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La notizia delle scoperta di un nuovo sistema planetario con ben sette pianeti le cui orbite hanno caratteristiche compatibili con la presenza di acqua ha, comprensibilmente, suscitato notevole interesse. Per gli addetti ai lavori la novità non è così sorprendente. Dal 1992, anno della conferma del primo esopianeta, a oggi ne sono stato individuati più di 3.000. Tra i vari metodi usati per individuarli, indiretti poiché la luminosità quasi nulla non permette una osservazione diretta, uno merita una certa attenzione per le sue caratteristiche matematiche, il microlensing gravitazionale.

Il microlensing gravitazionale è un fenomeno che potremmo considerare analogo ai miraggi, alle illusioni ottiche. Sin dall’antichità tali fenomeni hanno affascinato l’uomo più di ogni altra manifestazione visiva.  A causa del loro apparente non senso hanno dapprima suscitato paura e sgomento nell’essere umano, poi curiosità e voglia di scoprire.  Perché la strada sembra bagnata sotto un sole cocente? Perché una nave lontana sembra volare sopra lì orizzonte? Se i miraggi terrestri hanno la loro spiegazione scientifica in termini di diversa capacità di rifrazione in strati di aria a diversa temperatura, così che i raggi luminosi vengono incurvati nel loro tragitto, le stesse regole non possono spiegare alcuni curiosi miraggi che avvengono quando la luce si propaga nel vuoto.

Pensiamo di chiudere gli occhi e di scattare una fotografia all’Universo in un preciso istante. Mettiamo ora a fuoco la Terra. Il nostro pianeta è circondato da un’infinità di corpi celesti, alcuni luminosi e altri oscuri, ognuno dei quali occupa una precisa posizione. Data l’enormità del loro numero, alta è la probabilità che un corpo si interponga tra la Terra ed una stella. Ci aspetteremmo che tale interposizione generi solo fenomeni simili a quello delle eclissi, oscurando, temporaneamente, alcuni corpi celesti. Ma da quando sappiamo, grazie alla teoria della Relatività Generale di Einstein, che i corpi con una massa significativa incurvano lo spazio nella loro prossimità, ne ricaviamo che l’interposizione finisce per deviare le traiettorie luminose e agire, appunto, come una piccola lente: una lente gravitazionale, appunto.

Il fenomeno della lente gravitazionale, come spiegato, genera così veri e propri miraggi nel cielo dal momento in cui si crea un allineamento, più o meno preciso, tra Terra, un oggetto massiccio, che chiameremo lente, e la sorgente luminosa: una stella. La deviazione imposta dalla lente può, da un punto di vista matematico, essere vista come una applicazione che fa corrispondere a posizioni su di un piano all’infinito, le posizioni reali degli oggetti, posizioni sul piano dell’osservatore, una pellicola fotografica, ad esempio. E non è detto che questa applicazione sia biunivoca, anzi. Non è detto, cioè, che una sorgente produca una sola immagine.

Se la sorgente luminosa è perfettamente allineata con l’osservatore e  con la lente e se entrambe hanno dimensioni non trascurabili, la deviazione delle traiettorie luminose produce un curioso effetto chiamato anello di Einstein. Al posto di una sorgente puntiforme vediamo un anello, solo parziale se l’allineamento non è perfetto. Se la sorgente può essere ritenuta puntiforme e l’allineamento non è perfetto l’immagine raddoppia. La corrispondenza tra immagini e sorgente è infatti espressa da una funzione complessa quadratica e ogni sorgente produce una immagine principale e una sorella minore, quest’ultima rovesciata. Quando la lente è costituita da due corpi distinti, come un sistema stellare binario, gli effetti si complicano, così come la corrispondente applicazione.  Può così capitare che una singola stella ci appaia moltiplicata e al suo posto compaia, nel cielo, una croce. La funzione che produce tali bizzarri eventi ha un aspetto apparentemente mite per un matematico:

\[\qquad F(z)=z-\frac{1}{\bar{z}-a}-\frac{1}{\bar{z}-b}\]

rispetto a una variabile complessa \(z\) con \(a\) e \(b\) che indicano le posizioni delle lenti. Quando si perde l’allineamento tra sorgente e baricentro del sistema delle lenti il numero di immagini (la cardinalità delle contro immagini di \(F\)) cambia. Da un punto di vista matematico si tratta di studiare come cambia tale numero (la cardinalità della fibra) al variare della posizione z della sorgente. Tale studio è stato sviluppato con maggiore sistematicità in termini puramente matematici da Thom e Arnol’d ([1] e [3]) a partire dagli anni Cinquanta e applicato, infine, in campo astronomico a partire dagli anni Novanta (per i più curiosi un utile riferimento è [2]). Ciò che è più interessante è che il passaggio da, ad esempio, cinque a tre immagini avviene lungo le curve date dai punti di singolarità della funzione sopra descritta, le cosiddette curve caustiche. Nel momento del passaggio l’intensità della sorgente viene ingrandita di un fattore molto grande, con un fenomeno esattamente analogo a quello con cui, tramite una lente ottica, è possibile concentrare i raggi solari in unico punto, secondo l’antichissimo metodo degli specchi ustori di Archimede (da cui il nome di caustica). Se le immagini sopra inserite documentano effetti di lensing gravitazionale osservabile, dovuto a lenti estremamente massicce (galassie o buchi neri) e sorgenti lontanissime (quasar), prendendo il nome di macrolensing, l’effetto creato da un pianeta che transita tra noi e una stella è troppo impercettibile per permetterci di vedere un vero e proprio miraggio nel cielo. L’attraversamento della curva caustica, però, produce una variazione nella luminosità della stella, di tipo osservabile, è questo il cosiddetto microlensing che permette di individuare candidati al ruolo di esopianeti. Il fenomeno delle caustiche è lo stesso che produce lo scintillio di un mare leggermente increspato sotto un sole che sta tramontando o la variabile quadrettatura luminosa del fondo di una piscina. E’ quindi questo riflesso amplificato, questa increspatura del cielo stellato, che grazie alla combinazione di strumenti matematici e astronomici ci ha consentito, assieme ad altre tecniche, di vedere più lontano di quanto ci permettano i nostri occhi, nella ricerca di nuovi confini.

[1] Arnold, Singularities of caustics and wavefronts, Kluwer 1991.

[2] Petters, Levine, Wambsganss, Singularity theory and Gravitational Lensing, Progress in Mathematical Physics, Springer 2001.

[3] Thom, Les singularités des applications differentiables, Annales de l’Institut Fourier 6, 1956.

 

Giada Bevignani e Nicola Ciccoli

Università di Perugia

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