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Il dibattito sulle armi nucleari torna periodicamente in primo piano. Si parla di deterrenza, ma fino a che punto? A questo dilemma dedicò alcune riflessioni il matematico Anatol Rapoport. Ce ne parla Marco Menale.

È un periodo storico delicato sul piano dei conflitti. Nel giro di due anni le cose sembrano andare solo peggio. L’invasione russa dell’Ucraina del 2022, poi la nuova crisi in Medio Oriente con le tensioni tra Iran e Israele. “Quale sarà il prossimo conflitto?”, si chiedono le persone. E poi c’è la domanda delle domanda: arriveremo a un conflitto nucleare? Per ora si parla solo di scopo di deterrenza per le armi nucleari, come accaduto nel corso della Guerra fredda. Eppure, la corsa al nucleare continua: ma fino a che punto giova alla deterrenza? A questo dilemma  ha provato a dar risposto anche la matematica.

Raccontiamo qui di uno dei primi matematici che si è interrogato sulle conseguenze della corsa agli armamenti: il naturalizzato americano Anatol Borisovich Rapoport. Dopo la laurea in matematica, ha lavorato soprattutto alle Università del Michigan e di Toronto, occupandosi, tra gli altri, di modelli stocastici, teoria dei giochi e biomatematica. Tuttavia, ha dedicato parte del suo tempo a questioni relative ai conflitti, con l’obiettivo di evidenziare i danni apportati all’umanità dalle guerra, al punto da dire:

I’m for killing the institution of war.

A dirla tutta, già Lewis Fry Richardson aveva sviluppato un modello di corsa agli armamenti (ancora noto come modello di Richardson). Ma è stato Rapoport uno dei primi a indagare le conseguenze di questa corsa con lo spirito della teoria dei giochi.

Qui riportiamo un primo schema discusso da Rapoport, almeno nella forma che è fino a noi.

Consideriamo due nazioni contrapposte. Ciascuna delle due può decidere se aumentare o meno il numero di armi nucleari a disposizione. In questo schema, detto anche gioco, le armi hanno solo scopo di deterrenza, almeno in principio. Ciascuna nazione può aumentare o ridurre il proprio arsenale nucleare. Tuttavia, a questa scelta seguono diversi scenari. Scegliere di non dotarsi di armi nucleari espone una nazione a dei pericoli se l’altra, invece, lo fa. Inoltre, supponiamo che ciascuna delle due sceglie senza conoscere la scelta dell’altra. Con il linguaggio della teoria dei giochi, per ciascuna scelta ci sono diversi pagamenti (dall’inglese pay-off):

  • Se una nazione aumenta il proprio arsenale, mentre l’altra lo riduce, allora per la prima si assume un pagamento di \(10\), mentre per la seconda è di \(-10\);
  • Se entrambe aumentano l’arsenale, allora ciascuna paga \(-1\);
  • Se entrambe riducono l’arsenale, allora ciascuna paga \(1\), ossia è l’unico caso in cui entrambe guadagnano.

Siano \(C_i\) e \(D_i\), \(i \in \{1, \, 2\}\), la scelta di ciascuna nazione di ridurre e aumentare, rispettivamente, le armi nucleari. In base allo schema precedente, possiamo scrivere la seguente matrice dei pagamenti:

 

Figura 1. Matrice dei pagamenti.

Figura 1. Matrice dei pagamenti.

 

Dalla teoria dei giochi segue che la soluzione che minimizza il pagamento di ciascuna nazione   rispetto all’altra (l’equilibrio di Nash) è \((D_1,\, D_2)\), ossia la corsa al riarmo. Appara paradossale, proprio come paradossali sono le conclusione del più noto dilemma del prigioniero. E non è un caso. Infatti, Rapoport ha discusso questo schema sulla deterrenza, partendo proprio da dal più noto dilemma.

La conclusione paradossale è legata al fatto che questo gioco è non-cooperativo: ciascuna delle due nazione punta solo a limitare il danno dovuto alla scelta dell’altra. Dunque, l’unico obiettivo è minimizzare il pagamento, ossia il rischio di esporsi alle armi nucleari dell’altra. Infatti, la soluzione più razionale, in una situazione cooperativa, è \((C_1, \, C_2)\), ossia una riduzione reciproca delle armi nucleari. Tuttavia, per Rapoport non c’era schema cooperativo nella corsa al riarmo, cosciente di quanto successo nella seconda guerra mondiale, prima, e in quella del Vietnam, poi. Per questo non lo considera in questo prima applicazione della teoria dei giochi alla corsa al riarmo, preferendo uno schema non-cooperativo. E, forse, a guardarci intorno, non aveva mica tutti i torti.

 

 

Marco Menale

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