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Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come lui vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Il tema di oggi è il teorema dimostrato dai ragazzi di una scuola elementare, ma soprattutto tutto quello che ci sta dietro.

Mi aspettavo che la notizia del teorema scoperto dai ragazzini di una quarta elementare di Uggiate, paesino del comasco, avesse un certa eco sulla stampa: magari vi ricordate cosa è successo l’anno scorso, quando due studentesse liceali statunitensi trovarono una soluzione trigonometrica al Teorema di Pitagora, notizia che invece apparve eccome. In questo caso invece ho solo trovato fonti localissime, come La provincia di Como. Questo mostra come gli americani siano molto più bravi di noi a farsi pubblicità, e le agenzie nostrane abbiano scoperto che è più facile prendere la pappa già pronta dall’estero che mettersi a cercare quello che succede dalle nostre parti. Il mondo è fatto così.

Il vero guaio è che alla fine chi ha trovato la notizia l’ha letta dai social network, e si è così dovuto sorbire i commenti scritti da gente che non ha nessuna idea, ma deve comunque esprimerla pubblicamente e rumorosamente. Non che i giornalisti facciano spesso di meglio: purtroppo, quando si parla di matematica non è facile trovare tante persone con le conoscenze di base che permettano loro di evitare almeno i luoghi comuni. Che posso dire io, da buon matematico non praticante?

Per prima cosa, espongo il teorema: “Il triplo di un numero triangolare, sommato con il numero triangolare precedente oppure con quello successivo, è ancora un numero triangolare”. I numeri triangolari sono quelli che si ottengono prendendo dei pallini e formando per l’appunto un triangolo dove il numero di pallini in ciascuna riga è maggiore di un’unità rispetto a quella precedente: i primi numeri triangolari sono pertanto 1, 3 = 1+2, 6 = 1+2+3, 10 = 1+2+3+4, … Essi sono stati studiati dai greci già dai tempi dei pitagorici, che avevano una venerazione per la tetrakis, il triangolo con 10 elementi. Il risultato non è però tipicamente presentato nei testi, a differenza per esempio della formula per esprimere il numero triangolare di lato n, e cioè n(n+1)/2.

È vero che quello trovato dai ragazzi è un tipico risultato che si trova tra gli esercizi universitari di “algebretta”, quello che almeno ai miei tempi era il primo approccio alla dimostrazione formale e alla teoria dei numeri di base. Probabilmente chi scrive questi esercizi si aspetta che lo studente lo risolva per induzione: il famoso metodo che ti permette di dimostrare un risultato dopo che in qualche modo hai divinato che cosa devi dimostrare. Non prendete però questa mia affermazione come un modo per sminuire il risultato dei ragazzini: tutt’altro. Ricordo che stiamo parlando di ragazzini di quarta elementare, che non possono avere il bagaglio culturale di un diciannovenne, eppure sono riusciti a scoprire una proprietà che non era nota alla loro insegnante Cristina Sperlari – e quindi non si può pensare che sia stata lei a suggerire più o meno inconsciamente ai ragazzini il risultato.

Sfatiamo poi il mito “sì, ma non hanno mica dimostrato la proprietà, quindi non vale.” Se andate a vedere la pagina postata sul sito della scuola, vi accorgerete che la sezione di sinistra del poster composto dai ragazzini mostra la costruzione esplicita per i primi casi del teorema. Dal mio punto di vista, questa è una dimostrazione perfettamente valida: dato un qualunque numero n, i ragazzini hanno una procedura – potremmo chiamarla algoritmica, e in effetti non sarebbe difficile da implementare in un programma software – per costruire i due numeri triangolari che si ottengono partendo dalle tre copie di quello di lato n e da una copia del successivo o precedente. Il fatto che noi siamo abituati a considerare una dimostrazione fatta in un certo modo non significa nulla: l’importante è arrivare al risultato in modo inequivocabile e non per passaggi più o meno fumosi tipo “posizioniamo in qualche modo i numeri triangolari e vediamo che c’è un buco che si può riempire”.

C’è infine una cosa che traspare dalle parole della maestra ma probabilmente non è stata colta da buona parte dei lettori: il teorema non è stato opera di un singolo ragazzino, ma è un risultato collettivo della classe. Nel pensiero comune, la matematica è una scienza essenzialmente solitaria: c’è il genio che si sveglia al mattino, oppure resta chino sui suoi appunti per anni e anni, e a un certo punto se ne esce con una teoria bella e pronta, che tutti prima o poi adottano. Questo è un pensiero romantico, avrebbe detto il mio professore di italiano al liceo (che essendo un medievalista considerava il romanticismo un periodo di involuzione, battibeccando a distanza con il professore di storia e filosofia). Quello che succede in realtà è che c’è indubbiamente chi ha un’idea, ma poi è il lavoro complessivo della comunità dei matematici che raffina l’idea e la rende accessibile a tutti. Questo capitava già nell’antichità: Euclide è stato il più grande compilatore e assemblatore di conoscenze matematiche, per dirne una. Oggi esiste il progetto Polymath, pensato da Tim Gowers proprio per sfruttare la conoscenza collettiva dei matematici per risolvere “problemi difficili”. Per esempio Yitang Zhang dimostrò per la prima volta che esistevano infinite coppie di numeri primi a distanza minore o uguale a 700.000.000 – può non sembrare un grande risultato, ma prima di lui non si sapeva assolutamente nulla: di per sé i numeri primi, pur essendo infiniti, potrebbero essere sempre più lontani. Questo risultato riaccese i riflettori sulla congettura dei primi gemelli, che cioè ci siano infinite coppie di numeri primi a distanza 2 come 11 e 13 oppure 999999191 e 999999193: non si è ancora arrivati alla dimostrazione, ma il progetto Polymath ridusse la distanza prima a 4680 e poi a 246, con un batti e ribatti di nuove idee portate dai partecipanti.

Questo secondo me è il risultato più bello della scoperta fatta dai ragazzini: non solo possono fregiarsi di avere trovato da soli un risultato che non avrebbero mai letto in un libro (la sezione degli esercizi non conta…), ma hanno anche capito che cos’è davvero la matematica, per citare il titolo di un libro di cui avevo parlato nel post precedente. E questa è una cosa bellissima, molto più che prendere un bel voto in una verifica!

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Maurizio Codogno, noto online come .mau., è nato a Torino nel 1963, e si è laureato in matematica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e successivamente in informatica a Torino. Autore di numerosi libri di divulgazione scientifica, tra cui “Matematica in pausa caffè” e “Chiamatemi Pi Greco”, ha il suo blog “Notiziole di .mau.” dall’inizio del millennio ed è stato curatore della collana di libri Matematica di Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera.

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