Pin It

Tra mercoledì 9 e venerdì 11 ottobre 2024 si è tenuto a Roma il convegno nazionale “Problemi sulla valutazione”, organizzato dalla Fondazione “I Lincei per la Scuola”. Sono stati giorni molto caldi, in cui si sono confrontati tanti attori del processo di valutazione degli apprendimenti (non solo matematici): insegnanti di tutti i gradi scolastici, dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado, docenti universitari italiani e non, formatori, il presidente INVALSI, membri del Ministero, esperti in pedagogia e docimologia… hanno partecipato al convegno con le proprie esperienze e sensibilità, evidenziando potenzialità e criticità della valutazione nel (e del) sistema di istruzione. Nell’ultimo giorno del convegno si è tentato di tracciare una sintesi di tutti gli interventi precedenti, per provare a delineare alcune conclusioni e proposte. Giulia Signorini ha partecipato ai lavori del convegno e anche a quest’ultima sessione di sintesi e vi propone il suo punto di vista su quanto emerso in quei giorni. 

NOTA DI APERTURA: prima, durante o dopo la lettura di questo articolo vorrete andare alla pagina del convegno dove troverete il programma completo, i video di tutti gli interventi e le slides. Un materiale prezioso per approfondire una tematica cruciale per il nostro sistema scolastico.

Alcune riflessioni sulla valutazione in generale

Come ci ha ricordato Monica Ferrari, docente di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi di Pavia, valutare è un’operazione nel contempo ineludibile e soggettiva (sempre inserita all’interno di un orizzonte valoriale, talora espresso in maniera esplicita talora lasciato latente) che connota ogni momento della nostra esistenza. È dunque necessaria una consapevolezza culturale degli attori sociali della valutazione. Molti relatori hanno evidenziato come questa consapevolezza non possa prescindere da una chiara idea del perché, del cosa e del come valutiamo, una riflessione già centrale nella valutazione degli apprendimenti matematici (Villani, 1981). Una volta definiti gli obiettivi della valutazione (vogliamo valutare i progressi individuali del singolo studente? Il raggiungimento degli obiettivi minimi del sistema di istruzione? L’efficacia didattica delle azioni del docente?), l’oggetto della valutazione (le conoscenze? Le abilità? Le competenze? Ma cosa sono davvero le competenze? Liljedah, 2015) e gli strumenti della valutazione (verifiche formative o sommative? Orali o scritte? Con domande a risposta aperta o chiusa?), numerosi esperti hanno evidenziato come la finalità della valutazione dovrebbe essere quella di favorire l’assunzione di responsabilità dello studente, orientare la sua autovalutazione e concorrere al miglioramento. Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale presso l’Università Roma Tre, ha evidenziato come sia possibile rendere la valutazione davvero educativa solo condividendo il “potere valutativo” dell’insegnante con gli studenti mediante la costruzione condivisa dei criteri di valutazione e modificando la comunicazione della valutazione stessa: non più il voto come sintesi ordinale che classifica, ma un riscontro analitico-descrittivo ben strutturato che permetta allo studente di autovalutarsi e contenga concrete indicazioni per migliorare la specifica attività valutata, usando l’errore non come una penalizzazione ma come un’opportunità formativa.

Francesca Morselli, docente di Storia e Didattica della Matematica presso L’università degli Studi di Genova, ha ricordato che l’obiettivo della valutazione dovrebbe essere quella di rendere l’allievo padrone dei propri apprendimenti (Wiliam, 2010): una valutazione non dell’apprendimento, ma per l’apprendimento. Due insegnanti-ricercatrici, Sara Campana e Ketty Savioli, hanno illustrato interessantissime esperienze di autovalutazione e valutazione formativa nella scuola primaria, attuate mediante il passaggio dal giudizio sintetico al feedback descrittivo. A questo proposito, mi permetto di osservare come proprio la scelta degli obiettivi plasmi la forma stessa della valutazione: a obiettivi diversi dovrebbero corrispondere modalità di valutazione diverse (Pellegrino et al., 2001). È in questa cornice che si inserisce una riflessione su quello che Matteo Viale, docente di Linguistica italiana presso l’Università degli Studi di Bologna, ha definito “rapporto confuso con la valutazione standardizzata,” in particolare sull’utilizzo delle prove INVALSI (create per la valutazione del sistema di istruzione) per la determinazione del livello di competenze dei singoli studenti, come attualmente avviene nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado. È ovvio che per una valutazione di sistema, che coinvolge milioni di studenti e che richiede uno sforzo organizzativo ed economico notevole, si utilizzeranno per la maggior parte domande a risposta chiusa (anche se spesso con distrattori studiati con estrema cura dal team di insegnanti che sviluppa i quesiti), poiché queste garantiscono una correzione rapida e uniforme in tutta la nazione. Ma una prova di questo tipo può essere davvero efficace per tracciare il profilo di competenze di un singolo studente? Può valutare le complesse competenze richieste dalle Indicazioni Nazionali, come quelle di modellizzazione e argomentazione? Può tenere conto della situazione contingente del momento? Come ha osservato il collega Luca Rossi, può bastare una singola rilevazione per “misurare” una variabile multidimensionale come le competenze di un individuo? Non voglio criticare le prove, che tra l’altro costituiscono un ottimo repository di problemi didatticamente interessanti, ma soltanto osservare che rispondono a un obiettivo diverso da quello della valutazione del docente di classe. Utilizzare queste prove per un obiettivo diverso da quello per cui sono state create non rischia di incentivare uno spostamento dell’attenzione dai processi ai prodotti dell’apprendimento, con tutte le conseguenze negative che questo può comportare (Di Martino, 2017)?

Un “tuffo” nella realtà di una scuola secondaria di secondo grado

Se da un lato c’è dunque uno studio, in molti casi anche estremamente raffinato, su quali dovrebbero essere le caratteristiche di una valutazione che, da normativa, – come ci ha ricordato la DS Milena Piscozzo citando l’art.1, com ma 1, del D.Lgs n°62/2017 – ha “finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze”, dall’altro lato la realtà della scuola, specialmente nella scuola secondaria di secondo grado, è spesso molto diversa. In primo luogo, come ci ha ricordato il collega Davide Passaro, ci sono alcune caratteristiche strutturali che inevitabilmente diversificano l’insegnamento della matematica nella scuola secondaria di secondo grado da quello che avviene nei gradi scolari precedenti (ad esempio la scuola primaria): la divisione in indirizzi, il diverso monte orario dedicato alla disciplina a seconda dell’indirizzo scelto (in alcuni casi anche solo due ore a settimana!), gli orari rigidi che raramente permettono compresenze, le classi numerose, gli studenti in piena fase adolescenziale, ciascuno con una sua storia scolastica ormai consolidata alle spalle. Tralasciando poi per un attimo i problemi più trasversali legati al precariato, alla retribuzione (inferiore alla media OCSE), all’edilizia scolastica (che, come ha illustrato Giovanna Messina, economista in servizio presso il Dipartimento di economia e statistica della Banca d’Italia, è fortemente correlata con il successo formativo), quello che rimane è il preziosissimo binomio studente-docente. Ecco, da una parte l’allievo apre l’app del registro elettronico sul suo cellulare e spesso quello che vede è un cerchietto con un valore numerico: la media su tutti i voti di tutte le discipline, di colore verde o rosso a seconda che sia rispettivamente maggiore o minore di 6. Ora, mi chiedo: questa pratica che riduce la valutazione di un intero percorso formativo a un ordinamento su una scala unidimesionale, che senso può avere? Come può una pratica di questo tipo ridimensionare l’importanza che gli studenti danno al solo voto numerico, che spesso è causa di stress e ansia da prestazione in alunni e famiglie? Come può la valutazione comunicata mediante registro elettronico rendere lo studente responsabile e protagonista del proprio apprendimento? (quando, spesso, i genitori leggono i voti prima dei loro stessi figli?) E, soprattutto, quanta fatica dovrò fare io docente per convincere i miei ragazzi che loro non sono quel numero verde o rosso? Che quel numero indica solo una misurazione, inevitabilmente soggettiva, di una situazione contingente in continuo mutamento e non un giudizio su di lei/lui come persona?

Sul versante del docente, invece, troviamo spesso il professore di matematica, a volte precario, spesso solo, alle prese con test d’ingresso, prove comuni in cui dimostrare di non essere “indietro” rispetto – se non al programma (che, per fortuna, non esiste più) – alla programmazione comune degli altri colleghi, libri di testo che forzano i contenuti della didattica, lo spauracchio della seconda prova scritta all’Esame di Stato e, in molti casi, infinite crocette da mettere su altrettante griglie di valutazione (tutte debitamente inserite nel PTOF della scuola), riempite da mille indicatori e altrettanti descrittori al fine di giustificare quello che inevitabilmente sarà di nuovo un bel voto numerico in una scala da 1 a 10. Questo tipo di griglie non costituiscono un feedback descrittivo nel senso visto sopra, non orientano nessuna attività di miglioramento (si limitano a sancire una situazione di fatto), non assicurano l’uniformità e non forniscono nessuna garanzia di condivisione di quel potere valutativo di cui parlava Corsini… e alla fine, il nostro povero professore, anche il più motivato, che cosa farà? In molti casi elaborerà la propria valutazione alla luce dei suoi personali criteri (e con personali non intendo arbitrari), e poi sceglierà gli indicatori in modo da “far tornare” il voto sulla griglia a posteriori. E perché lo farà? Per cercare di sopravvivere alla mole di burocrazia che cresce sempre di più e, non si può tacerlo, per cercare di evitare i tanto temuti ricorsi che spaventano buona parte dei Dirigenti Scolastici.

Conclusioni

Appare quindi evidente come ci sia una specie di “scollamento” tra la teoria delle recenti ricerche in didattica e docimologia e la pratica concreta della scuola quotidiana, e anche Alberto Tesei, Presidente della Fondazione “I Lincei per la Scuola”, se ne è chiesto il motivo. La mia personale opinione, in sé insignificante ma suffragata dal confronto e dallo scambio di idee con tanti colleghi docenti nel corso di questi giorni, è che la causa fondamentale sia da ricercarsi nella mancanza di formazione. Non mi riferisco alla mancanza di preparazione disciplinare, che spesso è altissima, né voglio certo “accusare” i docenti che spesso si affidano alla propria iniziativa personale per cercare di fare formazione continua nonostante i mille ostacoli che abbiamo citato. Quello che servirebbe, forse, è una visione chiara e a lungo termine (che non cambi ogni pochi mesi, a volte in corso d’opera), che sia concreta e coerente e che abbia come caratteristica strutturale la formazione iniziale e in servizio dei docenti. Una formazione che non dev’essere più episodica, lasciata all’iniziativa di singoli docenti volenterosi, ma dovrebbe diventare di sistema (e retribuita), con lo scopo di condividere con il corpo docente le caratteristiche della didattica e della valutazione che si ritengono desiderabili e, magari, creare anche quella comunità di pratiche di cui molti (tra cui sicuramente chi scrive) sentirebbero tanto il bisogno.

Giulia Signorini

Guarda e scarica tutte le slides di sintesi di Giulia Signorini

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Download [1.53 MB]

Immagine di copertina: tratta dalle slides di Cristiano Corsini

 

Pin It
This website uses the awesome plugin.