Un eccitante prequel della Matematica del colore, attraverso la storia degli scienziati che nel diciottesimo e diciannovesimo secolo hanno dato una struttura rigorosa alla sensazione del colore. Ci regalano questo viaggio, Edoardo Provenzi, Professore all’ Université de Bordeaux e Valentina Roberti, assegnista di ricerca presso l’Università di Padova. Questo è il quarto episodio. Tutti gli episodi usciti li trovate in questa pagina.
Nell’episodio 1 abbiamo descritto la proposta teorica di Newton relativa al mescolamento dei colori in analogia con il calcolo del baricentro. Newton non verificò mai empiricamente la sua congettura. Dovremo aspettare l’avvento di un altro scienziato di uguale caratura per una conferma sperimentale: stiamo parlando di James Clerk Maxwell (1831-1879). Fu il suo professore di filosofia naturale a Edimburgo, James David Forbes (1809-1868), ad introdurlo agli studi sul mescolamento dei colori a partire dal 1849. Forbes voleva ottenere una classificazione più precisa dei colori utilizzando il diagramma triangolare di Mayer e Lambert come base. A tale scopo, decise di effettuare alcuni esperimenti utilizzando uno strumento noto come “trottola del colore”: un disco sul quale vengono inseriti settori colorati di diversa ampiezza. Forbes osservò che utilizzando i tre settori colorati corrispondenti ai primari dei pittori (ovvero rosso, giallo e blu), comunque si aggiustasse l’ampiezza dei settori, il colore risultante, quando la trottola veniva posta in rapida rotazione, non era un colore neutro (grigio), bensì una sfumatura del rosso. Questo significa in particolare che è impossibile ricostruire la luce bianca riducendo la somma di infinite componenti a soli tre termini utilizzando i primari dei pittori. Chiariremo nel prossimo episodio la differenza tra il meccanismo di mescolanza sottrattiva e additiva dei colori.
Sorpresi da questo risultato, Forbes e Maxwell decisero di modificare il colore dei tre settori in modo da ottenere una sensazione di grigio: videro che ciò poteva essere ottenuto soltanto se venivano utilizzati come primari tinte di rosso, verde e blu. Sarà il pittore di Edimburgo David Ramsey Hay (1798-1866) a fornire a Maxwell e Forbes i primi dischi colorati da inserire sulla trottola.
Maxwell introdusse poi un’importante modifica rispetto alle tradizionali trottole utilizzate per questo tipo di esperimenti: sovrappose alla prima serie di dischi un disco dipinto di bianco e un disco dipinto di nero, concentrici ma di raggio inferiore, come si vede nella figura sottostante.
Grazie a questa modifica fu possibile confrontare immediatamente, una volta che la trottola veniva posta in rotazione, il colore risultante dalla combinazione dei settori colorati della corona esterna con il colore acromatico risultante dai settori bianco e nero della corona circolare interna. Il contributo cruciale di Maxwell fu il seguente: se il colore percepito dalla rotazione nella corona esterna coincide con quello percepito nella corona interna, allora è possibile scrivere un’identità matematica, che lui chiamò “equazione colorimetrica”, nella quale l’ampiezza dei vari settori è tradotta in un coefficiente.
A titolo di esempio riportiamo l’ equazione colorimetrica ottenuta da Maxwell il 6 marzo 1855:
0.37 V + 0.27 U + 0.36 EG = 0.28 SW + 0.72 Bk,
dove V indica il rosso vermiglio, U l’azzurro oltremare, EG il verde smeraldo, SW il bianco e Bk il nero. È possibile ripetere l’esperimento con lo stesso osservatore e con osservatori diversi ottenendo un elevato numero di equazioni colorimetriche.
Se i colori primari scelti, rosso, verde e blu, vengono posti ai vertici di un triangolo equilatero, allora è possibile verificare con dati sperimentali l’analogia con il calcolo del centro di massa introdotta da Newton. Maxwell vide che, effettivamente, la tinta acromatica si situava con buona approssimazione nel baricentro del triangolo.
Grazie alle sue equazioni colorimetriche Maxwell inaugurò di fatto la scienza che oggi chiamiamo colorimetria. Il lettore interessato a un approfondimento sul ruolo svolto da Maxwell nello studio del colore può trovare più informazioni nel libro Vortici e colori. Alle origini dell’opera di James Clerk Maxwell di Giulio Peruzzi.
Maxwell mostrò che in realtà quella che Newton aveva immaginato come somma pesata di sette termini si riduceva ad una somma di soli tre termini. Egli stesso sottolineò la ridondanza del numero di colori primari proposti da Newton sovrapponendo un triangolo equilatero al disco di Newton, come si può vedere nella figura sottostante che riproduce l’immagine originale di un suo articolo del 1855.
Come già citato nell’episodio 3 de “La matematica del colore”, disponibile in questa pagina, vi è un altro modo per per mostrare la dipendenza del colore da tre variabili, ed è quello – seguito dal matematico Hermann Günter Grassmann – di distinguere i colori attraverso il colore spettrale, il grado di saturazione e la tonalità. Citando Maxwell, questi due diversi sistemi di descrivere le variabili che definiscono il colore “possono essere dedotti l’uno dall’altro” e “la relazione tra i due metodi per ridurre a tre gli elementi del colore diventa materia della geometria”.
Avendo trasformato in equazioni le congetture degli scienziati che lo hanno preceduto, Maxwell aprirà la strada ad un vastissimo numero di scoperte, sia sperimentali che teoriche. Qui di seguito discutiamo una geniale applicazione di queste equazioni operata dallo stesso Maxwell per la verifica del fatto che il rosso è effettivamente un colore primario. Fece questo studiando i risultati percettivi degli esperimenti condotti su soggetti affetti da una anomalia cromatica, inaugurando le tecniche di indagine oggi utilizzate nel campo delle neuroscienze.
In mancanza di dati certi, Maxwell fece uso di risultati indiretti che provenivano dai suoi studi su soggetti affetti da cecità da colore (non si parla ancora di daltonismo, perché con quel termine ci si riferiva alla teoria atomica della materia proposta da Dalton), ipotizzando come Young e Herschel che i difetti di percezione potessero essere spiegati con l’assenza o il malfunzionamento di uno dei recettori. Utilizzando sempre la sua “color top”, la trottola dei colori, Maxwell riuscì a ottenere equazioni colorimetriche in grado di confermare questa congettura, ovvero che la anomalia di colore dipende dalla mancanza o dal malfunzionamento di uno dei recettori. Questo porta con sé un altro importante risultato: uno dei recettori deve avere una sensibilità particolarmente acuta verso la componente rossa della luce. In caso di assenza di questo recettore, la percezione cromatica dell’individuo sarà differente dalla visione di un osservatore tricromatico nella norma.
L’ultima informazione che Maxwell trasse da questo insieme di esperimenti fu che una scienza basata sulla misura di sensazioni percettive è ben definita: dati provenienti da diversi individui danno risultati omogenei, ciò implica che esiste un apparato anatomico condiviso da tutti i soggetti che non hanno anomalie cromatiche e questo garantisce un’ampia robustezza nelle misure di colore.
Nella storia del colore la trottola di Maxwell è servita anche per chiarire la distinzione tra ciò che oggi si chiama comunemente sintesi additiva e sintesi sottrattiva del colore.
Per introdurre questi due concetti, ricordiamo che tutti noi da piccoli abbiamo mescolato ad esempio pigmenti gialli e blu al fine di ottenere dei pigmenti verdi. Tuttavia, se avessimo fatto lo stesso tipo di esperimento sovrapponendo luci gialle e blu, con nostra somma sorpresa avremmo trovato una luce acromatica. Oggi, grazie proprio a Maxwell e Hermann von Helmholtz (di cui parleremo più approfonditamente nell’episodio 5), sappiamo che è la natura fisica di questi due esperimenti a dar luogo a due esiti differenti: nel primo caso, la mescolanza dei pigmenti gialli e blu assorbe certe componenti della luce incidente e ne riflette altre che vengono percepite come un colore verde dal nostro sistema visivo, invece nel secondo caso la luce che arriva ai nostri occhi è proprio la diretta somma delle luci gialle e blu. La prima conferma sperimentale della differenza tra questi due processi si deve a Helmholtz. Come si vede nella figura sottostante, Helmholtz fa uso di una versione modificata della trottola dei colori per rendere evidente la distinzione tra i due fenomeni. Nella corona esterna si ha l’alternanza di settori gialli (a) e settori blu (b). Il cerchio interno invece è uniformemente colorato con il colore risultante dalla miscela di pigmenti gialli e blu. Quando la trottola è posta in rapida rotazione, la corona esterna appare di un colore neutro (giallo e blu in sintesi additiva sono infatti complementari), equivalente alla sovrapposizione di luci gialle e blu, mentre il disco al centro rimane percepito dello stesso colore verde grazie alla simmetria sferica.
Edoardo Provenzi e Valentina Roberti
#fine quarto episodio
curato da Barbara Nelli