di Nicola Ciccoli, Professore Associato di Geometria presso il Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Perugia
Visitando la mostra di Huang Yong Ping in corso al MAXXI di Roma una cosa, sopra tutte, avevo in mente: il cartello al piano terra che avvisava di alcune immagini forti (teste mozzate di animali) e come fare per evitare alle mie figlie di 7 e 10 anni una notte popolata da incubi, senza privarle del piacere di vedere l’affascinante scheletro di drago.
La spirale di Cornu
Camminando con loro, assorto in questi pensieri, mi sono inconsapevolmente ritrovato a osservare da vicino una specie di carta geografica gigantesca punteggiata da aghi. “Guarda, papà, ha la forma della buccia di arancia, come la sbucci tu”. Mi sono allontanato a sufficienza per vedere l’immagine in tutta la sua interezza e ho fatto un balzo nel riconoscere una figura che faceva capolino dagli appunti delle mie lezioni di questi giorni. E l’ho detto, ad alta voce: “è la spirale di Cornu”. Suscitando al solito l’imbarazzo di mia moglie e lo stupore dei presenti.
Che poi, a dire il vero, la si potrebbe pure chiamare spirale di Eulero o curva del ferroviere e per spiegare come sia collegata al gesto di sbucciare un’arancia non si può fare a meno della geometria differenziale. In effetti l’artista cinese ha ottenuto la sua spirale proprio come io ottengo la mia buccia di arancia: ha sbucciato un mappamondo in una unica sottile striscia e poi si è ingegnato a stendere questa striscia su una superficie piana, senza spezzarla. E non poteva stenderla altrimenti, non poteva ottenere nulla di diverso da questa doppia spirale, in effetti. Per capire perché, però, bisogna comprendere in quale modo si curva una superficie.
In che modo si curva una superficie
Le superfici nello spazio si possono distinguere per la loro curvatura, una funzione che ad ogni punto fa corrispondere un numero che misura di quanto la superficie si discosta dal suo piano tangente. Hanno curvatura positiva quelle superfici che giacciono sempre da una stessa parte rispetto al piano tangente e curvatura negativa quelle superfici che vicino al punto di tangenza hanno punti che giacciono da entrambi i lati del piano tangente. La sfera è un esempio di superficie a curvatura costante positiva e la sua curvatura, in ogni punto, è l’inverso del raggio. La curvatura si può anche calcolare non per un punto ma per una porzione della superficie. Si tratta della cosiddetta curvatura totale ed è data dall’integrale della funzione di curvatura sulla porzione di superficie in questione. Per chi non avesse dimestichezza con gli integrali è sufficiente pensare di fissare una griglia fittissima di punti sulla superficie e sommare tra loro le curvature in tutti questi punti. Per una porzione di sfera, dove la curvatura è, come detto, costante, la curvatura totale di una parte è proporzionale alla sua area. Esiste, però, un modo diverso per calcolare la curvatura totale di una superficie, reso possibile dal cosiddetto Teorema di Gauss-Bonnet.
Immaginiamo di prendere una porzione di sfera che abbia la forma di un piccolo disco incurvato e di tagliare una strisciolina sottile di sfera che la delimiti. Se ora stendiamo questa strisciolina su di un piano la potremo vedere incurvarsi di un angolo maggiore o minore. In effetti la misura di quanto quest’angolo differisce da un angolo giro (360°, o meglio, esprimendolo in radianti, 2 pi greco) si chiama difetto angolare ed è proporzionale alla curvatura totale della porzione di superficie che racchiude. Se sulla sfera di raggio unitario tagliamo una strisciolina sottile lungo un cerchio massimo, cioè lungo l’equatore, otterremo una striscia che si può disporre lungo una retta. In questo caso il difetto angolare è massimo (cioè proprio 2 pi greco) e corrisponde all’area della semisfera. Per tener conto del fatto che in realtà la stessa strisciolina racchiude due porzioni di semisfera, una parte e il suo complementare, bisogna scegliere un verso di rotazione privilegiato a cui far corrispondere angoli positivi, di modo che ad aree superiori a 2 pi greco corrispondano rotazioni di verso opposto.
Sbucciando un’arancia
Ma veniamo, ora, alla nostra arancia sbucciata. La striscia di buccia che tagliamo non è esattamente una curva chiusa sulla superficie. Ma possiamo immaginare che in buona approssimazione lo sia, che sia il bordo di una porzione di arancia, quella già sbucciata. Siccome la porzione di arancia sbucciata cresce, cresce anche, in maniera che possiamo considerare lineare, l’angolo di rotazione della nostra buccia tagliata, una volta che la stenderemo sul piano (per calcolare con precisione come cresce l’angolo di rotazione al variare della lunghezza della buccia bisogna, essenzialmente, calcolare come varia il rapporto tra area di una calotta sferica e lunghezza del suo bordo, calcolo che richiede formule elementari e che potete trovare in dettaglio in [1]). Arrivati all’equatore la parte di arancia sbucciata diventa maggiore di quella ancora da sbucciare e questo impone alla striscia di cambiare, come spiegato, il suo verso di rotazione e iniziare a incurvarsi sempre più velocemente nella direzione opposta. Se immaginiamo una procedura limite che consideri strisce di buccia di larghezza sempre minore otteniamo, stendendole su di un piano, una curva limite che si chiama spirale di Cornu o clotoide (qui accanto), caratterizzata dal fatto che la sua curvatura è funzione lineare della sua lunghezza.
La storia della spirale di Cornu
Questa curva dai molti nomi compare, infatti, in campi della fisica apparentemente molto diversi tra loro. La prima volta che fa capolino è tra le carte di Eulero che, nei suoi lavori sulla elasticità, considera il seguente problema: quale forma deve avere una lamina vincolata a un estremo in maniera tale che, se attacco un peso all’altro estremo, si disponga in maniera orizzontale. Il problema era già stato posto da Bernoulli che aveva trovato una equazione per questa curva ma è Eulero a dare la moderna espressione di questa curva che prende così il nome, per ora, di spirale di Eulero.
Passano più di cento anni quando Alfred Cornu, studiando alcuni lavori di Fresnel sulla diffrazione, e precisamente cercando di capire la funzione che lega la intensità luminosa alla larghezza della fessura attraverso cui passa la luce, riesce a disegnare questa funzione ottenendo una spirale. Nelle parole di Poincaré “riuscì a rimpiazzare una spiacevole moltitudine di formule integrali con una singola figura armoniosa che l’occhio segue con piacere” ed è così che, senza conoscere il lavoro di Eulero, riscopre la spirale che porta (anche) il suo nome. A questa curva viene presto associato un altro nome, quello di clotoide, da Clotho, la più giovane della Parche, figlia della Notte che tesse il filo della vita.
Nel frattempo, ignari del lavoro di Eulero e di quello di Cornu, gli ingegneri ferroviari hanno un problema. Quale tracciato permette di meglio passare da un tratto rettilineo a uno curvo in maniera che il treno, e dunque anche il suo carico e i suoi passeggeri, non subiscano un forte contraccolpo dalla forza centrifuga? Si tratta di descrivere una curva il cui raggio di curvatura vari nella maniera più graduale possibile. E’ Arthur Talbot, un ingegnere civile americano che lavora allo sviluppo e alla manutenzione delle nuove ferrovie del West, a impostare correttamente il problema e a trovare la soluzione, nel 1880, della spirale di transizione ferroviaria, una curva che di lì in poi comparirà in tutti i testi di ingegneria stradale e ferroviaria ma che solo dopo quarant’anni verrà identificata con la spirale di Cornu (in [4] questa storia è raccontata con abbondanza di dettagli).
Sbucciare arance a spirale è dunque un utile strumento di studio matematico ed è per questo motivo che a partire dal ’91 il gruppo di lavoro “Geometry and the Imagination” all’Università del Minnesota lo comprende tra le attività da proporre agli studenti del laboratori di Geometria [2]. In maniera del tutto accidentale Dai Fujiwara, direttore del design della casa di moda di Issey Miyake scopre che il matematico Bill Thurston fa sbucciare arance ai suoi studenti esattamente come fa lui quando vuole spiegare le sottigliezze del design nel mondo dell’abbigliamento. I due si mettono in contatto e ne nasce un seminario congiunto dove matematici e sarti scoprono l’importanza dei rispettivi approcci al problema di usare forme piane per ricoprire, in maniera ovviamente approssimate, forme complesse come quelle del corpo umano [3].
Bibliografia
[1] L. Bartholdi e A.G. Henriques Orange peels and Fresnel integrals, The Mathematical Intelligencer 34, 1-3 (2012), anche su arXiv:1202.3033.
[2] J. Conway, P. Doyle, J. Gilman, B. Thurston, Geometry and the Imagination Mathematics Seminar, disponibile a https://math.dartmouth.edu/~doyle/docs/gi/gi.pdf
[3] K. Delp and B. Thurston, Playing with surfaces: spheres, monkey pants and zippergons, Bridges 2011: Mathematics, Music, Art, Architecture, Culture.
[4] R. Lieven, The Euler spiral: a mathematical history, Tech. Rep. No. UCB/EECS-2008-111 University of California at Berkeley.
[Immagine: Carte du Monde – Huang Yong Ping]
Molto interessante ed istruttivo
Complimenti