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Raffaella Servadei è una matematica Italiana che lavora nell’ambito delle equazioni alle derivate parziali. Professore Associato presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, è presenza stabile delle classifiche degli “Highly cited researchers” e “highly cited articles” dal 2012. Nel 2018 come nel 2017, figura fra i  5  matematici italiani più citati. Luciano Mari, RTDB all’Università di Torino ha raccolto questa bella intervista per noi.

Questo riconoscimento indica che molti tuoi colleghi e colleghe leggono ed apprezzano i tuoi lavori. Quanto è importante per il tuo lavoro avere visibilità presso la comunità matematica?
Credo che avere visibilità sia importante, fa piacere, ma deve anche essere accompagnata da molta sostanza.e certamente di grande stimolo sapere che i propri lavori sono apprezzati dalla comunità scientifica internazionale, ma d’altra parte è anche una grossa responsabilità sulla qualità dei lavori che produci. L’obiettivo è sempre scrivere lavori che accrescano le conoscenze nel proprio ambito di ricerca.

La Classifica

Cominciamo con la più classica delle domande: quando è scoccata la scintilla che ti ha convinto a fare Matematica? Ci sono delle persone in particolare che hanno contribuito a far nascere e consolidare questa tua scelta?
La scintilla è scoccata subito: la Matematica è sempre stata la mia passione, a partire dalla scuola elementare. Questa materia mi è sempre piaciuta, forse perché è sufficiente capirla e il gioco è fatto! Questa passione mi è stata trasmessa, in parte, dalla mia mamma, che è un’insegnante della scuola primaria di Matematica e Scienze, da poco in pensione. Fra l’altro, io ho sempre voluto fare l’insegnante, e quando ho avuto chiaro dove avrei voluto lavorare, il mio obiettivo era insegnare in un liceo. Poi, durante l’ultimo anno di università, può sembrare banale, ho scoperto che esisteva anche il mondo della ricerca, e ho iniziato a venirci in contatto. Mi è piaciuto e mi sono detta: “mi piacerebbe fare il Dottorato. Poi, vediamo che succede [sorride]”. Non ho comunque lasciato indietro la strada dell’insegnamento e appena laureata ho sostenuto il concorso per la scuola.

Il tuo cammino matematico: hai studiato presso l’Università di Perugia, Ph.D. a Roma “Tor Vergata”, assegni di ricerca a Roma “La Sapienza”, Perugia e poi un lungo periodo da ricercatrice all’Università della Calabria, fino all’approdo ad Urbino come Professore Associato. Cosa ti ha guidato nella scelta di queste tappe per la tua carriera?
Ho scelto Perugia come città in cui fare l’università e sono molto contenta di questa mia decisione. Ad ogni tappa successiva alla Laurea in Matematica ho partecipato a tanti concorsi (prima quelli per il Dottorato, poi per gli assegni di ricerca, poi da ricercatore e, infine, da associato) e ho sempre accettato di trasferirmi nella sede in cui riuscivo a vincere, dove mi riservavail destino. Addirittura, ricordo che dalla fine del Dottorato a quando ho vinto il posto da ricercatore all’Università della Calabria ho fatto 15 concorsi da ricercatore nel giro di un anno, perché a quei tempi si potevano fare in un anno solare al più 15 concorsi. Oltretutto, all’epoca, per fare domanda bisognava anche passare dalla Procura e dalla Prefettura, secondo un vecchio decreto [Decreto luogotenenziale n. 660/1945, ndr]che era ancora in vigore e che prevedeva che i lavori non ancora pubblicati su rivista fossero depositati lì:ricordo che andavo quasi sempre a Perugia, perché, frequentandola, mi tornava più comodo, carica di plichi di documenti da firmare, per ogni articolo tre copie in Procura e tre in Prefettura. E questo andava fatto ogni volta che si finiva di scrivere un lavoro e lo si inviava alla rivista. Una cosetta da niente [sorride].Sono molto soddisfatta del percorso che ho fatto, perché ciò mi ha permesso di venire in contatto con varie realtà e questo, secondo me, è sempre positivo.

Passiamo al tuo campo di ricerca, l’Analisi Matematica: di quali problemi in particolare ti occupi e come è nato il tuo interesse per tali questioni?
Mi occupo dello studio di equazioni alle derivate parziali principalmente mediante metodi topologici e variazionali. Mi sono avvicinata a questi problemi con la mia Tesi di Laurea a Perugia e poi ho proseguito su questa strada. Le equazioni alle derivate parziali si ritrovano nella maggior parte dei modelli matematici che utilizziamo per comprendere e prevedere il mondo che ci circonda e questo, a mio avviso, è molto affascinante. In parole povere, che cosa sono i metodi variazionali? Se vogliamo dimostrare che una data equazione differenziale, diciamo di tipo ellittico, ammette una soluzione, una strategia efficace è quella di associare al problema un funzionale, detto funzionale energia, in modo tale che le soluzioni di questa equazione corrispondano ai punti critici di tale funzionale, cioè ai punti dove si annulla la sua derivata prima. Siccome per molti funzionali non è facile risolvere l’equazione “derivata prima uguale a zero”, cioè non si riescono a scrivere esplicitamente le soluzioni, quello che si cerca di fare è trovare delle proprietà del funzionale che garantiscano che tali punti critici esistono, anche se non sappiamo scriverli in modo esplicito. Se il funzionale soddisfa opportune ipotesi geometriche(se fosse una funzione di variabile reale, diremmo“un grafico che presenta certe caratteristiche”), e se ha delle proprietà di compattezza particolari, allora tipicamente si riesce a dire, utilizzando risultati classici, che il funzionale ammette un punto critico (o anche molti), cioè che la nostra equazione differenziale ha una (o più) soluzione. Come sia fatta questa soluzione, è tutto un altro paio di maniche e questo è un problema generalmente difficile! Però, quello che interessa a me per i miei studi è sapere se questo punto critico c’è oppure no: già il fatto che esiste, mi risolve un sacco di problemi.

Ti sei occupata molto di analisi di operatori non-locali. Ci descriveresti brevemente come è nato il tuo interesse e in cosa consistono?
Sì, da qualche anno a questa parte, mi occupo soprattutto di problemi non-locali, governati principalmente dal Laplaciano frazionario. Si parla di interazione non-locale quando ciò che capita in un certo punto risente  non solo di quello che succede vicino a sé, ma anche di ciò che accade lontano. Quando si ha a che fare con un problema in cui si verifica un’interazione non-locale, molto spesso questo tipo di comportamento si riesce a descrivere da un punto di vista matematico utilizzando operatori non-locali come il Laplaciano frazionario. Esempi appaiono da limiti di processi discreti “a salto” (di Lévy), problemi dell’ostacolo, diffusioni anomale, transizioni di fase, modelli in finanza ed ottimizzazione, e tanti altri ambiti.  Mi sono avvicinata a questi operatori perché vedevo che attraevano molto l’interesse della comunità matematica. Allora ho cercato di capire se i metodi che “piacciono a me”, variazionali e topologici, potessero essere utilizzati per studiare questi problemi.

La Matematica è da molte persone vista come una scienza astratta e spesso senza dirette applicazioni a problemi pratici. Qual è la tua posizione a riguardo? Cosa è per te “fare Matematica”, e cosa ti guida nella ricerca?
La Matematica è presente nella nostra vita quotidiana più di quanto possiamo immaginare: ogni giorno, senza neanche accorgercene, siamo immersi nellaMatematica. Questa è una delle cose che cerco di dimostrare ai miei studenti, oltre a far capire loro che la Matematica non è un insieme di regole e formule da imparare a memoria, ma è ragionamento, è far funzionare il nostro cervello. Per me “fare Matematica” è proprio questo. E’ vero che la Matematica la possiamo accostare all’arte, alla pittura, alla musica, il che è molto bello, ma non vorrei che questo accostamento la possa far percepire solo come “un gioco”. Dall’anno scorso, ho cominciato ad organizzare per i miei studenti un ciclo di seminari dal titolo “Matematica e Realtà”, con lo scopo di far vedere che la Matematica è uno strumento utile che noi usiamo quotidianamente: forse non tutti lo sanno, ma tutti, tutti la usano! È talmente dentro le nostre vite che neanche ce ne accorgiamo più, ma è così, e questi seminari hanno proprio lo scopo di dimostrarlo! Ho fatto un seminario lo scorso 20 dicembre sui numeri primi e il loro utilizzo per garantire la sicurezza delle transazioni su internet. L’aula era stracolma, gli studenti erano entusiasti! Perché hanno visto che la Matematica va oltre definizioni e teoremi astratti. A lezione ho chiesto loro se sapevano che il funzionamento del sistema tutor in autostrada è basato sul Teorema di Lagrange e sono rimasti di sasso: “Ma come?” mi chiedevano. Ecco, quello che andrebbe fatto di più è accostare la Matematica a queste cose che impattano sulla vita quotidiana. Aiuterebbe, soprattutto in questa era digitale, anche ad utilizzare la tecnologia in modo meno passivo e più consapevole.

Descrivici un poco la tua routine lavorativa: quando/come/dove fai Matematica, come gestisci le tue numerose collaborazioni con ricercatori in varie parti del mondo?
Tipicamente lavoro nel mio studio in Urbino, dove passo la maggior parte delle mie giornate. Oggi gestire le collaborazioni è molto semplice grazie alla tecnologia: la posta elettronica, Skype e quant’altro sono di grande aiuto. Certamente la collaborazione diretta, fianco a fianco, è quella che preferisco. Per questo nella mia sede cerco di organizzare incontri, seminari e convegni, che mi diano la possibilità di lavorare personalmente con altri colleghi. Nel fare questo sfrutto anche la bellezza di Urbino, a cui non è facile dire di no!

Cosa pensi dello stato attuale della Matematica in Italia? Dove interverresti per migliorare la formazione universitaria e l’introduzione delle giovani leve alla ricerca?
Sono convinta del fatto che la Matematica italiana sia un’ottimaMatematica: abbiamo una grande tradizione e nel corso dei secoli, come anche oggi, abbiamo avuto dei grandi matematici in Italia. A mio avviso,  il nostro sistema universitario e della ricerca è buono, ma inevitabilmente risente delle difficoltà e dei problemi con cui il nostro Paese deve fare i conti oggi. Purtroppo l’ambiente matematico non fa eccezione in questo.Oggi la Matematica italiana avrebbe bisogno di nuovi stimoli, che, secondo me, dovrebbero venire anche dalla passione dei nostri giovani.
Per quanto riguarda l’insegnamento, a mio avviso dovrebbe esserci più dialogo tra i vari ordini di scuola e tra scuola e università. Questo aiuterebbe a migliorare e potenziare la formazione degli studenti e avrebbe positive ricadute sul loro bagaglio culturale e, più in generale, sulla loro crescita.
Per quanto riguarda l’università, le riforme degli ultimi anni hanno introdotto le figure degli RTD-A e RTD-B e abolito quella del ricercatore a tempo indeterminato. Forse è un po’ troppo presto per poter dare un giudizio su questi cambiamenti, però io la figura del ricercatore l’avrei tenuta: due solo fasce, quelle del professore associato e del professore ordinario, a tempo indeterminato non mi sembrano sufficienti.

Quali ritieni che siano le maggiori difficoltà per una persona che vuole intraprendere la strada della ricerca in Matematica? Quale è stato il momento che hai sentito come più critico della tua carriera di matematico?
Il mio momento più critico sono stati i mesi precedenti alla fine del Dottorato, perché non sapevo assolutamente cosa mi sarebbe successo. Mi ricordo benissimo che sono andata dal mio relatore [Michele Matzeu, ndr.] e gli ho chiesto: “Senti, secondo te, è il caso che io continui per questa strada o ne prendo un’altra? Credi che io sia portata per questo tipo di lavoro oppure no?”. E lui mi disse “No no, secondo me tu devi continuare su questa strada”… “Ok. E ora che faccio?” [sorride]….poi è arrivato l’assegno di ricerca alla Sapienza, totalmente inaspettato. Dopo ho avuto un assegno a Perugia con Patrizia Pucci e poi ho vinto il concorso da ricercatore a Cosenza. Felicissima, però poi dopo realizzi che devi andare a 1000 km da casa, dagli affetti, dagli amici. Ti cambia la vita e i rapporti con le persone. Come quando ho vinto in Urbino e ho lasciato Cosenza. In entrambi i casi, non ho mai pensato un attimo di non andare, ma mi è cambiata completamente la vita. Non so se si possano definire critici, ma sicuramente sono momenti che mi hanno richiesto un “riassestamento”.  Mi sono sempre dedicata molto al mio lavoro e l’ho sempre fatto (e continuo a farlo) con tanta passione. Ogni concorso è stato un po’ un terno al lotto, anche se alla fine il mio lavoro è stato ripagato.

Come concili lavoro con vita privata? Hai hobby?
Li concilio?  Ci provo, ma non è sempre semplice! Mi dedico molto al mio lavoro, perché mi piace. Arrivano dei momenti in cui uno sente la fatica, lo stress, credo sia normale, comunque non voglio lamentarmi, perché faccio un mestiere bellissimo e che mi appassiona e non potrei certamente chiedere di meglio. A volte mi riprometto di staccare prima dall’ufficio per dedicarmi di più ad altre attività, ed immancabilmente è proprio il giorno in cui finisco più tardi! [ride di gusto]. Quindi, cerco di conciliare il tutto, ma non sempre ci riesco. Riguardo agli hobby, mi piace moltissimo leggere, anche se non riesco sempre a dedicare alla lettura tutto il tempo che vorrei. Poi, quando posso, vado in bicicletta, la passione di famiglia che mi è stata trasmessa dal mio babbo e da mio fratello, e amo molto cucinare!

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