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Dopo le tre proposte di Giovanni Righini, continua la discussione sul cambiamento dell’insegnamento della matematica nella scuola secondaria, con il suggerimento pratico sulle interrogazioni di Claudia Zampolini, insegnante di matematica e fisica presso il Liceo Scientifico statale “Galeazzo Alessi” di Perugia.

 

All’inizio dell’anno, i docenti, animati da un inguaribile ottimismo, preparano il piano di lavoro facendo affidamento sulle ore che sarebbero destinate all’insegnamento della loro disciplina, dimentichi del fatto che quel monte ore sarà inevitabilmente eroso, per una percentuale che sembra crescere di anno in anno, da varie attività, tutte importanti e tutte irrinunciabili: PCTO, Educazione Civica, giorni flessibili, uscite mattutine, convegni, Invalsi, etc..

Inevitabili quindi le lamentele alla fine dell’anno, quando si fa la verifica finale, per non essere riusciti a “finire il programma” (anche se i programmi non esistono più da moltissimo tempo, il termine è rimasto in uso nel linguaggio comune).
È un copione che si ripete stancamente, nello stesso modo, tutti gli anni. Non si può pensare di tornare indietro e non sarebbe giusto. Quindi urge una soluzione. Io penso di avere trovato la mia (probabilmente in parte già implementata almeno parzialmente da altri colleghi) e la sto mettendo in pratica, con sempre maggior convinzione, da parecchi anni, in quanto mi sembra dare buoni risultati, almeno limitatamente alla mia esperienza.

 

Care classiche interrogazioni…

L’idea consiste nel trovare un’alternativa alle classiche interrogazioni che, a mio parere, sono un metodo valutativo vecchio, poco efficace e sgradito sia agli studenti sia ai docenti. Elenco alcuni motivi:

  • Richiedono tanto, troppo tempo, costringendo l’insegnante a lunghe interruzioni dell’attività didattica e a recuperare poi con dense lezioni frontali. 
  • Mentre si interroga uno studente, gli altri si sentono autorizzati a distrarsi o a ripassare un’altra materia per l’interrogazione dell’ora successiva; a poco serve l’invito del docente ad approfittare dell’occasione per prendere nota, a mo’ di rinforzo, degli errori dei compagni e delle correzioni dell’insegnante.  
  • Una volta interrogato, c’è il rischio che lo studente si senta appagato dal voto ottenuto e si metta a riposo, sapendo che non verrà interrogato per un lungo periodo; si ritroverà poi a fare una rincorsa per rimettersi in pari con uno studio affannoso e poco produttivo.  
  • Quando arriva il giorno delle interrogazioni, specialmente a fine quadrimestre quando si concentrano prove di più materie, alcuni studenti si sottraggono con vari espedienti: assenze strategiche, ingressi in ritardo, uscite anticipate (duole dirlo, quasi sempre “avallate” dai genitori); questi, oltre a incidere pesantemente sul rendimento complessivo dello studente, alla lunga creano tensioni con l’insegnante e malumori tra i compagni. 
  • Molti docenti consentono le interrogazioni programmate ma questa soluzione non si rivela efficace. Mi è capitato spesso di assistere ad accese discussioni per decidere il calendario delle interrogazioni di filosofia o latino o a forti litigi perché Tizio, che doveva essere interrogato quel giorno, si è dato malato mettendo nei guai il povero Caio. E devo pure perdere tempo per riportarli alla calma!

Nelle Indicazioni Nazionali è scritto:

“L’ampio spettro dei contenuti che saranno affrontati dallo studente richiederà che l’insegnante sia consapevole della necessità di un buon impiego del tempo disponibile.” 

Ed è per impiegare bene il tempo disponibile che sono ricorsa alla seguente alternativa: consiste semplicemente nel formarsi un giudizio con l’osservazione costante degli studenti durante la normale attività didattica.

 

…addio: una proposta pratica alternativa

Secondo me, per formarsi un giudizio bisogna ridurre al minimo le lezioni frontali, sostituirle con lezioni dialogate, costruire la lezione insieme agli studenti, sollecitare i loro interventi, lasciarli liberi anche di percorrere strade non corrette o strategie poco efficaci, costringerli però a essere sempre “sul pezzo”, farli sentire che sono sempre “sotto osservazione”. 

La definizione dei giudizi avviene per successive scremature. Nei primi giorni individuo subito gli studenti più validi e le eventuali eccellenze, sono quelli che mi sommergono con interventi di livello: intuizioni con le quali anticipano la conclusione di un ragionamento, correzioni di un errore fatto da me o da un compagno, procedimenti risolutivi alternativi e più efficaci, domande particolarmente pertinenti che aprono ad ulteriori sviluppi, etc., sono gli studenti che rendono la lezione vivace, che riescono talvolta a sostituirsi all’insegnante contribuendo alla costruzione della lezione. 

Nel frattempo individuo anche il gruppo più debole. Faccio frequenti domande per costringerli a stare attenti e li chiamo spesso alla lavagna per svolgere semplici esercizi, insomma, come direbbero loro, “gli sto addosso”. In poco tempo ho individuato alcuni dei loro problemi quindi suggerisco soluzioni: cambiare metodo di studio, maggiore attenzione in classe, più esercizi: insomma, le solite cose. Dopo questi “avvertimenti”, li lascio un po’ in pace aspettando eventuali progressi. Intanto prendo nota.

Mi dedico quindi all’osservazione del gruppo “intermedio”: il più numeroso, formato per capirci dagli studenti che si collocano nella fascia tra il 6 e l’8. Mi concentro sui problemi evidenziati nelle prime esercitazioni, verifico se hanno compreso le correzioni fatte in classe, se individuo lacune nei contenuti li sollecito a “ripassare l’argomento”, annoto ogni loro intervento di rilievo, li osservo durante i lavori di gruppo, mentre loro lavorano liberi da ogni ansia di prestazione prendo appunti. E così per tutto il periodo. 

Mentre osservo e annoto, affronto con passo costante e senza strappi il percorso didattico previsto.

Dove prendo nota? Uso un’applicazione caricata sul tablet che mi permette di scrivere annotazioni dettagliate e non solo dei poco significativi “ + ” o “ – ” . Ogni tanto mi diverto a sorprendere gli studenti con frasi del tipo: “Hai ripetuto lo stesso errore che avevi fatto il 18 febbraio, come mai? Eppure ti avevo corretto!”.  Ovviamente va bene anche un registro cartaceo.

Intanto svolgo le prove scritte, con voto, in modo tale che le famiglie possano avere un riscontro sull’andamento del ragazzo.   

Verso la fine del periodo di osservazione metto insieme tutte le annotazioni e le traduco in un voto che riporto nel registro elettronico con la seguente dicitura: “Valutazione sommativa basata su interventi spontanei o sollecitati, esercizi alla lavagna, lavori di gruppo, esposizione di argomenti”.  Di solito non ricevo lamentele da studenti insoddisfatti perché, grazie ai vari feedback ricevuti durante il periodo, sanno bene per esempio perché hanno 6 e non 7. 

Interrogazioni? Solo lo stretto necessario. Il patto che stabilisco con la classe prevede che gli studenti per cui il voto dovesse risultare negativo avranno la possibilità di “recuperare” con un’interrogazione che si svolgerà dopo circa due settimane. Ovviamente questi studenti avranno già avuto dei segnali in tal senso nel corso del periodo. 

Subito dopo ogni interrogazione inserisco il voto nel registro elettronico e, se è insufficiente, aggiungo alcune note per informare la famiglia sulle lacune e difficoltà emerse.

 

In sintesi

Riassumo i vantaggi di questa modalità:

  • Procede di pari passo con la normale attività fatta di lezioni perlopiù dialogate, lezioni di recupero e consolidamento o approfondimento e non impone interruzioni consentendo di portare a termine quanto previsto all’inizio dell’anno. 
  • In ogni lezione lo studente può essere chiamato a fare un esercizio, a rispondere ad una domanda o a esporre un breve argomento e ogni suo intervento concorrerà alla valutazione formativa. Ciò lo incentiva ad essere sempre attento e aggiornato sugli ultimi argomenti.
  • Lo studente nel corso del periodo riceve dall’insegnante vari feedback sulle sue prestazioni che nella migliore delle ipotesi saranno positivi, altrimenti serviranno a consigliarlo e motivarlo. 
  • Rispetto all’interrogazione (colloquio della durata di 20/25 minuti) l’osservazione sul lungo periodo consente una stima più veritiera, meno influenzata dai fisiologici alti e bassi che ogni studente attraversa nel corso dell’anno. 
  • Rende inutili tutti gli espedienti che usano gli studenti per non farsi interrogare, migliorando il rapporto docente-studenti e il clima con cui si svolgono le lezioni. 

Mentre scrivo, scopro che un’esperienza simile, molto più ampia e strutturata, si sta sperimentando da sette anni in una sezione del Liceo Morgagni di Roma e che anche altre scuole, come il Liceo Carducci di Milano, si stanno muovendo in questa direzione.

Queste esperienze sono nate con l’intento di ridurre lo stress degli studenti, tema molto dibattuto ultimamente. In effetti la mancanza di interrogazioni con voto non elimina lo stress, che ha una funzione positiva nella crescita psicofisica del ragazzo, però evita quei picchi malsani che portano alcuni studenti a un inconsapevole “autosabotaggio”  e in qualche caso al mutismo. Io sono partita con un’altra motivazione però posso confermare che, almeno nelle classi dove ho applicato questa metodologia, gli studenti sono più sereni, lavorano molto di più e vengono a scuola più volentieri.

Claudia Zampolini

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