È da qualche giorno in sala il film “Il teorema di Margherita”, un film di Anna Novion che ha al centro una giovane matematica. In giro per l’Italia ci sono state varie iniziative per commentare il film con matematici: a Perugia con Patrizia Pucci, a Ferrara con Cinzia Bisi. il Dopolavoro Matematico ha proposto dei dibattiti post proiezione a Firenze al Cinema Alfieri (ieri con Chiara de Fabritiis) e oggi, 3 aprile, a Roma alle 18 al Cinema Farnese Arthouse in piazza Campo de’ Fiori 56. Qui vi proponiamo una accurata recensione di Anna Maria Cherubini.
“Il teorema di Margherita” inizia con una intervista. A Marguerite (non si capisce perché in Italia il titolo traduca anche il suo nome) dottoranda in matematica all’École Normale Supérieure (ENS) a Parigi. L’intervista probabilmente è per un sito interno alla Scuola, sono poche domande, ma servono a noi per entrare subito nella storia. Marguerite è all’ultimo anno di dottorato, pochi giorni dopo deve fare un seminario. Alla domanda se abbia altre passioni oltre alla matematica risponde, dopo qualche istante di imbarazzo, che le piace camminare perché la aiuta a pensare. Porta pantofole di feltro in università, così capiamo che è totalmente assorta dal suo lavoro ed ha il minimo di ‘stranezza’ d’ordinanza per una matematica in un film. Che un po’ all’inizio irrita, se si è matematiche, perché temi che riparta il solito cliché, però è solo il primo segnale per indicarci che è disinteressata a seguire qualunque tipo di convenzione non giustificata. E la presentazione di Marguerite è perfetta: è seria, composta, e come prima cosa corregge l’intervistatrice che parla del ‘teorema’ di Goldbach: congettura, dice, non teorema (io avevo appena finito di correggere allo stesso modo un amico con cui vedevo il film).
Marguerite è molto in ansia per il seminario, che è decisivo perché è il primo in cui presenta i risultati del suo lavoro di tesi (su questioni relative alla congettura, appunto) anche se è già all’ultimo anno di dottorato: studia, ripete, chiede al professore suo tutor di dottorato di controllare dei lemmi ma lui si rifiuta, perché li hanno già discussi e ha molto da fare. Ha troppo da fare per seguire Marguerite ma ha invitato un altro dottorando da Oxford, Lucas, a lavorare con lui. Marguerite non dice nulla ma ci rimane male, giustamente perché da subito il professore fa capire implicitamente che per lui Lucas è più bravo, quello su cui investirà il suo tempo, e le chiede di rivolgersi a lui per domande e discussioni.
Lucas è presentato come l’anti-Marguerite: è spavaldo, carino, con il taglio di capelli alla Eton indispensabile ai matematici di Oxford dei film, è estroverso quanto lei è solitaria e suona il trombone in una banda di studenti. Lei da subito rifiuta contatti con lui: quando Lucas si siede al tavolo in mensa dove lei pranza da sola giocando distrattamente con una pietra celtica (le matematiche dei film giocherellano con oggetti matematici, non con il telefonino) lei rifiuta ogni offerta di collaborazione. Lucas sarà la sua nemesi: durante il seminario nel quale Marguerite spaventata presenta i suoi risultati ad una platea praticamente di soli uomini, trova il punto debole della dimostrazione che fa crollare tutta la costruzione. L’atmosfera vagamente intimidatoria di certe platee, soprattutto per una giovane matematica, è colta benissimo. Marguerite scappa dall’aula, poi va dal professore disperata ricordandogli che gli aveva chiesto di rivedere il lavoro, solo per sentirsi rimproverare di essere fuggita, invece di restare e tener testa alle domande, e comunicare che deve cercarsi un altro argomento e un altro relatore.
Marguerite nottetempo se ne va dal suo alloggio, lasciando una lettera di dimissioni dal dottorato. Chiude le comunicazioni con la madre, risponde solo al professore che la chiama ma su richiesta della madre preoccupata e le consiglia di tornare per non dover restituire tre anni di borsa di studio, e cerca un lavoro. Durante una prova di assunzione per somministrare questionari di gradimento ad un rossetto contesta il questionario, che è sbilanciato e non darebbe risultati attendibili, e viene cacciata via, insieme ad un’altra ragazza, Noa, che sta cercando una coinquilina.
Inizia così la nuova vita di Marguerite, in un quartiere e in un ambiente molto diverso da quello dell’ENS. E qui la storia prende il volo, perché Marguerite non scende a compromessi con la sua logica, la sua intelligenza e la sua formazione ma si adatta e prende il bello e l’utile quando lo riconosce e cerca di imparare quello che non conosce. Con Noa sono strane compagne, Marguerite cambia suoi atteggiamenti per non irritarla e ne cerca l’amicizia. Lei non balla, ma rimane incantata da Noa che balla in un locale e la difende da una ragazza gelosa. Decide che come Noa può frequentare ragazzi per divertirsi e inizia a farlo, in modo letterale, come chi deve imparare, scegliendosi uno in un locale solo perché giocherella con una pallina come fa lei con la pietra celtica.
Ma soprattutto, vede giocare a mahjong e lo impara online diventando imbattibile nelle bische clandestine cinesi del quartiere. Non ha pregiudizi Marguerite, ha solo convinzioni incrollabili su quello che è logico e accettabile, e un enorme dolore dentro per non essere riamata dalla matematica come la ama lei, e per essere stata abbandonata da chi doveva sostenerla. Giocando a mahjong improvvisamente la sua testa si riapre alla matematica e si mette a lavorare ad una nuova idea, giorno e notte: ridipinge di nero la sua stanza per avere lavagne e riparte. Stavolta, lei che lavora sempre da sola, va da Lucas, che ha schiaffeggiato dopo il seminario, e gli propone di lavorare con lei, perché lui ha un invito ad una conferenza importante dove potrebbe presentare il loro risultato. Non le interessa fare amicizia, ma quando è chiaro che lui rifiuterebbe di collaborare con lei se non ci fosse una parvenza di rapporto amichevole si apre e racconta qualcosa di sé, di come sia partita la sua passione per la matematica e per Goldbach e del padre che l’ha abbandonata, e condivide con lui un po’ della sua vita nel quartiere cinese, dove ormai è una celebrità per la sua bravura a mahjong.
Lucas continua infelicemente a dire che lei è ‘strana’: cosa ‘strana’ in sé trattandosi di un matematico (Marguerite non è strana per niente nel contesto) e per giunta con i suoi tic, di cui uno molto carino che ricorda Ennio De Giorgi. E cosi continua il film, tra disastri e successi, e nuove passioni. Marguerite finalmente si sente riamata dalla matematica e dai suoi nuovi amori, e purtroppo non posso entrare in ulteriori dettagli per evitare di rivelare completamente il film.
‘Il teorema di Margherita’ si può leggere in tanti modi: un apologo sulla passione, per esempio, senza la quale non si arriva da nessuna parte in cui valga la pena di arrivare, e sulla curiosità e la disponibilità a guardare oltre la propria sfera e la propria ossessione quasi maniacale, perché Marguerite trova nuove strade quando ha il coraggio di mollare il suo mondo, che l’ha tradita, e aprirsi ad altro. Oppure si può vedere come una storia d’amore, di molti amori che spuntano via via e si nutrono a vicenda: è una storia di giovani ‘normali’, per quanto si occupino di matematica, né perduti in qualche inferno né eroi né redattrici di Vogue. Potrebbe anche essere usato come pubblicità ai corsi di matematica, perché mostra le competenze (come si dice ora) che studiando matematica si acquisiscono implicitamente e non sono affatto comuni.
Per me però la finezza del film è l’essere riuscito a cogliere aspetti della vita di una giovane matematica con estrema precisione. La regista ha avuto una consulente matematica ma soprattutto ha evidentemente parlato con la comunità matematica e frequentato i dipartimenti, e ha osservato i comportamenti e le atmosfere. Usa qualche cliché per caratterizzare l’ambiente e le persone ma sa di usarli e lo fa come se fossero citazioni, strizzandoci l’occhio, soprattutto ai matematici e alle matematiche (la pietra celtica per me è stato come un messaggio agli adepti e alle adepte, per comunicare che sapeva di cosa e di chi stava parlando). Allo stesso tempo sa raccontare la passione che ti porta a scegliere questo lavoro e insieme la pressione e l’ansia dell’arrivare ad un risultato. Il terrore di non vedere gli errori importanti e lo stigma, la vergogna che senti e che nessuno alleggerisce, anzi, se sbagli. La gioia totalizzante e difficilmente spiegabile di capire il problema, trovare la strada giusta e disegnare il quadratino alla fine della dimostrazione. E poi la solitudine in cui spesso si vive, e indirettamente la regista fa capire molto bene che Marguerite è sola anche perché è l’unica ragazza del suo corso e una delle pochissime donne che appena si intravedono sfocate in fondo alle aule: trovare un’amica le cambia la vita e la prospettiva.
I livelli di stress fra i dottorandi e dottorande sono altissimi, si legge, e infatti il dottorato è un periodo cruciale ma a volte devastante soprattutto se, come nel caso di Marguerite, la persona che dovrebbe insegnarti il mestiere, e guidarti nell’ambiente, il mestiere non te lo insegna, e ti abbandona proprio quando serve supporto e aiuto. Laurent, il supervisore, vuole lavorare con qualcuno che consideri quasi suo pari, come Lucas, un collaboratore da cui ricevere, non una studentessa a cui lui debba dare: le dice infatti che ci si aspetta che lei sia autonoma e la molla quando pensa che gli porterà via tempo e non gli darà prestigio. Ne ho conosciuti, credo che in tante e tanti ne abbiamo conosciuti, di professori anche noti e brillanti che distruggono senza curarsene vita e carriera di giovani studenti, ragazze in particolare. Marguerite ha le risorse per farcela senza di lui e non viene schiacciata né dagli abbandoni né dal crollo del castello a cui ha lavorato per anni, ma per altri e altre non è così.
Detto questo, il film è molto piacevole, a tratti buffo, a tratti commovente per chi da certe strade ci è passato, e il cast ottimo. Ella Rumpf, che intrepreta Marguerite, ha vinto il César come miglior esordiente ed è spettacolare. La sua camminata decisa ma un po’ rattrappita come se si volesse nascondere, il suo viso che rende evidenti tutte le emozioni costruiscono Marguerite come un personaggio tenero ma potente. Jean-Pierre Darroussin è il tutor di Marguerite, vecchia ‘faccia’ del cinema francese: per me era il coraggioso direttore del dipartimento degli agenti sotto copertura nella bellissima serie di spionaggio “Le bureau des légendes”, mentre qui interpreta benissimo un arcigno, scostante e vanitoso professore, che mostra una crepa di umanità solo in una breve scena, in cui va a cercare Marguerite e cerca maldestramente di darle consigli. E tutti gli altri, soprattutto l’amica Noa e Lucas (de la Comédie Française, ci ricordano i titoli di testa e di coda).
È un film da vedere, per tutti e tutte, ma speciale per matematici e matematiche che coglieranno i dettagli rivolti a loro: cercatelo, perché non è moltissimo distribuito e sarebbe un peccato farselo scappare.
Anna Maria Cherubini
IL TEOREMA DI MARGHERITA
Regia di Anna Novion. Un film Da vedere 2023 con Ella Rumpf, Jean-Pierre Darroussin, Clotilde Courau, Julien Frison, Sonia Bonny. Cast completo Titolo originale: Le Théorème de Marguerite. – Francia, Svizzera, 2023, durata 112 minuti. Uscita cinema giovedì 28 marzo 2024 distribuito da Wanted.
Buona recensione, coglie molti aspetti del film che è girato e interpretato benissimo. Razionalità ossessiva e passione, sentimento, si confrontano per giungere infine ad un nuovo equilibrio dopo un periodo di “montagne russe”. Senza il sentimento e la passione una competenza arida e maniacale come la matematica a quei livelli porta alla follia. L’articolo racconta bene questi temi, mi ci sono ritrovato.
Grazie per questa bella recensione sulla quale concordo. Mi ha ricordato due storie personali per cui in molte parti mi sono commossa. Una giovane nipote dottoranda in astrofisica (anche lei abbandonata dal padre in giovane età). Un figlio che ha battuto il muso sulla Matematica ed è felicemente trasmigrato sulla Storia dell’arte. Bravissimi tutti gli attori.
Buongiorno, ho visto il film, molto bello qualche perplessità su come termina… Volevo chiedere se, secondo te, le varie formule scritte sulle lavagne e sui muri di casa sono appropriate o meglio la consulenza matematica è stata così stringente da indicare e controllare i passaggi e i risultati intermedi? Grazie.
Ciao. Le formule mi sembravano congruenti al contesto; per dire se i singoli passaggi siano corretti si dovrebbe fermare l’immagine. Penso che, vista la consulenza di un gruppo di matematici, lo siano ‘localmente’, cioè a livello di singole inquadrature.