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L’endemicità di una malattia contagiosa non significa la sua eliminazione. Il patogeno potrebbe persistere nella popolazione per anni. Ce ne parla Marco Menale.

La Covid-19 sta passando dalla fase di irruenti scoppi epidemici all’endemicità. Lo si sente dire spesso nei diversi mezzi di comunicazione, ma sembra quasi una rassicurazione più che un vero dato scientifico. Fino a questo momento i dati dicono che sono oltre 300 milioni le persone risultate positive e circa 5 milioni i morti, con un probabile sottostima sia dei contagi che dei decessi. Il successo dei vaccini è confermato dai limitati danni in proporzione all’enorme numero dei contagi. Tuttavia l’endemicità è spesso invocata come una speranza per il futuro. Ma lo è davvero?

In epidemiologia una malattia si dice endemica se è costantemente presente in una popolazione o in una determinata zona. La presenza costante determina delle oscillazioni nel tempo del numero dei contagi. Assistiamo così alla stagionalità di alcuni agenti infettivi. Ad esempio l’influenza presenta i suoi picchi nel corso del periodo invernale. Malaria e morbillo sono altri due esempi di malattie endemiche. Mentre una malattia è pandemica se c’è una rapida diffusione su scala globale, come per la Covid-19.

Guardiamo il problema dal punto di vista matematico. Il modello più semplice usato per descrivere un’epidemia è il SIR (qui e qui per approfondire). La popolazione è divisa in tre compartimenti: \(S\) i suscettibili,  \(I\) gli infetti e \(R\) i rimossi. Indichiamo con \(\beta\) il tasso di trasmissione della malattia e \(\gamma\) il tasso di rimozione, ossia come diminuiscono gli infetti, sia perché muoiono, sia perché guariscono. Per studiare l’endemicità è necessario considerare il tasso di nati e di morti nella popolazione. Assumiamo tasso di natalità e tasso di mortalità uguali e costanti nel tempo, e sia \(b>0\) il loro valore. In mancanza di un vaccino,  l’evoluzione può essere descritta da un sistema di equazioni differenziali ordinarie (per i dettagli qui).

Dal modello si ricava il numero di riproduzione di base \(R_0\). Questo indica il numero medio di persone infettate da un singolo individuo infetto in una popolazione interamente suscettibile. La sua espressione matematica è:

\[R_0=\frac{\beta}{(\gamma+b)}.\]

Se \(R_0>1\) l’epidemia ha inizio. In mancanza di vaccini possiamo frenare il contagio riducendo \(R_0\). Ma la riduzione di \(R_0\) passa per la riduzione del parametro \(\beta\), ossia il numero di contatti. In alternativa si può aumentare \(\gamma\) con misure di screening o quarantena.

Ci sono due punti di equilibrio del sistema. Il primo è \(P_0=(1,0)\), e corrisponde all’assenza della malattia, ossia solo suscettibili e niente infetti. E lo si indica con DFE, dall’inglese Disease Free Equilibrium. Il secondo è \(P^*=(S^*,I^*)\), dove

\[S^*=\frac{1}{R_0} \qquad \text{e} \qquad I^*=\frac{b}{\beta}\cdot[R_0-1].\]

Questo è il punto di equilibrio endemico. La dipendenza dal valore di \(R_0\) è evidente. All’aumentare di \(R_0\) aumenta il numero endemico di infetti.

Rappresentiamo i punti di equilibrio su di un grafico al variare di \(R_0\) (figura 1). Se \(R_0<1\) c’è solo il punto di equilibrio DFE \(P_0\) che corrisponde all’assenza dalla malattia. Quindi le traiettorie possono solo avvicinarsi a \(P_0\). Da \(R_0=1\) compare anche il punto di equilibrio endemico. E il numero di infetti aumenta con \(R_0\). In particolare se \(R_0>1\) allora le traiettorie non convergono più a \(P_0\), ma a \(P^*\). E la malattia resta endemica.

Punti di equilibrio al variare di R_0

Figura 1. Punti di equilibrio al variare di R_0

 

L’endemicità di una malattia significa averla costantemente presente. Non è una rassicurazione, ma un rischio da non sottovalutare a seconda della sua mortalità. La malattia potrebbe circolare ancora per un lungo periodo se non per l’intera storia dell’umanità. Consideriamo il morbillo, con \(12\leq R_0\leq 18\). Nel solo 2019 circa 140.000 persone sono morte per morbillo, nella maggior parte bambini. Nel caso della Covid-19 l’endemicità può rappresentare una possibile evoluzione, ma non la fine dei problemi. Come per il morbillo, restano i vaccini l’unica arma per il presente ed il futuro.

 

Ringrazio la dottoressa Rossella Della Marca, Assegnista di Ricerca presso la SISSA di Trieste, per i preziosi suggerimenti.

[Illustrazione di Luca Manzo]

 

Marco Menale

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