Enrico Vaime, popolare autore e conduttore radiofonico e televisivo, ha dedicato alla Matematica il suo editoriale per la trasmissione Black Out su Rai Radio 2 di Sabato 24 Novembre 2018. I membri del comitato editoriale di MaddMaths! hanno ascoltato questo intervento che ci racconta una matematica che non riconosciamo, molto diversa da quella che pratichiamo e insegniamo. E francamente c’è dispiaciuto che per lui la nostra materia preferita fosse così triste e poco creativa. Abbiamo provato a rispondergli con due testi, uno di tono giocoso di Sandra Lucente, una specie di “inversione” creativa dei temi ascoltati nell’editoriale, e l’altro di Pietro Di Martino, sul rapporto che le persone instaurano con la matematica.
Trascrizione del testo di Enrico Vaime (vai qui per il podcast).
I polinomi, ve li ricordate? Molti di voi le avranno studiati alle scuole medie. A che servivano oltre a farci disperare? E le frazioni? Quanti di noi nella vita hanno ancora incontrato queste cabale aritmetiche che ho sempre pensato che ci siano state proposte per misurare la nostra pazienza giovanile. E i logaritmi? Quante volte nella quotidianità abbiamo incontrato quelle trappole e le abbiamo grazie agli insegnamenti scolastici, evitate o risolte? Io mai. Matematica e fisica, e qui chiedo scusa a quanti hanno seguito con interesse questi argomenti che hanno cordogliato la mia prima giovinezza, erano per me, e lo ricordo bene, per molti altri anche, delle sfide mnemoniche dalle quali si doveva uscire illesi se possibile. Quanto ho detestato le materie scientifiche! Potrei parlarvene per ore. I numeri non mi suggerivano niente, rappresentavano un dovere per obbedire al quale, si doveva rinunciare alla fantasia, ma attenersi a delle regole che non ammettevano deroghe e umiliavano ogni creatività. Le scienze esatte erano nemiche della nostra possibile inventiva, indiscutibili e quindi noiose, oppressive, trasformavano anche esteriormente chi riusciva a praticare questo settore dello scibile umano, il meno affascinante a mio parere, dove la creatività era inutile, anzi nociva, l’inventiva un pericolo. Non c’era niente da inventare, ma solo da applicare cabale per risolvere problemi immaginari. Il tentativo di ingentilire il settore scientifico della nostra educazione scolare era scarso e insufficiente per superare l’aridità del settore. Qualcuno poveraccio ogni tanto cercava di sdrammatizzare se non alleggerire le formule di nessun fascino delle quali ho parlato. Ricordo un tentativo di alleggerimento settoriale diceva “il volume della sfera qual è? 4/3pigrecoerre3” mi pare. Era questo goffo ritornello il massimo della disinvoltura settoriale per dare a una cabala cupa una sua spigliatezza. Quanto ho detestato le materie scientifiche, non saprei raccontarlo, senza venir preso, a distanza di tanti anni, da un accesso di antipatia! Erano un incubo quelle formule così lontane da ogni fantasia creativa. Certe notti sognavo delle grandi lavagne piene di cifre ed io con uno straccio cancellavo ogni traccia che avesse a che fare con i numeri e con l’aritmetica.
SANDRA LUCENTE applica una “trasformazione” creativa al testo ascoltato
I polinomi, ve li ricordate? Molti di voi li avranno usati anche l’altro giorno quando erano davanti al bancomat e immettevano sereni un codice la cui decomposizione richiede tempi inattaccabili. E a che servivano oltre a rassicurarci? E le frazioni? Quanti di noi nella vita non hanno approfittato dei saldi estivi dopo aver assaggiato opportune fette di torta! Le frazioni, ho sempre pensato che ci siano state proposte per misurare la nostra pazienza giovanile. Avremmo voluto subito passare alle frazioni continue, alla loro incredibile bellezza nello scrivere con grande eleganza numeri decimali misteriosi. E i logaritmi? Quante volte nella quotidianità abbiamo incontrato quelle storie di mercanti veneziani che avrebbero perso troppo tempo con le moltiplicazioni di stoffe per prezzo e invece mediante queste singolari trappole potevano passare alle somme? E la scala logaritmica in musica? E l’opposta crescita esponenziale di popolazioni in stagni, e le connessioni sui nostri computer? Quante volte nella quotidianità abbiamo incontrato esponenziali e logaritmi? Io sempre. Matematica e fisica, e qui chiedo scusa a coloro a cui questi argomenti hanno cordogliato la prima giovinezza, sono per me, e per molti altri, la via per comprendere tante cose. Non era da sfide mnemoniche che si doveva uscire illesi, ma dal fascino che su di noi aveva ogni rapporto tra volumi di sfere, coni e cilindri. Quanto ho amato le materie scientifiche! Potrei parlarvene per ore. I numeri poi suggerivano racconti di menti geniali che li disponevano in modi nuovissimi. E questo potere era un dovere a cui obbedire nelle strade di Madras come nei cortili di Cambridge. Non si può rinunciare alla fantasia, ma attenersi a delle regole che ammettono sempre deroghe e stimolano ogni creatività. Per ribellarci a due parallele che stabilivano di non volersi incontrare, abbiamo costruito quattro geometrie! Le scienze esatte sono le grandi alleate della nostra possibile inventiva, indiscutibili modi per raccontare l’universo e quindi mai noiose, mai oppressive. Trasformano anche esteriormente chi riesce a praticare questo settore dello scibile umano: la casa di Gaetana Agnesi era affollata, la bellezza di Maryam Mirzakhani e dei suoi disegni era indicibile! Le sue idee topologiche di una creatività incredibile e l’inventiva un pericolo contagioso per le generazioni di futuri appassionati. Ogni volta che sembra non ci sia niente da inventare, ma solo da applicare cabale per risolvere problemi immaginari, un matematico può sempre reinventare. Così Cantor reinventa Zenone, Gauss e Riemann ritrovano Apollonio. Certe notti sogno delle grandi lavagne piene di cifre ed io con uno straccio cancello ogni traccia che ha a che fare con i numeri e con l’aritmetica per lasciare nell’aria satura di gesso, la bellezza delle idee che su quella lavagna erano scritte.
PIETRO DI MARTINO ci parla del rapporto che le persone hanno con la matematica
L’intervista di Enrico Vaime tocca un tema a me particolarmente caro, tanto da essere da tanti anni oggetto dei miei studi di ricerca (condotti insieme a Rosetta Zan): quello del rapporto con la matematica che le persone costruiscono nel proprio percorso formativo. La testimonianza di Enrico Vaime, ci piaccia o no, racconta di un fallimento educativo e noi sappiamo che è un tipo di fallimento educativo non isolato e non confinato alla scuola dei tempi di Vaime. Fallimento educativo oggi rispetto ad uno dei traguardi per competenza esplicitamente riportati nelle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo: “L’alunno sviluppa un atteggiamento positivo rispetto alla matematica, attraverso esperienze significative, che gli hanno fatto intuire come gli strumenti matematici che ha imparato ad utilizzare siano utili per operare nella realtà”.
Nel suo intervento Vaime mette insieme un sacco di cose che lo riguardano personalmente: la sua visione della matematica, la sua difficoltà con la matematica, le sue emozioni nei confronti della matematica, la sua idea di utilità di un insegnamento. Il problema principale che emerge ascoltando la registrazione è che Vaime sembra non rendersi conto che non sta parlando della matematica, ma di come è stata insegnata a lui, o meglio, della percezione che lui ha di come gli è stata insegnata. Chiunque ama e ha amato la matematica probabilmente la ama proprio perché la riconosce come un campo nel quale fantasia, inventiva e creatività sono sollecitate e valorizzate (vedi sopra il commento della collega Sandra Lucente).
Al di là di questo equivoco, peraltro molto diffuso, il discorso di Vaime è interessante da un punto di vista educativo perché tocca temi sensibili e complessi: quale immagine della matematica è veicolata dall’insegnamento scolastico e quale è l’utilità di una formazione matematica. Non basterebbe un libro per scrivere compiutamente di questi aspetti e quindi mi limito solo ad un breve accenno sull’utilità. La mia opinione è che identificare l’utilità di quel che impariamo con l’immediata spendibilità sia non solo sbagliato, ma culturalmente avvilente (il discorso sull’incontro nella vita dei logaritmi si potrebbe fare ad esempio con qualsiasi opera letteraria e sarebbe truce allo stesso modo). D’altra parte per giustificare l’insegnamento della matematica, secondo me, non è sufficiente sottolineare come la matematica sia presente in tutti gli oggetti che usiamo: questo esplicita la riconosciuta utilità sociale della matematica, ma quella individuale e formativa? Questo tipo di utilità è richiamata nell’introduzione nei materiali sviluppati dall’UMI-CIIM nel progetto sulla Matematica del cittadino Matematica2001, Matematica2003, Matematica2004: “L’educazione matematica deve contribuire a una formazione culturale del cittadino, in modo da consentirgli di partecipare alla vita sociale con consapevolezza e capacità critica”.
Al di là dei fondamentali aspetti di conoscenza specifica che dovrebbe veicolare l’insegnamento di ogni materia, quale contributo alla formazione culturale dell’individuo può dare l’educazione matematica? La mia opinione è che l’educazione matematica ha le potenzialità per sviluppare nell’individuo cose come la capacità di adattarsi ai problemi; la capacità di saper valutare le conoscenze e competenze necessarie per affrontare consapevolmente un argomento di discussione e per valutare se si hanno tali conoscenze/competenze (in caso negativo dunque scegliere consapevolmente se provare ad acquisire tali conoscenze/competenze o affidarsi ad altri, ma sapendo che ci stiamo affidando); la capacità di valutare molteplici aspetti di una questione e l’abitudine a sentire l’esigenza di voler sapere, rispetto ad un argomento di discussione, il cosa (conoscere ciò di cui si parla), il perché (conoscere perché se ne parla), il come (conoscere come si intende procedere e valutarne le conseguenze); la capacità di argomentare le proprie posizioni, di saperle difendere, di assumersene la responsabilità; la capacità di saper valutare le argomentazioni altrui, riconoscendo la competenza specifica, ma senza timori reverenziali.
Qualche anno fa (28 ottobre 2009) una notizia rimbalzò sui media di tutto il mondo: durante un incontro sull’istruzione in Iran, uno studente, Mahmoud Vahidnia, rivolgendosi all’ayatollah Khamenei, chiese perché nessuno poteva permettersi di criticarlo. Ebbene, scoprii finendo di leggere l’articolo, che questo ragazzo, che si ribellava all’idea di una “argomentazione per autorità”, era particolarmente bravo in matematica (olimpionico) e, per me, non fu assolutamente una sorpresa.
Insomma, riadattando il titolo del post direi: caro Vaime, ci dispiace davvero, non sa cosa le hanno fatto perdere.
Immagine: La presunta tomba di Archimede @Wikipedia Commons
Ho sempre sostenuto che chi è preposto ad insegnare La Matematica (somma materia) debba conoscerla in tutta la sua bellezza e in primis debba aver un laurea in matematicae non in biologia o in scienze o altro…solo così potrå presentarla con l’entusiasmo che questa materia merita…maestra di vita assoluta che ha tracciato la strada eterna ai grandi filosofi….poi i luoghi comuni restano tali.
Guglielmo Marconi si starà rivoltando nella tomba.
Colui che ha permesso a Vaime di dire banalità alla radio non era un creativo. Era semplicemente un fisico.
Vaimo, nella sua ignoranza caprigna, ha detto una cosa che pochi hanno il coraggio di dire: la matematica nelle scuole italiane viene insegnata da persone che sembrano volerla fare odiare, e che in generale andrebbero mandate a cogliere meloni. Qualunque materia al mondo risulterebbe noiosissima e odiosa se insegnata in quel modo. I rest my case.
La matematica nella scuola italiana viene insegnata in modo sbagliato perchè molti insegnanti non sono preparati.Nella scuola Media sono pochissimi gli insegnanti di matematica laureati in Matematica,la maggior parte ha una laurea in Scienze Biologiche,in Economia ed altre .Questi insegnanti privilegiano i calcoli lunghi e noiosi,che si possono fare benissimo con la calcolatrice,piuttosto che contestualizzare quei calcoli nella risoluzione di un problema.Anche nelle scuole superiori molti insegnanti di matematica non hanno la lurea specifica.
Nella Scuola media inferiore la totalità degli Insegnanti di matematica è laureata in scienze. Le lauree come matematica, fisica, ingegneria non sono abilitanti in quanto la cattedra è comprensiva dell’insegnamento di scienze. Sono tutti insegnanti che non hanno scelto gli studi matematici ma ne hanno sostenuto gli esami perché propedeutici ed obbligatori.
Dire che l’autore non sia consapevole della differenza tra la critica alla matematica in sé ed il modo in cui l’ha percepita dalla sua lontana esperienza scolastica mi pare un atteggiamento decisamente conciliante e assolutorio. In realtà è più probabile (ma solo un contraddittorio potrebbe stabilirlo) che sia una pura boutade, una captatio benevolentiae per blandire un pubblico che si sollazzi a veder confermato dall’alto di una comunicazione istituzionale un luogo comune particolarmente radicato nell’immaginario collettivo nostrano (magari in Cina o in India ne hanno una percezione completamente diversa). Più serio, ma forse di minor presa, sarebbe stato illustrare gli aspetti critici di un insegnamento che trova nelle difficoltà organizzative e nella diffusa incompetenza di molti professionisti del settore la vera nota dolente. Siamo sicuri però che il nostro avrà modo di correre ai ripari.
Ha ragione Vaime laddove, senza esserne cosciente, denuncia la maniera a dir poco scandalosa, con cui ci propongono la matematica a scuola. Difatti, in realtà Vaime sta parlando di numeri e di calcoli ed è solo questo che sovente la scuola ti comunica, quasi sempre in maniera pedante e ripetitiva.
Ha torto, torto marcio Vaime (che io stimo ed apprezzo da sempre come sicuramente geniale interprete del mondo in cui coabitiamo) a non comprendere che la matematica è, innanzi tutto “logica”, “ragionamento”, “pensiero” e che il problema di una banale somma non è il risultato ma i mille creativi modi di arrivarci a quel risultato. Dire che la matematica è inutile, caro Vaime, equivale a sostenere ch’è inutile pensare e che non servono i ragionamenti, neanche i suoi quando li usa per condannare qualcosa che nessuno gli ha mai saputo insegnare ma che, ogni volta che “inventa” un sottile ragionamento magari ironico sta, appunto, usando la matematica.