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In questo periodo segnato dall’epidemia di febbre suina viene naturale farsi alcune domande sullo sviluppo delle epidemie. Come si propaga una malattia (virale o batterica) come l’influenza suina o l’aviaria o anche la semplice influenza stagionale? Quando il numero di persone malate raggiungerà il suo massimo? Come cercare di minimizzare gli effetti di un’infezione virale, evitando la tanto temuta pandemia?

 

Il problema fondamentale in molti casi non è di trovare nuova cure, ma di somministrarl in modo ottimale. Per esempio nel 1976, in occasione di un’altra febbre suina che si era diffusa negli Stati Uniti, l’amministrazione americana ordinò una vaccinazione di massa per un’epidemia che in realtà non si verificò, provocando tra l’altro molti morti per gli effetti secondari del vaccino che all’epoca conteneva sostanze dannose. Per evitare che questo si ripeta, oltre a produrre vaccni sicuri, dobbiamo estrapolare dai meccanismi di base di un’infezione delle previsioni affidabili sullo sviluppo del contagio nel tempo per poter prevedere gli scenari generati dalle diverse contromisure e scegliere poi la strategia di intervento ottimale.

A questo scopo le organizzazioni sanitarie di tutto il mondo si servono ormai da decenni di modelli matematici basati sulle equazioni differenziali, sia per le operazioni di routine (come le vaccinazioni) che per affrontare momenti di emergenza (come la SARS o il nuovo ceppo A/H1N1 di influenza suina). Questi modelli sono stati sviluppati e raffinati a partire dal famoso lavoro del 1927 di Kermack e McKendrick.. L’idea di base è di dividere la popolazione in tre diversi gruppi: gli Infetti, i Suscettibili (cioè coloro che si possono infettare) e i Rimossi (immuni, in quarantena, morti…). Dalle iniziali di questi gruppi questi modelli vengono chiamati modelli SIR. Il modello ipotizza che i Suscettibili si infettino incontrando gli Infetti, con una certa probabilità. È possibile poi che dopo un po’ di tempo gli Infetti escano da questo stato e diventino Rimossi (sia perché isolati, sia per guarigione che per morte), anche questo con una data probabilità. Determinando quindi due soli parametri, la contagiosità e il tempo di guarigione, è possibile cercare di fare delle estrapolazioni e confrontarle con i dati reali.

Le figura seguente mostrano l’adattamento del modello, in una delle sue tante varianti, applicato a tre diverse epidemie: un’epidemia di peste a Bombay nel 1905, un’epidemia stagionale di influenza in Italia (stagione 2004-05), e le due ondate dell’influenza “spagnola” del 1918 a Ginevra. Come si vede il modello in tutti i casi riesce a rendere conto in modo molto accurato degli andamenti osservati.

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Ma quali sono i fattori misurabili più importanti nell’evolvere di un’epidemia? Grazie ai modelli matematici si è scoperto un fatto a posteriori abbastanza intuitivo. Alla base di un’infezione c’e’ un parametro, detto “il numero riproduttivo di base”, che rappresenta il numero medio di individui infettati da un individuo infetto. Intuitivamente, se questo numero fosse inferiore a 1, allora un eventuale focolaio infettivo scomparirebbe rapidamente. In caso contrario vi sarebbe un periodo di crescita esponenziale del numero di infetti, fino a che il numero dei suscettibili non fosse calato abbastanza da far sì che ogni infetto, non incontrando più suscettibili, finisse con infettarne in media meno di 1. Poiché è difficile riuscire a misurare direttamente il numero di individui contagiati da ogni infetto, sono state sviluppate numerose tecniche indirette per stimarlo. Utilizzando poi la potenza di calcolo dei moderni computer, è possibile simulare modelli più elaborati, che per esempio prevedono più gradi di infezione, l’entrata di nuovi suscettibili (ad esempio i nuovi nati) nella popolazione, una popolazione strutturata in famiglie, scuole, posti di lavoro, etc, e quindi di valutare l’effetto atteso di misure dettagliate. Anche in questo caso è comunque fondamentale definire questo numero riproduttivo di base, che in qualche modo quantifica lo sforzo necessario per controllare un’epidemia. Se fosse per esempio uguale a 2, allora per bloccare l’epidemia si dovrebbe bloccare la trasmissione da individuo a individuo del 50%, per esempio tramite l’uso di farmaci, vaccinazioni di massa, quarantena, chiusura di scuole e luoghi di ritrovo. Se fosse uguale a 3 il blocco sarebbe almeno del 66%, e così via. Insomma, in modo forse sconosciuto ai più, la matematica riesce a fornire anche in questo campo criteri facilmente utilizzabili per migliorare l’efficacia degli interventi.

 

 

Andrea Pugliese è professore di Analisi Matematica presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Trento.

 
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