“L’algebra non serve a nulla, e molti studenti lasciano la scuola per colpa sua”. E’ l’opinione espressa sul New York Times da Andrew Hacker della City University. Ha ragione o si sbaglia? La risposta di Roberto Natalini.
Articolo di Roberto Natalini per Wired.it (apparso il 3 agosto 2012)
C’è un professore emerito di Scienze Politiche, Andrew Hacker della City University of New York, che sostiene che lo studio dell’algebra non sia molto utile e non dovrebbe quindi essere obbligatorio per tutti gli studenti di scuola superiore. Questa, di per sé, non sarebbe una gran notizia, se non fosse che Hacker ha espresso la sua opinione sulle pagine (cartacee e digitali) del New York Times del 29 luglio scorso, con un lungo articolo intitolato: Is Algebra necessary?.
A seguito di questo articolo si è scatenato un esteso dibattito in Rete con quasi 500 commenti sul sito del Nyt (e altrettanti su quello di Le Monde, che lo aveva parzialmente riportato) con posizioni (spesso contrarie) anche abbastanza virulente, tipo questa (una risposta più tranquilla, ma altrettanto negativa, si può leggere sul Washington Post). Ma cerchiamo di capire meglio la posizione di Hacker. Per prima cosa chiariamo: stiamo ovviamente parlando di algebra elementare (lo so, la maggior parte di voi stava già pensando alle algebre di Lie semisemplici complesse…).
L’autore si chiede infatti (e attenzione, questo è il suo argomento principale) se sia veramente necessario, per intraprendere una carriera nelle arti o negli studi umanistici, o anche solo avere opinioni politiche o fare analisi sociali, che uno sappia dimostrare un’uguaglianza di questo genere:
(x² + y²)² = (x² – y²)² + (2xy)²
Prima di andare avanti, provate a vedere se ci riuscite voi: il vostro giudizio sull’articolo di Hacker potrebbe cambiare a seconda che ci riusciate o no.
Ma analizziamo il ragionamento di Hacker. Si articola in due tesi principali:
1) La matematica è la principale causa di abbandono scolastico degli studi negli Stati Uniti, e causa di esclusione dalle maggiori università (anche in materie non strettamente scientifiche), per cui persone altrimenti dotate di grande talento sarebbero ingiustamente escluse dagli studi solo a causa della matematica.
2) L’algebra non serve a nulla e andrebbe piuttosto sostituita con quello che l’autore chiama ragionamento quantitativo, ossia imparare a ragionare su esempi concreti, tipo il calcolo del tasso di inflazione o degli interessi del mutuo.
Quando mai un medico, un poeta o un avvocato hanno dovuto risolvere un’equazione di secondo grado dopo la scuola superiore? Meglio insegnare loro direttamente qualcosa di pratico e specifico che possano applicare nella loro professione.
Il primo argomento è in effetti discutibile. Perché, se le competenze matematiche di base (perché di queste stiamo parlando) fossero veramente necessarie per vivere come cittadino consapevole in una società altamente tecnologica, allora la soluzione non sarebbe quella di eliminarne l’insegnamento, ma anzi di rafforzarlo. Hacker non cerca di negare veramente questo punto, ma sostiene che gli argomenti troppo tecnici e non di uso generale come l’algebra dovrebbero essere riservati a coloro che poi si occuperanno di discipline scientifiche. Ossia siamo direttamente passati al punto successivo.
La prima cosa da dire sul punto 2) è: non è vero che l’algebra è inutile. Non scordiamoci che in Occidente l’algebra inizia nel XIII secolo con il Liber Abaci di Leonardo Pisano detto il Fibonacci, un libro pratico su cui si formeranno generazioni di commercianti e contabili. Su queste basi si fonda la struttura del commercio moderno. E se pensate che questa disciplina abbia esaurito il suo potenziale, cercate di capire meglio su cosa si basa un motore di ricerca come Google, o un social network come Facebook, o la maggior parte degli algoritmi che rendono possibile usare un telefonino o guardare la televisione in HD. Questo lo sanno benissimo i paesi in rapido sviluppo come la Cina, l’India o la Corea, dove l’apprendimento intensivo della matematica è uno dei punti di forza del loro rapido progresso tecnologico e scientifico.
Ma in realtà Hacker sembra pensare che questa algebra non debba essere insegnata a tutti. A 12 o 13 anni uno dovrebbe già scegliere se avviarsi o meno verso una carriera ad alto contenuto matematico. Certo, forse costerebbe di meno, forse la maggior parte degli studenti sarebbe felicissima. Tuttavia mi sembra ci siano due obiezioni da fare a questa posizione.
Intanto avere delle basi elementari di matematica (perché senza l’algebra, non si capisce come si possano imparare la trigonometria, la geometria cartesiana e i primi rudimenti di calcolo infinitesimale) è un fatto culturale, indipendente dal mestiere futuro. Sarebbe come rinunciare a studiare la storia, la letteratura o la grammatica perché “non servono a nulla”. E anche il ragionamento quantitativo proposto da Hacker risulterebbe molto difficile senza un po’ di algebra elementare (provate a fare una semplice regressione lineare senza un po’ di algebra).
Inoltre è utile ricordare che, anche al di là delle discipline di tipo teconologico-ingegneristico, la nostra vita, le nostre scelte, richiedono sempre più delle conoscenze solide di matematica, e questo è vero in settori come la finanza o la statistica medica, ma anche nella nostra vita da cittadini (valutazione del rischio, capacità di comprendere una statistica, semplici esercizi di ottimizzazione). A che punto sarebbe giusto decidere di aver fatto troppa matematica (elementare) e quindi di poter smettere?
Comunque sia, l’apprendimento della matematica che va dal semplice (tipo l’algebra elementare) al complesso (interessi composti, regressioni non lineari, medie pesate, equazioni differenziali), rimane ancora oggi l’unico metodo efficace per imparare a ragionare, sviluppando inoltre la capacità di apprendere in seguito più rapidamente degli argomenti nuovi. E ci sono due modi per farlo: fare come nei paesi asiatici, in cui la motivazione di promozione sociale è talmente forte da spingere gli studenti a dedicarsi anima e corpo alla studio della matematica, oppure imparare a insegnare meglio, e non di meno, suscitando la curiosità e l’ entusiamo nei propri allievi. Credo che da noi, come in America, sia indispensabile seguire, e con forza, questa seconda via.
Roberto Natalini è matematico e dirigente di ricerca al Consiglio Nazionale delle Ricerche