Se qualcosa sta andando bene, perché non dovrebbe continuare a farlo? Ed è così che cadiamo nella fallacia della mano calda. Ce ne parla Marco Menale.
Siamo allo stadio per la partita di calcio della nostra squadra del cuore. Il risultato è in bilico. Fino a quando arriva un rigore negli ultimi minuti. Tra gli spettatori si cominciano a sentire frasi del tipo: “Fatelo tirare a lui, sono mesi che non ne sbaglia uno!”. Perché si è più tranquilli se a tirarli sia un calciatore con una serie positiva alle spalle. Si tratta di un’esperienza comune, nel calcio come in altri sport. Se le cose stanno andando bene, allora non possono che continuare ad andare così, o addirittura meglio. E poi arriva Kylan Mbappé a sbagliare il rigore nel quarto di finale Francia-Svizzera di Euro 2020. Cosa succede? È la fallacia della mano calda (hot-hand fallacy, in inglese).
Questo bias è descritto per la prima volta nel 1985. In quell’anno Thomas Gilovich, Amos Tversky e Robert Vallone si occupano di basket nell’articolo “The Hot Hand in Basketball: On the Misperception of Random Sequences”. In particolare vogliono capire cosa ci sia di vero dietro il fenomeno della mano calda, da cui il nome della fallacia. Si tratta della convinzione per cui la probabilità di un giocatore di andare a canestro è maggiore se il precedente tiro sia andato a canestro. Per fare questo, raccolgono i dati dei Philadelphia 76ers e dei Boston Celtics. Anche i tre ricercatori partono dalle solite frasi dei palazzetti americani, come: “Larry Bird has the hot hand”.
Gilovich, Tversky e Vallone intervistano alcuni giocatori per il loro studio. Ed emergono diverse credenze da queste interviste. “Dopo un tiro a canestro aumenta la probabilità di successo per il successivo, mentre si riduce in caso di errore”. “È importante liberare e passare la palla a chi ha appena fatto una sequenza di canestri”. E altre ancora. Tuttavia i tre ricercatori mostrano l’infondatezza di queste credenze e delle false aspettative generate. Non ci sono correlazioni statistiche di alcun tipo, è solo un bias da cui siamo affetti: la fallacia della mano calda.
Negli anni sono state date diverse spiegazioni, anche su più piani. Da un punto di vista matematico, la fallacia della mano calda è legata alla difficoltà nel pensare in termini di causalità ed eventi casuali. Il nostro pensiero tende a cercare delle ricorrenze e, quindi, delle leggi deterministiche. Per questo motivo arriviamo a pensare “se il rigore lo tira chi non lo sbaglia da mesi, allora sarà rete!”.
La fallacia della mano calda non riguarda solo lo sport. Ma lo si trova anche tra gli investitori di prodotti finanziari (qui per i dettagli). In particolare, gli investitori tendono a concentrare i loro investimenti sui titoli che hanno un periodo di crescita alle spalle, ancora una volta “perché se le cose sono andate bene fino a ora, continueranno ad andare bene”. Purtroppo in questo caso il bias rischia di essere smentito non da Mbappé, ma da una voragine nel nostro portafoglio.
In realtà nelle applicazioni allo sport la cosa è ancora abbastanza controversa. Certamente una successione di tiri non è una “random sequence” perché è dimostrato che la percezione di autoefficacia influisce sulla efficacia delle performance sportive in generale. Una review del 2006 (Twenty years of “hot hand” research, Bar-Eli, Avugos, Raab) conclude abbastanza nettamente che: “The question whether the hot hand phenomenon does or does not exist remains for the meantime unresolved. “. E’ molto interessante e divertente provare a leggere alcuni dei lavori in proposito, perché è evidente che parte della difficoltà, come spesso capita, sta proprio nelle definizioni, oltre che nelle assunzioni implicite, rendendo la misura di un potenziale fenomeno oltremodo complessa. Nell’articolo da me citato si riporta una divertentissima frase di Tversky in proposito: “ho avuto migliaia di discussioni sull’argomento, vincendole tutte ma senza convincere nessuno… “.