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Sabato scorso si è tenuto a Bologna l’annuale Workshop di Scienza al femminile, sponsorizzato dal Piano Lauree Scientifiche. Gli interventi, molto apprezzati dal pubblico che assisteva in presenza e in remoto e comprendeva numerosi ragazzi e ragazze dei licei scientifici bolognesi, hanno affrontato il problema del gender gap sotto varie prospettive. Ce lo racconta  Chiara de Fabritiis (coordinatrice del comitato pari opportunità dell’UMI).

Gli ingredienti per una bella mattinata autunnale di scienze non sono molti, ma per una riuscita ottimale della preparazione devono essere tutti di prima qualità; se questo requisito è soddisfatto, si può essere sicuri di una riuscita impeccabile che solleticherà l’interesse e l’attenzione di tutti i presenti.

Prendete quindi un tema di attualità ma non scontato, come la scienza al femminile, farcitelo di relatori e relatrici briosi e competenti, unite un pubblico interessato composto di studentesse e studenti dei licei scientifici bolognesi, guarnendo infine con un gruppo di organizzatrici efficienti e appassionate e otterrete un gustoso evento della serie PLS (piano lauree scientifiche) con obbiettivo la parità di genere.

Questo è quello che è accaduto sabato nel complesso Berti-Pichat dell’Università di Bologna, dove, nel workshop annuale “Scienza al Femminile”,  tante persone si sono incontrate, sia in presenza che in remoto, per fare il punto sulla situazione odierna, scegliendo di non celebrare scienziate del passato, ma portando le storie di giovani donne che lavorano fuori e dentro l’accademia.

Ha aperto i lavori la professoressa Chiara Elefante, prorettrice alle risorse umane di Unibo, che ha evidenziato che in eventi come questo l’università cerchi nuovi spunti dalle giovani generazioni per aumentare la consapevolezza diffusa e la sensibilizzazione sulle pari opportunità e portare a ogni micro-universo sociale il messaggio dell’importanza del bilanciamento di genere. 

Intervento della Prof.ssa Chiara Elefante. I dati dicono che i risultati delle studentesse sono migliori di quelli degli studenti, ma in ambito lavorativo il gap salariale 1,3 o 5 anni dopo la laurea è crescente. C’è quindi bisogno di lavorare con studenti e studentesse, ma soprattutto con le scuole, con la società in generale. Gli stereotipi sono infatti barriere che ostacolano, una trappola che semplifica e appiattisce la complessità. È allora dovere dell’ateneo incentivare una scelta libera e consapevole, cercare di abbattere i condizionamenti sociali, evitare una mancata valorizzazione dei talenti perché passione e trasporto per gli studi non devono essere soffocati. Ci sono stati passi avanti, sia per studentesse e docenti in ambito STEM, ma c’è ancora molto da fare. La speranza è che il perseguimento di questi valori sia condiviso perché si avverte il bisogno di molti ragazzi e uomini che condividano queste iniziative.

La parola è poi passata a Roberto Ricci, presidente INVALSI da poche settimane, statistico di formazione bolognese. Ricci ha motivato con grande ricchezza di dati che una società dove c’è equilibrio di genere, oltre che essere eticamente più giusta, è inoltre una società che funziona meglio, anche a livello economico e di sviluppo. 

Intervento del dottor Roberto Ricci. I fenomeni nascosti, latenti, che vengono rivelati dai dati sono differenze che rimangono sotto il pelo dell’acqua e sono sempre a scapito delle categorie meno avvantaggiate. Le disuguaglianze cominciano prestissimo, fin dalla scuola primaria, il che ci deve far pensare a come modificare il nostro atteggiamento nei confronti di bambini e bambine: già dalla elementari, infatti, le scolare iniziano ad avere risultati meno buoni dei loro compagni di classe, fenomeno per il quale non c’è una radice oggettiva, ma una chiara motivazione sociologica. Partendo dalla fine della storia, i dati attuali ci dicono che nel 2021, 1 diplomato su 10 ha terminato la secondaria di secondo grado con competenze di base di italiano, inglese, matematica fortemente inadeguate. È il fardello peggiore che la società mette sulle spalle della giovane generazione, perché si tratta di una forma diversa di debito verso il futuro. Aggiungendo coloro che hanno abbandonato la scuola prima del diploma, si stima che il 23% è in una situazione di forte difficoltà scolastica (esplicita o implicita) e questo fatto ha una correlazione fortissima con un contesto sociale di provenienza disagiato.  In particolare le differenze di genere in Italia sono più forti che altrove e sono anche presenti nelle scienze della natura e della terra, mentre in altri paesi si verificano principalmente in matematica. I dati evidenziano una scarsità di eccellenze in materie STEM per le ragazze, il che causa una ridotta partecipazione alla carriera universitaria nelle discipline scientifiche. La distribuzione dei risultati dell’INVALSI per matematica alla fine delle superiori rileva un notevole peggioramento rispetto agli anni precedenti la pandemia in ambo i sessi, ma nelle ragazze tale peggioramento è molto maggiore; in particolare ll 30% delle ragazze si è diplomato nel 2021 con livello 1 in matematica, cioè con le competenze delle scuole medie.  In conclusione del suo intervento, Ricci si è detto convinto che bisogna forzare la situazione perché la legge del mercato è in realtà la legge del più forte e quindi dei maschi; il sistema converge alla convenienza di breve periodo, non a quella di lungo periodo.

L’ultimo intervento prima della pausa è stato appannaggio di Roberta Fulci, laureata in matematica a Roma, dottorato a Bologna e che è nota a un vasto pubblico come autrice e voce di Radio3 Scienza. Anche lei, essendo una matematica di formazione, ha voluto partire dai numeri, in particolare dal dato UNESCO che stima le donne nelle scienze al  28% su scala globale, mentre in Italia arriviamo al 36%. 

Intervento della Dott.ssa  Roberta Fulci.  Fulci ha condotto il pubblico lungo il percorso del suo contributo facendosi guidare da 3 domande. La prima è perché le scienziate siano molte meno. Ha quindi raccontato la storia di tre di esse: Maria Sibylla Merian, naturalista ed entomologa tedesca vissuta nel Seicento, Vera Rubin, fisica ed esperta in materia oscura statunitense e Maryam Mirzakhani, di cui su Maddmaths! non è necessario dire niente. Tutte e tre hanno trovato difficoltà a proseguire nella loro professione in quanto donne: Merian perché non apparteneva a una corporazione e quindi non poteva accedere ai colori ad olio necessari per le illustrazioni con cui descriveva la vita degli insetti e perché priva della conoscenza del latino che all’epoca era la lingua della scienza, ma che non veniva insegnato alle donne, Rubin perché per anni le venne negato l’accesso all’osservatorio astronomico del monte Palomar perché donna in quanto la struttura era priva di bagni per le donne, Mirzakhani infine rischiò di non poter partecipare alle Olimpiadi della Matematica perché l’Iran prevedeva che solo i maschi potessero partecipare alle competizioni. L’assenza delle donne è dovuta a un retaggio storico-culturale, ma anche a una sottorappresentazione nella società: in Italia gli esperti consultati in ambito scientifico dalla televisione sono 81% maschi e 19% femmine; poiché le scienziate sono il 36% del totale, questo significa che vengono rappresentate come se fossero la metà di quante sono! La seconda domanda che si è posta Fulci è se la mancanza di donne scienziate sia un problema e se sì, perchè? La risposta è ovviamente affermativa per tre motivi: il primo è l’infelicità individuale delle donne che si vedono negata una carriera scientifica a cui sarebbero portate a causa di condizionamenti culturali, il secondo è la perdita della comunità scientifica e della società in generale, il terzo è il danno che una collettività di scienziati priva di variabilità provoca all’esercizio della scienza stessa: se nessuna donna fa la scienziata, non possiamo avere alcuni punti di vista femminili. L’ultima domanda è che cosa possiamo fare. Chiaramente il retaggio culturale e storico è ineliminabile, ma si possono raccontare le storie delle scienziate e valorizzarle, portare le loro vite ai bambini  e bambine, ragazzi e ragazze; è importante infatti fornire al loro immaginario personaggi che aiutino ad acquisire l’informazione che le donne possono essere scienziate. È necessario accelerare il processo e stringere i tempi: ci sono tante organizzazioni che sono già al lavoro e a cui possiamo ispirarci: da Homeward bound a girls who code, passando per vitadascienziata e le EGMO, solo per citarne alcune.

Dopo la pausa, ha parlato Ilenia Piccardi, studi in fisica fino al conseguimento del dottorato, transitata poi alla sociologia e autrice de “I labirinti di cristallo”, in cui si sottolinea come le donne non debbano soltanto abbattere il soffitto di cristallo, che simboleggia le difficoltà di avanzamento di carriera, ma anche la porta di cristallo, che rappresenta le difficoltà ad entrare nel modo accademico. L’equità di genere nella scienza è infatti per la Commissione europea una delle priorità delle politiche per ricerca e innovazione e l’Unione favorisce progetti per spiegare i fenomeni di segregazione e ridurla. 

Intervento della dott.ssa Ilenia Picardi. Picardi ha presentato al pubblico le due forme di segregazione presenti nelle carriere: quella orizzontale, legata alla scelta degli studi, che vede i laureati triennali divisi al 57% di femmine e 43% di maschi, mentre le donne scelgono le discipline scientifiche solo nel 21% dei casi, al contrario dei maschi che lo fanno nel 47%. La segregazione verticale è ben evidenziata dal famoso diagramma a forbice, dove quote iniziali di uomini e donne vanno a divaricarsi con un netto predominio maschile al crescere della rilevanza della posizione lavorativa assunta. In conclusione, l’oratrice si è chiesta se essere scienziate oggi sia davvero una missione impossibile. Utilizzando i risultati di un sondaggio sul pubblico dei/delle partecipanti ha rilevato che nel campione (assolutamente non rappresentativo perché si tratta di ragazzi e ragazze che frequentano il liceo scientifico a Bologna e sono seguiti da  docenti molto motivati) le ragazze hanno maggior propensione per le materie scientifiche rispetto ai ragazzi e la bassa presenza di stereotipi di genere nel campione.

La giornata è terminata con le testimonianze di Chiara Amadori, geologa, Elisa Frontani, chimica industriale, e Laila Mainò, matematica. Amadori ha raccontato con ricchezza di numeri e grande coinvolgimento, il lavoro di chi si occupa delle geoscienze. Si tratta di discipline in cui è presente un notevole differenza fra dottorato, in cui il gender gap è praticamente assente, e l’apice della carriera accademica, in cui invece lo squilibrio è molto accentuato; è questa problematica quella  su cui possiamo e dobbiamo incidere. A tale scopo la Società Geologica Italiana si è dotata di una Divisione Diversità, Equità, Inclusione chiamata PanGEA che ha come obbiettivo quello di agire in tutti i rami delle geoscienze, Sono già state attuate iniziative per migliorare la comunicazione in ambito universitario, scolastico e nella libera professione, fra cui un Workshop dedicato alle tematiche del gender gap, alcune attività per la giornata internazionale delle donne e ragazze nelle scienze, che si celebra l’11 febbraio di ogni anno e l’istituzione di una rete di mentoring.

Frontoni, che lavora in Ducati, ha raccontato la sua esperienza di donna che lavora in un ufficio tecnico di un’azienda metalmeccanica. Il suo percorso inizia con il liceo scientifico, dove le piacciono tutte le materie scientifiche; dopo il diploma, sceglie chimica industriale per rivolgersi all’industria fin dall’inizio del percorso di studi universitari. Svolge la tesi presso un’azienda esterna, a Milano in SNAM progetti, 6 mesi che sono di crescita personale e non solo accademica. La proposta del suo relatore di svolgere  un Master in metallurgia la spiazza, ma accetta volentieri; alla conclusione del master viene contattata da Ferrari, dove fa prima uno stage  in fonderia e poi viene assunta nel laboratorio materiali. Dopo aver lavorato 12 anni ed essere diventata referente di un reparto, ha un’opportunità di tornare a Bologna, in Ducati dove le propongono un mestiere diverso: tecnologa, esperta di processi produttivi, di impianti. Adesso lavora in Ducati da 9 anni, chimica in un ufficio di 100 ingegneri, in grande maggioranza uomini. Quello che le ha permesso di fare questo importante cammino lavorativo è stato il fatto di aver cercato di cogliere le opportunità che le si presentavano e di sfruttarle al massimo, gli studi scientifici danno infatti un modo di affrontare i problemi e una forma mentis che permette di capire le cose e, ragionando, trovare le possibili soluzioni.

L’ultima a parlare è stata Laila Mainò, laurea a Bologna, PhD ad Harvard con Joe Harris. Mainò ha cominciato ricordando a ragazze e ragazzi che devono avere la possibilità e il diritto di cambiare idea; lei ha iniziato a studiare matematica perché era una disciplina che le dava sicurezza, di cui le piacevano la  pulizia, la linearità, la semplicità, la bellezza. Ha avuto la fortuna di trovare una persona competente e appassionata, che si è presa cura del suo percorso di studi; un mentore infatti è chi ti porta a superare i tuoi limiti. Spinta a fare domanda all’estero, consiglia a tutto il pubblico giovane di fare un’esperienza fuori casa, anche se confessa che per i primi 6 mesi ha tenuto la valigia pronta per tornare a casa sotto il letto, guardandola tutti i giorni. La parte umana di questa esperienza è stata importantissima, stare a 6mila km di distanza da casa in una società multiculturale,  cambia la prospettiva. Dopo un anno di insegnamento a University of Michigan ha preferito non continuare con la ricerca e l’insegnamento e ha cominciato a occuparsi di consulenza nell’abbigliamento, nel tessile, nella grande distribuzione. Il  problem solving. che viene insegnato nelle facoltà scientifiche e a matematica in particolare, infatti, è stato un passepartout impagabile: i dati devono venire tradotti in informazioni, perché altrimenti sono solo una massa informe. Questo passaggio però non era per lei sufficiente ed è entrata in Fendi, dove ha iniziato a lavorare sui numeri: raccolta, interpretazione, diffusione su scala mondiale. Del resto una nota definizione del lusso è “blend of magic and logic” e sulla logica Mainò pensava di poter dare un valido contributo. Anche altri hanno pensato così, perché si è spostata poi a Parigi a lavorare in Yves Saint Laurent e adesso è in Bottega Veneta. Il messaggio che vuole lasciare in chiusura è importante per tutti e tutte: le materie scientifiche danno una grandissima libertà di scegliere il proprio percorso futuro. E ricordatevi, ha concluso, che se non vedete donne in una posizione, dovete pensare: è arrivato il momento di vedere una donna lì, e potrei essere io…

Chiara de Fabritiis

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