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Il 2009 è stato dichiarato dall’ONU “Anno Internazionale dell’Astronomia”, in omaggio a Galileo Galilei che nel 1609 utilizzò per la prima volta il cannocchiale. E non c’è dubbio che lo sviluppo impetuoso della modellistica matematica attuale possa considerarsi come uno dei tanti frutti dell’eredità galileiana. Rivisitiamo il metodo scientifico del padre della scienza moderna a quattro secoli dalla sua scoperta dei cieli… di Alfio Quarteroni.

 

Come è noto, il 2009 è stato dichiarato dall’ONU “Anno Internazionale dell’Astronomia”, in omaggio a Galileo Galilei il quale, esattamente quattro secoli fa, utilizzò per la prima volta il cannocchiale. Ad onor del vero, pare che Galileo non possa considerarsi l’inventore del cannocchiale. Due studiosi dell’epoca, Giovanni Battista Della Porta nel 1593 e piu’ tardi Keplero, nel 1604, avevano posto le basi teoriche grazie alle quali lo strumento venne costruito nei primi anni del XVII secolo, da artigiani olandesi. Galileo ne ebbe notizia – e forse anche un esemplare – nella primavera del 1609. Lo ricostruì, lo potenziò, indi lo utilizzò per osservare il cielo e per segnare una tappa fondamentale nell’evoluzione delle conoscenze astronomiche. Il 25 agosto dello stesso anno lo presentò come propria invenzione al governo veneziano. (Sia detto per inciso, la “scoperta”fu apprezzata in modo tangibile, al punto che Galileo si vide raddoppiare lo stipendio e, addirittura, offrire un contratto vitalizio d’insegnamento.) Di primaria importanza furono il ruolo di Galileo nella rivoluzione astronomica e il suo sostegno al sistema eliocentrico e alle teorie copernicane. Accusato di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, Galileo fu per questo condannato come eretico dalla Chiesa cattolica e costretto, il 22 giugno 1633, all’abiura delle sue concezioni astronomiche, nonché a trascorrere il resto della sua vita in isolamento; mori’ ad Arcetri l’8 gennaio 1642, solo, in quell’universo della cui grandezza egli aveva svelato I segreti. Galileo fu anche matematico. Nel  1581 il padre Vincenzo lo iscrisse all’Università di Pisa per fargli studiare l’arte della medicina. Nonostante il suo interesse per i progressi sperimentali di quegli anni, l’attenzione di Galileo fu presto attratta dalla matematica, che cominciò a studiare nel 1583 sotto la direzione di Ostilio Ricci, un seguace della scuola matematica di Niccolo’Tartaglia. Nel 1589 l’Università di Pisa gli assegno’ la cattedra di Matematica. Nel 1592 venne chiamato all’Università di Padova, sempre come professore di matematica, e vi ci resterà per 18 anni. Nel 1611 entrò a far parte dell’Accademia dei Lincei. Nel 1638, già completamente cieco, pubblicò a Leiden, in Olanda, il suo lavoro piu’importante: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, nel quale tratta le leggi del moto e descrive la struttura della materia.?Nel 1640 indusse un suo allievo, Bonaventura Cavalieri, a studiare gli indivisibili e a scoprire la proprietà caratteristica dell’infinito, definendo come infinita una quantità che uguaglia una sua parte, intuendo in tal modo il potenziale che il calcolo infinitesimale (scoperto nel seguito da Leibnitz e Newton) avrebbe avuto nello studio del moto. Nel 1623, ne Il Saggiatore, Galileo scrisse  una delle sue affermazioni più celebri: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si puo’ intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.” Nella visione galileiana esistono due “libri”, che sono in grado di rivelare la stessa verità, anche se attraverso due diversi campi: la Bibbia, che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione dell’anima, scritto in termini scientificamente approssimativi per il volgo; l’universo (cioè la Natura), che, a differenza del primo, va letto in maniera scientifica e quindi, per essere ben interpretato, deve essere studiato oggettivamente.?Essendo opera di un unico Autore, i due libri non potevano contraddirsi. Galileo volle pertanto conciliare le verità scientifiche con le verità di fede, senza intaccare minimamente né le une né le altre. Per Galileo la matematica è quindi il supremo strumento nell’indagine della natura. Egli recupera il metodo scientifico, sviluppato in epoca ellenistica e successivamente quasi dimenticato, grazie allo studio delle opere di Archimede. Il metodo che egli propone per affrontare le questioni scientifiche si compone di: – sensate esperienze: l’esperimento, che puo’ essere compiuto praticamente o solo astrattamente (“esperienze mentali”), ma che deve in ogni caso seguire a una attenta formulazione teorica, ovvero a ipotesi che siano in grado di guidare l’esperienza in modo che essa non fornisca risultati arbitrari; – necessarie dimostrazioni: un’analisi matematica e rigorosa dei risultati dell’esperienza, che sia in grado di trarre da questa ogni conseguenza in modo necessario e non opinabile, e che va ulteriormente verificata, con altre esperienze (il cosiddetto cimento, che è l’esperimento concreto con cui va sempre verificato l’esito di ogni formulazione teorica). Vi sono insiti i due momenti essenziali, quello induttivo e quello deduttivo. Uno dei primi filosofi a far ricorso al concetto di induzione è Aristotele, il quale, attribuendo a Socrate il merito di aver scoperto i ragionamenti induttivi, sosteneva che l’induzione fosse “il procedimento che dai particolari porta all’universale”. L’induzione, in definitiva, non dimostra niente, e vale solo nella totalità dei casi in cui si riscontra l’effettiva validità. Grazie alla riflessione di studiosi quali David Hume e poi John Stuart Mill, alla concezione di induzione come passaggio dal particolare all’universale se ne è progressivamente sostituita una diversa, che definisce l’induzione inserendovi un aspetto probabilistico ed ampliativo. Galileo combina il processo induttivo con quello deduttivo. Li fa vivere in modo inscindibile in una struttura funzionale di grande potenza. La stessa struttura concettuale soggiace oggi al concetto di modello matematico. Partendo da un problema vero (“fisico”), si cerca di rappresentarlo con le equazioni e il linguaggio della matematica, formulando un modello che, in via teorica, dovrebbe rappresentare il problema di partenza (ma, sperabilmente, tutti i problemi della stessa classe: ecco l’universalità del passaggio). Viene qui riaffermata l’intuizione galileiana di descrivere la Natura – ma anche le manifestazioni dell’attività umana – attraverso la matematica. L’analisi di questo problema e la sua traduzione nel cosiddetto modello numerico – un problema in dimensione finita, quindi traducibile su un computer attraverso un apposito algoritmo, ovvero una successione finita di operazioni elementari – vanno eseguite in modo rigoroso, con sillogismi matematici e dimostrazioni inconfutabili: ecco il momento deduttivo. Una volta generati i risultati al computer, si tratterà di confrontarli con i dati reali (le osservazioni, fisiche o condotte in laboratorio, oppure “in vivo”, su persone, nel caso si facciano modelli in medicina). Questa è la fase sperimentale del cimento, che condurrà alla convalida o alla confutazione del modello. In quest’ultimo caso si tratterà di ripartire e migliorare la fase induttiva, cercando leggi matematiche piu’ appropriate. Nel caso di convalida, invece, avremo messo a punto uno strumento d’indagine che potrà applicarsi ad una grande varietà di problemi differenti, tutti quelli della stessa famiglia del problema fisico da cui si era partiti. Come è noto, innumerevoli e sorprendenti sono, oggi, i campi in cui si usano i modelli matematici: quello industriale per la progettazione e l’ottimizzazione, quello ambientale per le previsioni meteorologiche e la simulazione di comportamenti estremi (quali ad esempio inondazioni, terremoti o gli effetti del cambiamento globale), quello sociale per la simulazione dei processi demografici e dei comportamenti umani (per esempio con i modelli di traffico o quelli della finanza quantitativa), quello medico-quantitativo per lo studio della genesi e diffusione di malattie o del comportamento dei sistemi quali il sistema respiratorio, cardiovascolare, o nervoso, quello della finanza quantitativa, ecc. Non vi è dubbio che lo sviluppo impetuoso della modellistica matematica di questi anni possa considerarsi come uno dei tanti frutti della“legacy” galileiana.

Alfio Quarteroni,
Politecnico di Milano e Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna
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