‘Supponiamo che possa essere selezionato un dato modello di distribuzione delle stelle; potrebbe esserci una varietà, qualcosa di curvo che si troverebbe in posizione di equilibrio con quelle distribuzioni di stelle?’ Questa è l’idea che stavo prendendo in considerazione. In definitiva, ho sviluppato alcune idee matematiche in modo che la distribuzione dei punti (punti di interesse) potesse essere scelta e quindi ci sarebbero state alcune varietà che si muoverebbero intorno secondo una geometria e una topologia desiderata. Così ho sviluppato un’ulteriore teoria generale che è quanto è stato pubblicato. Più tardi, altri hanno cominciato a lavorare per rendere la rappresentazione più precisa perché penso che quello che ho dimostrato può aver dato origine ad alcuni risultati geometricamente meno eleganti nella varietà considerata. Per esempio potrebbe non essere strettamente finita ma potrebbe esserci una parte di essa situata fuori all’infinito. In ultima analisi, qualcun altro, A.H. Wallace (1926–2008) sembrava avere risolto, ma non è così poiché le sue argomentazioni non erano corrette. Più tardi però la soluzione è stata trovata da un matematico italiano, a Trento, di nome Alberto Tognoli (1937–2008).
Vorremmo chiederle qualcosa su un altro risultato sulle varietà riemaniane. Le varietà riemaniane sono, in senso lato, strutture astratte lisce su cui le distanze e gli angoli sono definiti solo localmente in modo piuttosto astratto. Lei ha mostrato che queste entità astratte possono essere realizzate molto concretamente come sottovarietà in spazi euclidei di dimensione sufficientemente alta.
Sì, se la metrica è data, come dice lei, in modo astratto ma sufficiente a definire una struttura metrica, cosa che può anche essere ottenuta mediante un’immersione la metrica essendo indotta dall’immersione. Qui ho cambiato strada. Ho inizialmente provato ciò per varietà con un basso livello di smoothness, il caso C1. Altri hanno dato seguito a ciò. Ho pubblicato un articolo su tale argomento. Poi un matematico olandese, Nicolaas Kuiper (1920–1994), è riuscito a ridurre di uno la dimensione dello spazio immerso.
A parte i risultati che ha ottenuto, in molti hanno detto che i metodi che lei ha applicato sono geniali. Citiamo, per esempio, Gromov e John Conway. Quando ha letto il suo risultato Gromov ha detto: «Ho pensato che fosse un’assurdità, che non poteva essere vero. Ma era vero ed era incredibile». E ancora: «Ha completamente cambiato la prospettiva sulle equazioni differenziali alle derivate parziali». E Conway ha detto: «Quello che ha fatto è stato uno dei pezzi più importanti dell’analisi matematica del XX secolo». Bene, questo è straordinario!
Sì.
È vero, come sostengono alcuni, che ha iniziato a lavorare sul problema dell’immersione in seguito a una scommessa?
Era qualcosa di simile a una scommessa. C’è stata una discussione nella Sala Comune, che è il luogo d’incontro per i colleghi della facoltà al MIT. Ho discusso l’idea di un’immersione con uno dei membri anziani del corpo docente esperto in geometria, il professor Warren Ambrose (1914–1995). Ho avuto da lui l’idea della realizzazione della metrica mediante un’immersione. A quel tempo, questo era un problema completamente aperto; non se ne sapeva nulla. Ho iniziato a lavorare su di esso. Poi mi sono spostato sul caso C1. Si è scoperto che, in questo caso, si poteva fare con pochissime dimensioni in più dello spazio di immersione confrontato con la varietà. L’ho fatto con due, ma poi Kuiper lo ha fatto con una sola. Lui non lo ha fatto in modo regolare, come uno si sarebbe aspettato – dal momento che se si dà qualcosa di regolare, ci si aspetta una risposta di tipo regolare.
Ma pochi anni dopo, ho fatto la generalizzazione al caso regolare. L’ho pubblicata in un lavoro composto da quattro parti. C’è un errore, posso confessarlo adesso. Circa 40 anni dopo la pubblicazione dell’articolo, il logico Robert M. Solovay dell’University of California mi ha inviato una comunicazione sottolineando l’errore. Ho pensato: “Come può essere?” e ho iniziato a guardare e finalmente ho individuato l’errore nel fatto che se si vuole fare un’immersione di tipo regolare e si dispone di una varietà infinita, si divide in porzioni e hai l’immersione per una certa metrica in ogni porzione. Ma quello che avevo fatto conteneva un errore logico. Avevo dimostrato che – come posso spiegarlo? – che i punti vicini ad un qualsiasi punto si separavano e differenziavano perfettamente se prendevi i punti abbastanza vicini a quel punto, ma che per due punti diversi poteva succedere di essere rappresentati dallo stesso punto. Così che l’applicazione, strettamente parlando, non era un’immersione; c’era la possibilità di un’auto-intersezione.
Alla fine la prova è stata corretta? L’errore è stato risolto?
Beh, ne sono venuto a conoscenza molti anni dopo la pubblicazione. L’errore potrebbe essere diventato noto, senza essere ufficialmente rilevato, oppure potrebbe essere stato rilevato ma le persone potrebbero aver mantenuto la cosa per sé. (Il risultato nell’articolo di Nash è corretto; è stato ridimostrato da diversi ricercatori (in particolare Mikhail Gromov) utilizzando la strategia generale ideata da Nash. Nash ha reso conto di questo errore, nel caso di immersioni in varietà non compatte nel libro book The essential John Nash (eds. Harold W. Kuhn and Sylvia Nasar), Princeton University Press, 2002).
Possiamo interromperla un attimo per sottolineare quanto è stato sorprendente il suo risultato? Uno dei suoi colleghi al MIT, Gian Carlo Rota (1932–1999), professore di matematica e anche di filosofia al MIT, ha dichiarato: «Uno dei più grandi esperti dell’argomento mi ha detto che se uno dei suoi studenti avesse proposto una simile bizzarra idea, lui lo avrebbe buttato fuori dal suo ufficio».
Questo non è esattamente un comportamento che si addice ad una persona di larghe vedute né un atteggiamento progressista.
Equazioni differenziali alle derivate parziali
Tuttavia pare che il risultato che lei ha dimostrato sia stato percepito come qualcosa che era fuori dall’ambito delle tecniche note a quel tempo.
Sì, le tecniche proposte hanno portato a nuovi metodi per studiare le PDEs in generale.
Continuiamo a parlare del suo lavoro che riguarda puramente la teoria della PDEs. Se non siamo in errore, esso è stato il risultato di una conversazione avuta nel 1956 presso il Courant Institute di New York con Louis Nirenberg con cui condivide il Premio Abel di quest’anno. Lui le ha riferito di un importante problema irrisolto relativo alle equazioni alle derivate parziali non lineari.
È vero, Nirenberg mi ha parlato di questo problema. C’era un po’ di lavoro già fatto, in due dimensioni, da un professore in California, C.B. Morrey (1907–1984). Morrey ha trovato che la proprietà di continuità della soluzione di un’equazione differenziale alle derivate parziali è intrinseca in dimensioni due. La domanda era cosa sarebbe successo per più di due dimensioni. Questo è ciò su cui ho avuto modo di lavorare, e De Giorgi (1928–1996), un matematico italiano, ha lavorato sullo stesso argomento.
Non sapeva del lavoro di nessun altro in quel momento?
No, non sapevo del lavoro di De Giorgi che ha risolto il problema prima di me.
Solo nel caso ellittico però.
Sì, beh, il caso ellittico era proprio quello originario ma io ne ho dato una sorta generalizzazione (che si è rivelata essere molto promettente) per includere il caso delle equazioni di tipo parabolico. Con le equazioni paraboliche viene fuori un metodo legato ad certo un concetto di entropia.
Non so bene ma un metodo legato all’entropia simile è stato usato dal professor Hamilton a New York e poi da Perelman. Essi utilizzano il concetto di entropia per controllare i vari miglioramenti di cui hanno bisogno.
E questo è stato ciò che alla fine ha portato alla dimostrazione della congettura di Poincaré?
Il loro uso del concetto di entropia è abbastanza fondamentale. Hamilton l’ha usato per primo e poi Perelman lo ha preso da lì. Naturalmente, è difficile prevederne il successo.
È una cosa divertente che Perelman non abbia accettato alcun premio. Ha rifiutato la Medaglia Fields e anche il Premio Clay per il Problemi del Millennio che ammonta a un milione di dollari.
Torniamo al tempo in cui sia lei che De Giorgi lavoravate più o meno allo stesso problema. Quando ha appreso che De Giorgi aveva risolto il problema prima di lei ne è stato molto deluso?
Naturalmente ero deluso, ma uno cerca di trovare un modo diverso di pensare alla cosa. Come l’acqua entra nel lago e ne fa alzare il livello, e poi il flusso in uscita lo fa ritornare al punto di partenza, così è andata in un altro modo.
Alcune persone hanno ipotizzato che lei avrebbe potuto ricevere la Medaglia Fields se non ci fosse stata la coincidenza con il lavoro di De Giorgi.
Sì, è probabile; sembra una cosa ovvia. Neanche De Giorgi ha ottenuto la Medaglia Fields, anche se ha ottenuto qualche altro riconoscimento. Ma non è matematica, pensare a come un comitato di selezione potrebbe funzionare. È meglio essere considerati da persone che sono sicure di non essere nella categoria di possibili oggetti della selezione stessa.
Quando ha fatto le sue scoperte importanti e veramente sbalorditive nel 1950, c’è stato qualcuno con cui avrebbe potuto discuterne, qualcuno che avrebbe agito come una sorta di cassa di risonanza per lei?
Per le dimostrazioni? Beh, per la dimostrazione relativa alla teoria dei giochi non c’è stato poi tanto da discutere. Von Neumann sapeva che ci sarebbe potuta essere una dimostrazione del genere non appena il problema fosse stato sollevato.
E per quanto riguarda i risultati geometrici e anche gli altri risultati? C’è stato qualcuno con cui avrebbe potuto discutere le dimostrazioni?
Beh, ci sono state persone che erano interessate alla geometria in generale, come il professor Ambrose. Ma non sono stati molto di aiuto con i dettagli della dimostrazione.
Che dire di Spencer (1912–2001) a Princeton? Ha discusso con lui?
È stato a Princeton ed era in una commissione che mi ha esaminato. Sembrava apprezzarmi. Lavorava nell’ambito dell’analisi complessa.
Ci sono stati alcuni matematici che ha incontrato a Princeton o al MIT che ha veramente ammirato e che ha tenuto in grande considerazione?
Beh, naturalmente, c’è il professor Levinson (1912–1975) al MIT. Lo ammiravo. Ho parlato con Norman Steenrod (1910–1971) a Princeton e conoscevo Solomon Lefschetz (1884–1972) che era direttore del Dipartimento a Princeton. Era un buon matematico. Invece non ho avuto un buon rapporto con il professore di algebra a Princeton, Emil Artin (1898–1962).
L’Ipotesi di Riemann
Andiamo avanti fino ad un punto di svolta nella sua vita. Ha deciso di attaccare probabilmente il più famoso di tutti i problemi aperti in matematica, l’Ipotesi di Riemann, problema che è ancora aperto. Si tratta di uno dei problemi tra quelli del Millennio secondo il Premio Clay di cui abbiamo già parlato. Può raccontarci come si è verificato l’esaurimento nervoso di cui ha sofferto come risultato del suo sforzo intellettuale?
Beh, penso che sia una sorta di pettegolezzo o un mito il fatto che io abbia effettivamente affrontato “di petto” l’ipotesi. Io sarei piuttosto cauto. Sono abbastanza cauto circa i miei sforzi quando provo ad attaccare qualche problema perché il problema può attaccare me, per così dire. Per quanto riguarda l’ipotesi di Riemann, non penso a me stesso come a un vero e proprio studioso dell’ipotesi, ma forse come a qualcuno che ha avuto un interesse occasionale grazie al quale ha potuto vedere alcuni bellissimi e interessanti nuovi aspetti.
Il professor Selberg (1917–2007), un matematico norvegese che era all’Institute for Advanced Study, ha assodato al tempo della seconda guerra mondiale che ci fosse almeno una qualche misura finita di questi zeri che cadevano sulla linea critica. Si presentano come un diverso tipo di zeri; è come un doppio zero che appare come un unico zero.
Selberg ha dimostrato che una frazione molto piccola di zeri stava sulla linea critica. Questo alcuni anni prima di arrivare all’Istituto. Ha fatto un buon lavoro in quel periodo.
E poi più tardi, nel 1974, il professor Levinson al MIT, dove sono stato, ha dimostrato che una buona frazione – circa 1/3 – degli zeri erano veramente sulla linea critica. A quel tempo era affetto da cancro al cervello che lo ha portato alla morte. Cose simili possono accadere: nonostante il cervello sia sotto attacco si possono ancora fare per un po’ dei buoni ragionamenti.
John F. Nash Jr. con il vincitore del premio Abel dello scorso anno Yakov Sinai (a destra) e Michael Th. Rassias (a sinistra). (Foto: Danielle Alio, Princeton University, Ufficio delle Comunicazioni.)
Un matematico molto speciale?
I matematici che la conoscono descrivono il suo atteggiamento verso il lavoro su problemi matematici come molto diverso da quello della maggior parte delle altre persone. Puoi dirci qualcosa circa il suo approccio? Quali sono le sue fonti di ispirazione?
Beh, non posso affermare che in questo momento di lavorare in un tal modo o in un tal altro che siano diversi da un modo più tradizionale di lavorare. In altre parole, cerco di pensare a quello che posso fare con la mia mente e le mie esperienze.
Cosa potrebbe risultare vantaggioso che io cerchi? Quindi non penso a dimostrare nulla delle ultime assurdità più popolari.
Lei ha detto in un’intervista (può correggerci se non è così) qualcosa come: “Non avrei avuto buone idee scientifiche se avessi pensato più normalmente.” Ha quindi avuto un modo diverso di vedere le cose.
Beh, è facile pensarlo. Penso che sia vero per me in quanto matematico. Non sarebbe valsa la pena di pensare come un bravo studente che sta facendo una tesi di laurea. La maggior parte delle tesi matematiche sono piuttosto di routine. È un sacco di lavoro, ma sotto una specie di direzione del relatore; si lavora fino ad avere abbastanza e a quel punto la tesi viene approvata.
Interessi e hobby
Possiamo infine farle una domanda che abbiamo posto a tutti i precedenti vincitori del Premio Abel? Quali sono i suoi interessi o hobby principali al di fuori della matematica?
Beh, ci sono varie cose. Naturalmente, guardo i mercati finanziari. Questo non è del tutto al di fuori dell’argomento per cui ho ricevuto il premio Nobel per l’Economia, ma ci sono un sacco di cose che si possono fare lì se si pensa a questo genere di cose. Per quanto riguarda la grande depressione, la crisi che c’è stata subito dopo che Obama è stato eletto, è possibile prendere una decisione piuttosto che un’altra che avrà conseguenze molto diverse. L’economia ha iniziato a riprendersi nel 2009, credo.
È noto che quando era studente di Princeton andava in giro in bicicletta per il campus fischiettando la “piccola fuga” di Bach. Le piace la musica classica?
Sì, mi piace Bach.
Altri compositori preferiti oltre Bach?
Beh, ci sono molti compositori classici che possono essere veramente piacevoli da ascoltare, per esempio è bello ascoltare un buon pezzo di Mozart. Sono molto meglio di compositori come Ketèlbey e altri.
Vorremmo ringraziarla molto per questa intervista veramente interessante. A parte noi due, anche a nome delle Società Matematiche danese, norvegese ed europea.
Dopo la fine dell’intervista vera e propria, c’è stata una chiacchierata informale circa i principali interessi attuali di John Nash. Egli ha menzionato di nuovo le sue riflessioni sulla cosmologia. Per quanto riguarda le pubblicazioni, Nash ci ha parlato di un libro intitolato Problemi Aperti in Matematica che sta pubblicando con il giovane matematico greco Michael Th. Rassias, che stava conducendo una ricerca post-dottorato presso la Princeton University durante l’anno accademico.
Da sinistra a destra: John F. Nash Jr., Christian Skau, Martin Raussen. (Foto: Eirik F. Baardsen, DNVA)
Martin Raussen è docente con incarichi speciali (matematica) presso l’Università di Aalborg, in Danimarca. Christian Skau è professore di matematica presso l’Università Norvegese della Scienza e della Tecnologia a Trondheim. Dal 2003 intervistano insieme tutti i vincitori del premio Abel.