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Stefania Serafin è “professore sul suono per ambienti multimodali” a Copenhagen e si occupa di sound computing, ossia “grazie alle simulazioni creo suoni che non esistono nella realtà, per esempio i passi di un gigante”.

Ho letto che ti sei diplomata al conservatorio di Venezia e laureata in Scienze dell’Informazione. Oggi, nel tuo lavoro di ricerca hai fuso questi due aspetti: lo avevi previsto quando hai scelto il tipo di laurea?
Sinceramente no. Ho scelto di studiare Scienze dell’Informazione a Venezia perché era un corso di laurea nuovo e a numero chiuso, e sembrava interessante. Quando mi sono iscritta a informatica nel 1992, credo che nessuno immaginasse che i computers sarebbero diventati uno strumento così’ quotidiano.
Dopo la laurea sei andata via dall’Italia, come mai?
Mi sono laureata presto, a 22 anni, e avevo voglia di provare qualche esperienza all’estero. Ero stata assunta come programmatore all’IRCAM di Parigi, un centro di ricerca musicale parte del Centro Pompidou. All’epoca pensavo di stare via solo qualche mese, ma sono già’ passati 16 anni e non ho intenzione di tornare.Hai girato per diversi paesi. Dove ti saresti voluta fermare?
Ho vissuto a Parigi per due anni. Citta’ bellissima, se non ci fossero i parigini. La California mi e’ piaciuta molto, ma è fisicamente troppo lontana dall’Italia per poter far visita regolarmente alla mia famiglia e ai miei amici. Adesso vivo da nove anni a Copenhagen e sono contenta di essermi fermata qui. La qualità della vita è veramente alta e si possono conciliare perfettamente famiglia e carriera.
Come mai non sei più tornata in Italia?
Finito il dottorato a Stanford volevo tornare in Europa ma non necessariamente in Italia. Ho fatto domanda per un posto di ricercatore in Danimarca trovato per caso in una mailing list e mi hanno presa. Dall’anno scorso sono professore ordinario, cose che in Italia sono quasi impensabili. Purtroppo la situazione è questa. Ho amici e colleghi che sono solo ricercatori, o nemmeno quello, e con molte qualifiche.
Puoi raccontarci meglio il tuo percorso di studi?
Mi sono laureata in Scienze dell’informazione (adesso chiamata informatica) a Venezia e contemporaneamente ho studiato violino al conservatorio. Per unire questi due campi (non posso dire queste due passioni, perché il violino non è mai stata una vera passione) mi sono trasferita a Parigi, dove ho studiato per un Master in Acustica, trattamento dei segnali e informatica applicate alla musica. Durante la tesi del Master sulla simulazione fisica del suono del violino, leggevo i lavori del professor Julius Smith di Stanford, un guru della materia.
Durante un viaggio in California ho avuto occasione di conoscerlo e mi sono resa conto che mi sarebbe piaciuto molto lavorare con lui. Ho fatto domanda per il dottorato a Stanford e mi hanno presa. Ho finito il dottorato nel 2003 e mi sono trasferita in Danimarca.
Potresti dirci in cosa consiste esattamente la tua ricerca? Cosa vuol dire “Music Computing”?
Il mio titolo ufficiale è “professore sul suono per ambienti multimodali”. Significa che mi occupo della simulazione dei suoni in ambienti di realtà virtuale e aumentata. Per esempio abbiamo appena terminato un progetto europeo sulla simulazione del suono dei passi. Questo argomento sembra piuttosto ristretto, ma in realtà pensandoci bene i suoni dei passi cambiano a seconda del tipo di scarpe indossate, la superficie in cui si cammina, il luogo in cui si cammina… Una simulazione fisica accurata del suono dei passi deve tenere presente tutti questi aspetti. Grazie alle simulazioni è possibile evitare di registrare i suoni su tutte le superfici, e in più è anche possibile creare suoni che non esistono nella realtà, per esempio i passi di un gigante. Recentemente non mi occupo molto di “music computing” ma piuttosto di “sound computing”, nel senso che i suoni che simulo non sono necessariamente “musicali” ma piuttosto riproducono i suoni che si incontrano nella realtà di tutti i giorni.

E il violino? Continui a suonarlo?

Ho suonato per la prima volta dopo dieci anni un violino elettrico alla festa di laurea del nostro dipartimento lo scorso giugno. Soprattutto grazie all’educazione rigida del conservatorio italiano, sono piuttosto negata nell’improvvisazione musicale e riesco a suonare solo con uno spartito. Comunque mi sono accorta che la “paura da palcoscenico” che mi terrorizzava ai tempi del conservatorio ora è completamente sparita e non mi vergogno più di suonare in pubblico (anche se forse avrei dovuto vergognarmi…).

Devo dire che l’ambiente ultra-competitivo del conservatorio, o almeno così era quello di Venezia, non aiuta certo ad apprezzare la musica come uno svago.

Quanto conta essere una musicista nel tuo lavoro di ricerca?

Direi che non è proprio fondamentale, ma avere conoscenze musicali aiuta. Se non fossi stata musicista non avrei scelto questo campo di ricerca e più o meno tutti quelli che conosco in questo campo sono o compositori o suonano qualche strumento, anche se solo come hobby.

Intervista raccolta da Maya Briani

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