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I leoni maschi, solitamente, hanno le criniere. Le aquile e i falchi femmina possono essere circa il 30 per cento più grandi dei maschi. Se avessimo però a che fare solo con fossili di questi animali, sarebbe difficile partire da quelle differenze fisiche per distinguere con certezza il sesso degli animali. E’ questo uno dei problemi che devono affrontare i paleontologi, ed è molto complicato capire se dinosauri con caratteristiche diverse siano di specie separate, di età diverse, maschi o femmine della stessa specie, eccetera.

Ora, però, a questi studiosi potrebbe venire in soccorso la matematica. In una nuova ricerca, infatti, gli scienziati hanno mostrano come l’utilizzo di un diverso tipo di analisi statistica può aiutare a stimare il grado di “variazione sessuale” in un set di dati fossili. “È un modo completamente nuovo di guardare i fossili e di giudicare la probabilità che i tratti che vediamo siano correlati al sesso”, spiega Evan Saitta, del Field Museum di Chicago e autore principale della ricerca pubblicata sul Biological Journal of the Linnean Society.

A meno che non si trovi uno scheletro di dinosauro con le uova fossilizzate che stava per deporre è infatti difficile essere sicuri del sesso di un singolo reperto. Molti uccelli (che sono gli unici dinosauri viventi) hanno caratteristiche che, mediamente, variano molto tra maschi e femmine: il fenomeno si chiama “dimorfismo sessuale” e si presenta anche nei “cugini” dei dinosauri, i coccodrilli. Questa osservazione implica, dunque, che anche in molte specie di dinosauri, maschi e femmine potrebbero differire per una ampia varietà di tratti.
Tuttavia, non sappiamo precisamente come (e se) determinate caratteristiche fisiche siano legate al sesso del dinosauro. Non sappiamo se, per esempio, i dinosauri più grandi fossero femmine o i dinosauri con creste più grandi sulla testa fossero maschi. Saitta e colleghi hanno cercato modelli nelle differenze tra individui della stessa specie, esaminando misurazioni effettuate su numerosi fossili e specie moderne.

In passato, i paleontologi hanno provato a cercare il dimorfismo sessuale nei dinosauri usando il “test di significatività statistica” in cui si raccolgono i dati e si calcola la probabilità che quei dati si siano avuti per puro caso piuttosto che per una causa reale. Questo tipo di analisi però richiede set di dati grandi e “puliti”. Nei caso dei dinosauri, il problema è che non si hanno tutti questi dati a disposizione. Saitta allora ha sperimentato un’altra forma di statistica, le “statistica della dimensione di un effetto”.

La statistiche delle dimensioni di un effetto sono migliori per i set di dati più piccoli, perché tentano di stimare il grado di differenze di sesso e di calcolare l’incertezza di quella stima; gli scienziati hanno caricato le misurazioni dei fossili di dinosauro in un programma (scritto da loro) che ha fornito stime del dimorfismo della massa corporea producendo al contempo barre di errore anche relativamente a quelle stime che, utilizzando test di significatività, sarebbero state semplicemente ignorate. “Abbiamo dimostrato che se si adotta questo cambio di paradigma nelle statistiche in cui si tenta di stimare l’entità di un effetto e quindi si mettono le barre di errore intorno a questo, è spesso possibile produrre una stima abbastanza accurata della variazione sessuale anche quando i sessi degli individui sono sconosciuti”, spiega Saitta.

I ricercatori, per esempio, hanno scoperto che nel dinosauro Maiasaura, gli esemplari adulti variano molto in termini di dimensioni e le analisi mostrano che è più probabile che questa disparità di dimensioni corrisponda alla variazione sessuale, rispetto ad altre specie di dinosauri. Tuttavia, sebbene i dati attuali suggeriscano che un sesso era circa il 45 per cento più grande dell’altro, non è ancora possibile dire se erano più grandi i maschi o le femmine.

Anche se c’è ancora molto lavoro da fare, Saitta è entusiasta che le simulazioni statistiche abbiano dato risultati così coerenti nonostante i limiti dei dati fossili. “La selezione sessuale è un importante motore dell’evoluzione e limitarci ad approcci statistici inefficaci danneggia la nostra capacità di comprendere la paleobiologia di questi animali”, conclude.

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