Pin It

La distorsione di Malmquist è uno dei bias delle raccolte dati. Scoperto e studiato nell’osservazione astronomica, può presentarsi in diverse situazioni. Ce ne parla Marco Menale.

Il 25 dicembre 2021 è stato lancio il James Webb Space Telescope, il più grande e potente telescopio mai realizzato. Lo specchio da 6,5 metri di diametro consentirà di vedere lontanissime galassie. Così gli scienziati potranno guardare indietro nel tempo e capirne di più sugli inizi della storia dell’Universo. E i dati raccolti saranno a disposizione della comunità internazionale per diversi scopi di ricerca. La potenza di questo telescopio limiterà un bias delle osservazioni galattiche: la distorsione di Malmquist.

Karl Gunnar Malmquist è stato un astronomo svedese, vissuto tra l’Ottocento e il Novecento. Dopo il dottorato lavora presso l’Osservatorio Astronomico di Lund. E qui si rende conto di un bias nell’osservazione del cielo. All’aumentare della distanza degli oggetti celesti si osservano con maggiore probabilità quelli più luminosi. Ed a parità di distanza è più facile osservare una galassia che una singola stella. Malmquist raccoglie queste osservazioni in due articoli: “On some relations in stellar statistics” e “A contribution to the problem of determining the distribution in space of the stars”.

Guardiamo più da vicino il problema. La luminosità di un corpo celeste è la quantità di energia emessa per unità di tempo. Gli studiosi la misurano utilizzando due diverse quantità. La magnitudine apparente misura la luminosità di un corpo da un punto di osservazione fissato, di solito la Terra privata dell’atmosfera. La magnitudine assoluta azzera la distanza dei corpi. Infatti corrisponde alla magnitudine apparante a patto che il corpo in questione si trovi alla distanza di 1 unità astronomica (la distanza Terra-Sole, circa 150 milioni di chilometri). Ma resta la luminosità dell’oggetto osservato a fare la differenza e determinare il bias nei dati raccolti.

Malmquist pensa ad un modo per risolvere questo problema. L’idea è una correzione sui dati. Sia \(M\) la magnitudine assoluta media calcolata ed \(M^*\) la magnitudine assoluta media vera. Definisce il fattore di correzione

\[\Delta M=M – M^*.\]

Ma \(M^*\) non è noto. Allora Malmquist usa le magnitudini apparenti ed approssima la funzione di luminosità con una gaussiana di varianza \(\sigma\). E arriva così alla stima

\[\Delta M= -1,382\, \sigma^2.\]

Ed è ancora oggi considerata un buon risultato, alla luce degli strumenti di quel periodo.

A che servono queste correzioni? Prendiamo la legge di Hubble che descrive l’espansione dell’Universo. La relazione matematica è

\[\mu=H_0\cdot D,\]

dove \(\mu\) è la velocità di allontanamento, \(D\) è la distanza dall’osservatore ed \(H_0\) è la costante di Hubble. \(\mu\) ed \(H_0\) sono quantità che vengono misurate con le magnitudini. Allora una stima migliore di \(\mu\) e \(D\) consente una stima migliore di \(H_0\). Il telescopio spaziale Hubble ha limitato il bias di Malmquist con la sua potenza. E così la stima di \(H_0\) è migliorata (qui per i dettagli). Il James Webb Space Telescope manderà in pensione proprio Hubble.

Troviamo il bias di Malmquist in diversi contesti. Infatti ogni volta che si effettuano misurazioni e raccolte dati bisogna tenere conto degli strumenti a disposizione e dei loro limiti. Cosa possiamo fare? Tenerlo presente prima di giungere a conclusioni. E poi aspettiamo i progressi della scienza e della tecnologia, come un James Webb Space Telescope.

 

 

[Illustrazione di Luca Manzo]

Marco Menale

Pin It
This website uses the awesome plugin.