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A molti matematici piace leggere romanzi e racconti, ma a volte ci si dimentica che ci sono opere letterarie in cui la matematica e i matematici occupano un posto importante, molte più di quanto voi possiate immaginare. In questa rubrica “Ho letto un teorema…“, Barbara Fantechi ci presenta quelle che le sono piaciute di più. In questa puntata ci parla del racconto “Troppa felicità” tratto dalla raccolta dallo stesso nome della scrittrice canadese Alice Munro.

Dalla fantascienza alla biografia: oggi parliamo di una matematica che è realmente esista e di cui chiunque abbia seguito un primo corso di analisi ha sentito parlare, Sof’ja Vasil’evna Kovalevskaja. Chi ha studiato qualche anno fa la conosce forse come Kowalevski o simili: le scelte di traslitterazione dal russo sono cambiate negli anni.

Richiamo in breve la biografia: russa nobile e ricca, contrae un matrimonio di facciata per poter lasciare la casa paterna e andare a studiare all’estero. Si presenta a Karl Weierstrass a Berlino e diventa sua studentessa prima e collaboratrice dopo; lascia la matematica, consuma il matrimonio e dà alla luce una figlia, poi torna a fare matematica, vince un premio prestigioso a Parigi e ottiene un posto di professore universitario a Stoccolma.

Come potete vedere (e ho lasciato fuori un bel po’ di eventi!) sembra davvero una storia da romanzo, e in effetti la prima parte è stata raccontata… da Sof’ja stessa, in un romanzo semi-autobiografico, “Una ragazza nichilista”. Ma di questo vi parlerò un’altra volta, visto che ancora non l’ho letto. Voglio parlarvi invece di un racconto lungo, dal titolo “Troppa felicità” come il volume di cui fa parte, opera della scrittrice canadese Alice Munro, premio Nobel per la letteratura 2013.  Munro è una specialista in racconti, e in poche decine di pagine, alternando monologo interiore e dialoghi, riesce a descrivere l’intera vita di Kovalevskaja con tutti i suoi colpi di scena, i vari ambienti fra cui si muove, in un equilibrio perennemente instabile (la Russia, gli espatriati russi, l’accademia francese, quella berlinese e quella svedese), le persone che sono state importanti nella sua vita, e il rapporto con Weierstrass, mentore e amico al di là di ogni barriera di lingua, sesso ed età.

Per raggiungere il suo scopo, Munro mescola i fatti con l’immaginazione, e ci restituisce Sof’ja come un essere umano completo, che la passione per il sapere spinge lontano dal suo ambiente di origine ma che di quell’ambiente continuerà a sentire la mancanza, finendo per non essere veramente a casa in nessun luogo, per parlare quattro lingue, ma non sentirne alcuna come davvero propria.

La donna così ricostruita è una figura molto realistica e familiare ai tanti matematici che per lavoro hanno abbandonato la loro città, paese o continente d’origine; anche le difficoltà nell’essere l’unica donna in un mondo di uomini, purtroppo, non sono lontane dall’esperienza odierna della ricerca matematica, nonostante sia trascorso più di un secolo dalle giornate descritte da Munro. E ovviamente nessun matematico può fare a meno di simpatizzare col desiderio di Sof’ja di poter trascurare la parte più burocratica del lavoro di docente per dedicarsi a tempo pieno alla ricerca.

Insomma una storia molto bella, che mi sento di consigliare, e ben scritta come anche tutte le altre nel volume, a volte quasi dolorosa nella sua intensità. Evito volutamente ulteriori dettagli per non guastarvi il piacere di leggerla, e ne aggiungo invece uno che nel racconto non c’è: nel suo soggiorno svedese, Sof’ja aveva collaborato con Anne-Charlotte, sorella scrittrice del collega Mittag-Leffler,  ad un testo teatrale, Battaglia per la felicità (Kampen för lyckan). Dopo la morte di Sof’ja, Anne-Charlotte ne scrisse una biografia, purtroppo non tradotta in italiano – firmandola Duchessa di Caianello, perché aveva sposato Gaetano del Pezzo, ottimo matematico e intellettuale di spicco nell’Italia dall’Unità alla Seconda guerra mondiale.

 

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Barbara Fantechi

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