La probabilità può aiutare a comprendere i fenomeni del mondo nella loro complessità, così da evitare pregiudizi e false credenze. Tra superenalotto e test medici, ce ne parlano Marco Menale e Angelo Vulpiani, Professore ordinario di Fisica Teorica alla Sapienza.
Nelle nostre attività incontriamo continuamente situazioni incerte, che non siamo in grado di controllare e prevedere. In questi casi usiamo termini come caso, incertezza e aleatorietà. Provengono tutti dalla teoria della probabilità, branca della matematica formalizzata solo in tempi relativamente recenti e a lungo considerata una cenerentola. A lungo si è detto che “la probabilità sta alla matematica come il mercato nero sta all’economia”. Addirittura, il gruppo Bourbaki, notoriamente ultra formalista e spesso con posizioni provocatorie, non ha considerato la teoria della probabilità abbastanza pura da essere annoverata tra i veri settori matematici (come l’algebra, l’analisi e la geometria per intendersi). La letteratura divulgativa rimane relativamente limitata, quasi sempre ne parla brevemente e non sempre in modo soddisfacente, ignorando completamente aspetti interessanti e importanti come lo studio dei sistemi complessi e le molte applicazioni che vanno dalla biologia e la medicina alle nanotecnologie e le scienze aerospaziali.
Partiamo da una frase del fisico e matematica scozzese James Clerk Mawell:
“La vera logica del mondo è il calcolo delle probabilità.”
Una ragionevole comprensione dei concetti fondamentali della probabilità, al di là degli aspetti più tecnici, dovrebbe essere patrimonio di base non solo di chi si occupa di scienza in modo professionale.
Il primo motivo è avere una visione non falsata della realtà, così da contrastare pregiudizi e bias. Tra le tante dicerie, spesso vere e proprie superstizioni, ci sono quelle sul gioco del lotto, una per tutte le persistenti idee errate sui numeri ritardatari cosa solo apparentemente innocua.
Ecco un esempio di come si arriva a conclusioni grottesche senza una comprensione dei concetti base della probabilità. Nella prima pagina della Repubblica del 14 agosto 2020 dedicata alla vincita di 209 milioni di euro al Superenalotto si legge:
“Il CNR ha calcolato che c’è una possibilità su oltre \(622\) milioni di indovinare la sestina giusta.”
Al contrario da quanto sembrerebbe, si tratta di un’applicazione elementare del calcolo combinatorio che uno studente di liceo dovrebbe conoscere.
Si trova poi una colonna di commento dal titolo:
“Il trionfo del caso che umilia la cabala”
Il fortunato giocatore ha vinto puntando solo \(2\) euro, comprando una schedina prestampata generata da un algoritmo automatico. In un certo senso è vero: l’algoritmo che ha prodotto la schedina vincente è decisamente bravo, ma non c’è da essere sorpresi. Cosa ha fatto mai questo algoritmo di così eclatante? Semplicemente ha generato dei numeri a caso, in sostanza la versione digitale della tombola di Natale: si prende un sacchetto con \(90\) numeri e se ne tirano fuori \(6\). La strategia è buona, anzi ottimale, ma a pensarci con calma non è migliore di quanto si otterrebbe con la Smorfia la combinazione di date di nascita di familiari e amici. Il motivo è molto semplice: in ogni estrazione i numeri sorteggiati sono indipendenti da quelli delle estrazioni precedenti, è quindi inutile affidarsi ai famigerati numeri ritardatari.
Un minimo di confidenza con concetti come indipendenza, probabilità condizionata e formula di Bayes, permetterebbe, non solo di evitare la scrittura di una pagina con considerazioni fuorvianti su un giornale abbastanza diffuso, ma anche di valutare l’operato dei nostri amministratori, ad esempio nelle strutture sanitarie.
Nei test medici di laboratorio, in contrasto con l’intuizione che può suggerire conclusioni errate, non è importante solo la probabilità di errore del test, quanto il rapporto tra la probabilità di errore e la probabilità della malattia. Tanto più una malattia è rara, tanto più il test deve essere accurato, altrimenti il risultato non è significativo. A questo proposito, negli anni novanta in un interessante esperimento veniva proposta a un gruppo di medici e studenti di medicina di Harvard la seguente domanda:
“Una malattia ha un tasso di incidenza di \(1/1000\). Esiste un test che permette di individuarne la presenza. Questo test ha un tasso di falsi positivi del \(5\%\). Un individuo si sottopone al test e risulta positivo. Qual è la probabilità che l’individuo sia effettivamente malato?”
Solo il \(18\%\) dei partecipanti al test diede la risposta corretta, mentre ben il \(58\%\) rispose, con un argomento intuitivo ma errato, che la probabilità era del \(95\%\). La risposta esatta, che si ottiene facilmente dalla formula di Bayes, è circa il \(2\%\).
Anche in ambito giuridico la scarsa conoscenza della probabilità ha avuto spesso un ruolo fondamentale.
Nel processo all’attore O.J. Simpson il suo avvocato convinse la giuria dell’improbabilità che il suo cliente avesse ucciso la consorte. L’argomento era il seguente:
“Ogni anno circa quattro milioni di donne sono picchiate dai loro mariti, di queste circa mille sono uccise, quindi la probabilità che un marito che picchi la moglie la uccida è mille diviso quattro milioni, una probabilità molto piccola.”
La domanda giusta sarebbe stata: quanto vale la probabilità che un marito che picchi la moglie sia l’assassino della moglie uccisa? Dai dati statistici si ha che tale probabilità è circa il \(95\%\). Non è chiaro se l’avvocato fosse in buona fede oppure avesse qualche competenza su gli aspetti di base ed abbia sfruttato le idee errate della giuria sulla probabilità a favore del suo cliente.
Una cultura probabilistica diffusa è sicuramente necessaria per decidere come scommettere, cosa che possiamo considerare frivola (ma che può generare problemi non banali), o per commentare i processi alle star del cinema. Più in generale, è determinante per esercitare una forma di cittadinanza attiva e consapevole. E, forse, così saremmo capaci di smascherare le fake news, valutare le scelte della politica e finanche capire come investire i nostri soldi.
Per approfondire:
- B. de Finetti L’invenzione della verità, Raffaello Cortina, Milano, 2006
- H. Hosni Probabilità: Come smettere di preoccuparsi e imparare ad amare l’incertezza, Carocci, 2018
- H. Poincaré Geometria e caso, Bollati Boringhieri, 1995
- N. Taleb Il cigno nero, Il Saggiatore, 2007
- A. Vulpiani Caso, probabilità e complessità, Ediesse, 2014
In una recente intervista il prof. Roberto Natalini parlando del teorema di Bayes affermava:
“…è il grande assente nella maggior parte dei corsi di matematica impartiti nella scuola superiore. E si vede! Infatti la maggior parte delle persone adulte poi commette errori marchiani nel leggere i dati, come si è visto durante il periodo della pandemia.”
Leggendo queste parole mi è tornata in mente una frase sentita durante un dibattito televisivo nel periodo della pandemia: “È notizia di oggi che su 100 malati di Covid in terapia intensiva circa la metà sono persone vaccinate, quindi … vaccinarsi non serve a niente”, qualcuno provò ad obiettare parlando di percentuali ma le sue parole si persero nel chiacchiericcio generale, tipico purtroppo di certi “dibattiti”.
La verità era che in quel momento quasi l’80% della popolazione italiana aveva fatto almeno un vaccino e quindi il dato riportato diceva che la probabilità di ammalarsi gravemente era quattro volte maggiore per una persona non vaccinata che per una vaccinata.
Non posso che condividere quindi l’auspicio che la probabilità abbia un maggiore spazio nell’insegnamento della matematica e non solo alle superiori.
Per quanto riguarda il liceo scientifico ci sono tutti i presupposti, le IN prevedono che l’argomento si affronti fin dal primo biennio e i testi in uso consentono di trattare l’argomento, proponendo anche quesiti interessanti (test clinici, controllo di qualità, ecc…), entro il quarto anno.
Quindi se non è più vero che la probabilità sia la cenerentola tra gli altri argomenti è vero però che occorrerebbe fare qualcosa per vincere l’inerzia che ancora vedo in alcuni docenti.
Concludo con una proposta: nella prova d’esame invece del solito quesito negli 8 a scelta perché non proporre un intero problema di combinatoria e probabilità? Forse metterebbe in difficoltà molti studenti ma darebbe una “spinta” ai loro docenti.