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Massimo Fornasier, 35 anni, bellunese di origine, è attualmente Senior Researcher presso il Johann Radon Institute for Computational and Applied Mathematics dell’Austrian Academy of Sciences di Linz. Nel 2008 ha ricevuto lo START Prize dal governo austriaco che consiste in 1,2 milioni di euro per sei anni per il progetto “Sparse Approximation and Optimization in High Dimensions”.

Q.: Dai cominciamo. Intanto presentati. Racconta chi sei, cosa fai.
A.: Sono Massimo Fornasier, sono nato a Belluno e dalle mie montagne sono sceso a Padova dove ho studiato matematica. In fondo questa è stata un po’ una costante nella mia vita, il paddaggio dal piccolo al grande. Già da Belluno a Padova era stato un passaggio da un piccolo centro alla città. Poi questa dimensione si è ulteriormente ingrandita, prima a livello europeo, e quindi negli Stati Uniti. Alla fine mi sono stabilito, come attività lavorativa, presso l’Accademia delle Scienze austriaca dove presto attualmente servizio. Ho però appena accettato una posizione da Professore Ordinario in “Analisi Numerica Applicata presso la Technische Universitaet di Monaco di Baviera, dove prenderò servizio ad aprile.

Q.: Complimenti, che bella notizia! Senti, di cosa ti occupi? Quali sono i problemi che interessano?
A.: Da un punto di vista molto generale sono interessato all’interdisciplinarità, una cosa che mi ha accompagnato sin dall’inizio dei miei studi di matematica applicata. In modo specifico mi interessano tecniche matematiche e metodi per comprimere l’informazione che possono essere applicate già nel senso classico, alla compressione di dati, che possono essere immagini o suoni, o che possono essere elaborazioni di immagini stessi. In questo caso, partendo da un formato dati non compresso, si cerca di arrivare ad un formato molto più ridotto per operare più rapidamente. Questi concetti possono essere però anche trasportati alla simulazione numerica. Quando si tratta di problemi a grandi scale, o che vivono in dimensione elevata, in cui cioè il numero dei parametri è molto alto, allora entra di nuovo in gioco l’utilizzo di tecniche di compressione numerica.

Q.: Ci puoi spiegare cosa sia questa compressione numerica?
A.: Compressione numerica. Quando abbiamo tanti esempi diversi di uno stesso fenomeno, scopriamo che questi esempi non sono completamente casuali. Cioè, i dati si accumulano intorno ad alcuni valori tipici del fenomeno in questione. Se vediamo solo un esempio può sembrare molto complesso, ma quando ne vediamo tanti, viene fuori una statistica abbastanza definita. Insomma, la legge dei grandi numeri, tanti più esempi abbiamo e tanto più ci avvicineremo alla loro media statistica. Anche le immagini naturali o i suoni in realtà hanno delle caratteristiche fondamentali che condividono nel loro insieme. Questo ci permette di trattare per esempio un’immagine, raccogliendone in modo ridotto le sue caratteristiche fondamentali, ma senza perdere la loro essenza. In altre parole, nella stragrande maggioranza dei fenomeni complessi, per quanto possano apparire sofisticati, i parametri che possono definirli in maniera accurata sono in realtà molto pochi.

Q.: Puoi farci un esempio pratico? Per esempio quando scattiamo una foto e la trasformiamo nel formato compresso JPEG che tutti conoscono, che operazione facciamo realmente?
A.: In realtà uno può cercare di semplificare il modello di un’immagine come un insieme zone in cui il colore è abbastanza uniforme e zone in cui ci sono transizioni da un colore all’altro. Ora io ho te nello schermo e vedo che hai un maglioncino blu, se io dovessi separare l’immagine avrei una parte sopra rosa, specialmente la parte superiore…

Q.: Ah, ah (risata a denti stretti).
A.: E poi la parte sotto blu. Io per descriverti ho bisogno di un puntino rosa sul tuo naso, uno blu sul tuo maglione e poi poter dire dove sta la separazione tra la testa e il maglione. Insomma trovare l’interfaccia tra le due parti, Dunque ‘informazione che mi serve veramente è molto più piccola di quello che sembrerebbe. E questo fanno tutti gli algoritmi di compressione dell’immagine. Cioè riescono ad individuare le zone uniformi e i punti di salto. Per cui i contorni sono la cosa che viene salvata, insieme al contenuto della parte uniforme. La cosa fondamentale è che questo avviene automaticamente.

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Originale(=100%) (53,6 KB)      Compressione=1% (2,5 KB)       Compressione=2% (2,6 KB)

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Compressione=6% (3 KB)           Compressione=9% (3,6 KB)    Compressione=20% (8,6 KB)

Q.: Ma come sei arrivato a questa problematica? Quando eri studente non era ancora un argomento così popolare.
A.: Beh, sì, infatti. All’inizio dei miei studi mi interessava l’algebra, anche grazie alla tradizione padovana in cui questo settore è molto ben sviluppato. Poi sono però mi sono maggiormente avvicinato all’analisi e, quando stavo cercando un relatore di tesi, tutte le persone a cui avevo chiesto erano abbastanza impegnate e mi avevano detto di attendere. Non potendomene stare con le mani in mano, seppi abbastanza per caso di un professore di fisica che aveva bisogno di metodologie di calcolo avanzate per cercare di ricostruire degli affreschi del Mantegna che erano stati distrutti da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, e con tecniche matematiche voleva cercare di risolvere questo vero e proprio puzzle degli affreschi. Contattai allora questo professore, che si chiama Domenico Toniolo, e mi proposi per collaborare con lui per qualche mese in attesa della Tesi. Appena cominciai a lavorare su questo problema capii che si trattava di un argomento molto affascinante, anche se da persona educata ad una matematica più pura, avevo un po’ il timore di“sporcarmi” troppo le mani con le applicazioni. Nella mia testa era però rimasta l’idea che sarebbe stato per poco tempo e quindi sarei tornato a fare una tesi in analisi. In realtà, una volta iniziato questo lavoro, mi sono reso conto di quanto fosse interessante e allo stesso tempo, anche per darmi una giustificazione morale, sono riuscito a trovare un approccio analitico, riuscendo a rappresentare questo problema come un problema matematico, con degli aspetti da studiare e da risolvere. E dopo alcuni mesi di percorso, mi sono ritrovato a fare una tesi su questo argomento. È nato così il mio interesse per il trattamento di immagini e le applicazioni interdisciplinari. Solo dopo ho capito che era un filone scientifico che si stava espandendo a livello mondiale e che oramai si è affermato a pieno titolo come un settore di studio matematico.

Q.: Capisco. E che tipo di risultati originali sei riuscito ad ottenere su questo problema? Che matematica hai usato?
A.: I risultati fondamentali sono in primo luogo di carattere algoritmico, ossia risolvere il problema complesso della localizzazione dei frammenti in maniera rapida e accurata. E l’altro era di descrivere questa accuratezza e robustezza in termini matematici. Gli strumenti usati sono tipici dell’analisi armonica, studiando approssimazioni in spazi funzionali. E queste approssimazioni hanno bisogno delle cosiddette trasformate di Fourier per poter funzionare.

1Q.: Sei quindi riuscito a portare a termine questo progetto che è abbastanza unico a livello mondiale (Nota della Redazione: un approfondimento sulla storia della ricostruzione degli affreschi del Mantegna si trova nelle schede divulgative di Maddmaths!  “La matematica dell’immagine” ).

A.: Questo progetto è stato l’inizio del mio lavoro, ma anche purtroppo l’unica esperienza in cui l’intero percorso del matematico applicato sia stato fatto. Ossia, il percorso sarebbe: prendere un problema concreto, modellizzarlo dal punto di vista matematico, studiare il modello, vedendo come si comporta, poi produrre il modello numerico, e infine ingegnerizzare il software perché possa essere usato nella realtà. E questo fare l’intero percorso non mi è capitato più in seguito, a volte faccio una parte analitica, altre volte solo quella numerica. Certo, per il modo con cui abbiamo fatto il lavoro, con finanziamenti pubblici e privati, il grande numero di collaboratori coinvolti, e il risultato finale, ossia la ricostruzione di questi affreschi, credo che sia proprio stato un progetto eccezionale.

Q.: Va bene. E in seguito cosa hai fatto? Quali sono i maggiori risultati che hai ottenuto?
A.: Beh, devo dire che non è stato facile. Nell’ambiente in cui sono cresciuto c’era una particolare enfasi sulla matematica pura, persino nei corsi di analisi, e tutto era molto astratto. Per cui rimaneva in me il desiderio di approfondire a livello teorico. Ed è quello che ho fatto durante la tesi di dottorato svolta tra Padova e Vienna, dove avevo incontrato un professore, Hans Feichtinger, con cui ho iniziato a collaborare, e in questo contesto mi sono occupato di spazi funzionali e della loro caratterizzazione mediante funzioni di base generalizzate. Cioè si può cercare di capire come è fatta una funzione, regolarità, variabilità. localizzazione etc…, mediante la sua espansione in una determinate base. E ho sviluppato una teoria abbastanza generale, che si applica sia a spazi funzionali noti, sia in spazi nuovi con nuove basi funzionali, con un’enfasi particolare sulle basi che possono permettere una migliore compressione dei dati. In pratica mi sono occupato di analisi armonica, e da questo è nato un bel lavoro in collaborazione con S. Dahlke, H. Rauhut, G. Steidl e G. Teschke, apparso sui Proceedings of the London Math. Society. Toltomi lo sfizio di lavorare su un problema completamente teorico, anche se sempre legato alle problematiche di compressione dei dati, mi sono reso conto che a livello europeo stava emergendo l’importanza della matematica numerica. C’è stato un boom straordinario che mi ha convinto a lavorare in modo pienamente interdisciplinare. Per cui sono tornato ad occuparmi di compressione, ma questa volta da un punto di vista numerico. Come tradurre le idee analitiche in un algoritmo computazionale. Mentre lavoravo al Mantegna, avevo letto dei lavori di Ingrid Daubechies sulle wavelets, sono dei lavori di analisi funzionale applicata, e li avevo trovati belli. Non avrei mai immaginato di poter lavorare poi, nel 2006-2007, proprio con lei a Princeton. Con la Ingrid abbiamo collaborato, insieme a Ronald DeVore e Sinan Güntürk, che erano a New York. E abbiamo cominciato a lavorare su un problema classico, che all’inizio mi sembrava molto banale e anzi non capivo perché ci perdessimo tanto tempo. Si tratta di un algoritmo, che si chiama “re-weighted least squares minimization” (minimizzazione con i minimi quadrati ripesata), un algoritmo iterativo abbastanza noto per risolvere problemi con singolarità, che però fino ad allora non era stato completamente capito. Nel nostro lavoro abbiamo chiarito come si comporta questo algoritmo in modo abbastanza definitivo e il lavoro ha ricevuto il premio dell’Accademia delle Scienze austriache come miglior lavoro nel 2010. Ma la cosa che mi ha fatto felice è stato collaborare con queste persone, per le modalità con cui la collaborazione si è svolta.

Q.: Deve essere stato emozionante collaborare con un matematico del calibro di Ingrid Daubechies.
A.: Devo dire che sono rimasto stupefatto a molti livelli. Da una parte il modo in cui era nata questa collaborazione. C’era la volontà di Ron (DeVore) e Ingrid di lavorare insieme. Ron era da poco arrivato al Courant e quindi era possibile vedersi facilmente. È un po’ come tra musicisti jazz, quando a uno piace il sound dell’altro, non sappiamo cosa suoneremo, ma siamo sicuri che ne uscirà qualche cosa di buono. E questo era diverso da problemi che avevo affrontato precedentemente, che scaturivano sempre da problematiche molto precise. Insomma, un incontro tra affinità elettive. E poi una grande differenza con l’approccio classico, che di solito consiste nel guardare bene cosa ci sia in letteratura per capire come andare avanti. Questo invece è stato completamente ignorato da questi colleghi brillantissimi, che volevano porsi il problema direttamente, volendolo capire per conto loro, con una grande sicurezza di raggiungere in ogni modo un risultato originale. Ecco, questo mi ha proprio stupefatto.
A.: Di che ti stai occupando in questo momento?

Q.: Recentemente mi sono interessato a problemi di interazioni sociali, sistemi dinamici che sono dominati dalla distanza, che chiamiamo sociale, tra gli oggetti. Tante piccole particelle che agiscono anche a distanza e decidono di comportarsi in base a quello che fanno gli altri individui. In questo senso si possono includere forze sociali che creano diverse dinamche, come l’attrazione o la repulsione. Oppure ancora l’allineamento a diventare simili. O ancora la diffusione, un certo comportamento si diffonde tra i vari individui. Queste dinamiche sono ispirate dalla fisica e cercano di riprodurre il comportamento di gruppi di animali, per esempio gruppi di uccelli, oppure cellule che devono aggregarsi per formare organi o strutture. Ispirandosi alla fisica, i parametri tipici saranno le coordinate spaziale e le velocità del moto. Quello che mi lascia perplesso di questi studi, è che in realtà gli agenti, ossia le particelle, non si descrivono solo con parametri di posizione. Per esempio se il gruppo è il mercato finanziario formato dagli investitori, ognuno con i suoi investimenti, il numero di investimenti non sono 3 o 6, ma centinaia, e ci si ritrova a studiare evoluzioni in spazi di dimensione molto elevata, per esempio 1000. E qui la simulazione diventa proibitiva, soprattutto nell’ottica in cui vogliamo capire, prima di simulare, quale siano le forze veramente rilevanti. Quello di cui mi sto occupando è come operare la compressione di queste informazioni. L’idea è di proiettare il sistema che vive in dimensione molto alta su spazi di dimensione più bassa. Fare diverse di queste proiezioni e poi, da queste simulazioni in bassa dimensione, cercare di ricostruire cosa succede in dimensione più elevata.

Q.: Beh, un bel programma. Senti, tu vivi e lavori all’estero. Hai mai pensato di tornare? Come vedi l’Italia da lì?
A.: Io ho seguito un percorso di minimo sforzo, cercando sempre le migliori opportunità. E questo mi ha spinto a cercare di uscire dal contesto italiano, anche per potermi istruire meglio sul versante interdisciplinare. Uno dei limiti che vedo nell’ambiente italiano è questa separazione netta tra settori disciplinari. In diversi contesti, le persone vengono valutate per la loro capacità di contribuire a diversi ambiti, sia quello analitico, che quello numerico, che quello modellistico. Per dire, nelle chiamate a professore in Germania, il titolo della cattedra è sempre generico, e anzi a volte chiedono al candidato di dare lui il titolo alla cattedra. E poi in Germania c’è una grande apertura verso i giovani stranieri. A me stanno proponendo queste opportunità al massimo livello di cui parlavo prima, nonostante abbia solo 35 anni e abbia passato solo sei mesi in quel paese. E questo modello viene imitato da paesi come l’Austria o l’Inghilterra o la Spagna, in un processo che indebolisce le barriere nazionali. L’Italia la vedo, per contrasto, un po’ chiusa a questo processo, se non per il fatto che esporta giovani all’estero. E però potrebbe arricchirsi moltissimo se potesse cominciare a diventare attrattiva per i giovani, cosa per cui basterebbe anche poco. La cultura scientifica italiana è ancora di altissimo livello e sono sicuro che molti stranieri verrebbero molto volentieri a lavorare e ad istriuirsi presso i migliori gruppi . E per fare questo basterebbero piccoli investimenti che il nostro paese potrebbe facilmente permettersi.

Q.: Quindi secondo te la formazione dei giovani è comunque di buon livello.
A.: La cultura scientifica che ho appreso in Italia mi è bastata per andare avanti all’estero in situazioni anche molto competitive. Inoltre anche a confronto con i gruppi di ricerca che ho incontrato all’estero, credo che in Italia si faccia ancora della scienza di ottimo livello.

Q.: E a livello umano?
A.: Il problema dell’integrazione è importante, per quanto ci siano dinamiche per cui il merito viene riconosciuto, anche se poi competi con persone che sono di quel paese. Ma questo è diverso dal sentirsi integrati a livello personale. Gli scienziati sono un po’ i pionieri di un’Europa più integrata, la maggior parte delle persone vive infatti sempre a casa sua. Io personalmente mi sono accorto di avere un buon livello di integrazione su certe questioni, ma di incontrare qualche volta delle barriere sul lavoro. Però c’è un abisso tra quello che è oggi, e quello che era qualche anno fa. Prima mi sentivo veramente straniero, oggi devo lavorare solo un po’ di più per farmi apprezzare in un ambiente nuovo. Tuttavia rimane un po’ di dispiaere per non essere riuscito ad ottenere gli stessi riconoscimenti anche nel mio Paese.

Q.: A parte la matematica, come passi il tempo?
A.: Beh, adesso vivo a Vienna che è una città spettacolare, perché ha tutto. Ci sono le colline che sono delle piccole montagne e uno può andare facilmente a fare delle lunghe escursioni, per esempio in mountain-bike. Così come fare la barca a vela sul Danubio, nuotare all’aperto nel Danubio, andare all’opera o a teatro. Insomma ho avuto il regalo di vivere in una realtà che propone tantissimi interessi. Accanto alla matematica ho bisogno di questi spazi di divertimento. Tra un viaggio e l’altro amo molto farmi prendere dalla città.

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