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Il 29 maggio 2025 sono stati presentati alla Camera i risultati dell’indagine condotta da Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca e intitolata: “Divari di apprendimento in Italia. Un’indagine sulle differenze di apprendimento nei territori e tra le scuole”. Francesca Ferrara, del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, commenta questa indagine nella prospettiva della didattica della matematica. 

All’indomani della presentazione, diverse testate giornalistiche hanno manifestato in modo più o meno dirompente preoccupazione circa l’entità delle differenze. Ne riporto alcune a titolo di esempio: “Sud bocciato in matematica. Il Nord è due anni avanti” (la Repubblica), “Matematica, gli studenti del Sud in ritardo di 2 anni rispetto al Nord” (Corriere della Sera), “Scuola a due velocità” (La Stampa), “Negli apprendimenti divari tra scuole e non solo tra territori” (Il Sole 24 ORE). Le prime due testate fanno esplicito riferimento alla matematica, le altre due alla situazione più generale. Cerchiamo di capirne di più.

L’indagine delle Fondazioni Agnelli e Rocca si sofferma su un tema (quello dei divari) che, soprattutto a seguito della pandemia, ha assunto nuova forza in relazione alle agende e azioni politiche volte al contrasto della povertà educativa e delle differenze di apprendimento. Questo non solo nel nostro Paese ma in generale in tutto il mondo, tanto che l’obiettivo di sviluppo sostenibile 4 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (Istruzione di qualità) mira a garantire un’istruzione equa e inclusiva e a promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti.

In termini di disuguaglianze, l’ultima prova PISA sulla matematica (2022) ha messo in luce la sostanziale stabilità dei risultati italiani: l’Italia, infatti, ottiene un punteggio medio sotto la media dei punteggi nei Paesi OCSE; è in generale in buona compagnia con il sud del mondo e con la parte meno trainante dello sviluppo nelle nazioni OCSE. Del resto, negli ultimi 20 anni le variabili di contesto non sono granché migliorate: la società si è impoverita e le differenze si presentano oggi più marcate. Ma la continua evoluzione e dinamicità di culture e società porta anche a risultati significativi: tra i quindicenni italiani, ad esempio, gli studenti con e senza retroterra migratorio paiono somigliarsi sempre più, nonostante la lingua madre dei primi non sia l’italiano. Anche tra gli stranieri insomma c’è una percentuale significativa di ragazzi e ragazze che raggiunge livelli alti di competenza.

Il discorso sui divari territoriali o di contesto (ad esempio, scolastico) acquista una sua valenza, dal momento che proprio i territori, con le loro risorse e le loro potenzialità, offrono (im)possibilità e opportunità di crescita, di apprendimento, di orientamento in misura e forma variabili.

L’indagine di Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca si avvale delle informazioni provenienti dalla rilevazione PISA 2022 e dei dati INVALSI 2022/23 per approfondire il fenomeno delle differenze di apprendimento in Italia nella scuola secondaria di II grado, in particolare al grado 10, ovvero al secondo anno[1 ]Le considerazioni in questo contributo si basano esclusivamente sulla lettura dei documenti rilasciati da Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca (comunicato stampa e documento di sintesi presentato alla Camera dei Deputati), dai quali non sono stati resi accessibili i dati utilizzati nell’indagine. . La scelta è dettata non solo dal fatto che il grado 10 segna il termine dell’obbligo scolastico ma anche dal fatto che i divari si presentano già precocemente alla scuola primaria[2 ]Un recentissimo articolo pubblicato su Nature situa divari di apprendimento in matematica significativi già al primo anno della scuola primaria (https://www.nature.com/articles/s41586-025-09126-4). Ne abbiamo parlato anche qui. e si amplificano con il progredire del percorso scolastico, che una volta giunto alla scuola secondaria di II grado si declina nei vari indirizzi: liceali, tecnici, professionali. I divari, dunque, si presentano come una criticità del nostro sistema di istruzione, che va però affrontata nella sua completezza e complessità.

Una delle questioni centrali dello studio è la dipendenza dei risultati di apprendimento non solo dalle caratteristiche individuali di studenti e studentesse e di status socio-economico-culturale della famiglia di provenienza ma anche dal contesto territoriale. Il fenomeno delle disuguaglianze territoriali è noto al dibattito: sin dall’esordio delle rilevazioni nazionali nel 2009, le analisi dei dati INVALSI hanno messo in luce una differenza di prestazioni tra le cinque macro-aree geografiche in cui l’Italia è suddivisa: Nord Est, Nord Ovest, Centro, Sud, Sud e Isole. Analogamente, ci sono differenze tra le regioni. In particolare, considerando i risultati della prova nazionale di matematica del grado 10 del 2023 (la stessa presa in considerazione dalle Fondazioni Agnelli e Rocca), ritroviamo che la macro-area con i risultati migliori in matematica è il Nord Est (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto) e la macro-area con i risultati peggiori è il Sud e Isole, che comprende Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. La differenza di punteggio tra le due macro-aree è pari a 24 punti (207–183). Questa l’informazione utilizzata nell’indagine sui divari per sostenere che “È come se in matematica gli studenti del Sud e Isole avessero fatto oltre 2 anni di scuola in meno” (cfr. documento di sintesi: ‘Divari-sintesi-finale-290525’), da cui derivano poi le prime due testate giornalistiche dette sopra.

Un’informazione questa non del tutto trasparente e attendibile, almeno in relazione all’apprendimento della matematica. Il rapporto nazionale stilato da INVALSI fornisce, una duplice informazione sulla matematica[3 ]L’informazione varia se si tratta dell’apprendimento dell’italiano o di quello della matematica; perciò, non si tratta di un dato assoluto ma relativo alla disciplina di riferimento.: 6,4 punti sono “stimabili in quanto si apprende in circa metà anno scolastico” (cfr. ‘Rapporto Prove INVALSI 2023’[4 ]Il rapporto delle prove INVALSI 2022/2023 è scaricabile dal sito di INVALSI, al seguente indirizzo: https://invalsi-areaprove.cineca.it/index.php?get=static&pag=materiale_approfondimento., p. 72) e “una differenza significativa negli esiti tra i diversi territori, a netto vantaggio del Settentrione (Nord Ovest +9,4 punti e Nord Est +12,5 punti) rispetto al Centro e soprattutto al Mezzogiorno (-6,6 punti per il Sud e -12,6 punti per il Sud e Isole). Quindi, la distanza complessiva stimata in termini di risultati medi tra gli studenti del Nord Est e quelli del Sud e Isole è di 25,1 punti, pari all’apprendimento presunto di circa due anni di scuola.” (ibid., p. 73).

Al di là dell’incongruenza tra i due dati numerici (24 e 25,1, spiegabile immaginando che i numeri siano stati approssimati sempre per difetto), potremmo quindi assimilare 13 punti a un anno di scuola e interpretare 24 punti tutt’al più come circa 2 anni scolastici, non come più di 2 anni (risultato già meno allarmistico di quello apparso sui giornali).

È in ogni caso doveroso ponderare maggiormente i numeri di cui le testate giornalistiche sembrano abusare. In nessun documento rilasciato ufficialmente dal sistema nazionale di valutazione è fatto esplicito riferimento alla modalità con cui un certo numero di punti è quantificato in anni scolastici, o in tempo di apprendimento. Una persona esperta o anche solo curiosa di matematica potrebbe infatti domandarsi di quali strumenti faccia uso tale quantificazione. Per la stima si utilizza la media o la mediana dei risultati? O ancora: su quali evidenze empiriche è basata? Senza esplicitazione o spiegazione alcuna del metodo, determinate affermazioni sono quantomeno inopportune dal punto di vista scientifico.

Nei quotidiani troviamo anche altre affermazioni imprecise, come questa: “alla fine del secondo anno delle superiori un ragazzino di Taranto è talmente indietro in matematica che è come se fosse andato a scuola due anni in meno di un suo coetaneo di Treviso” (cfr. articolo del Corriere della Sera). Taranto, infatti, è una città della Puglia, che è parte della macro-area Sud, dove il punteggio medio (188) differisce di 19 punti da quello del Nord Est, il che induce eventualmente a una stima di circa un anno e mezzo di scuola in meno. Ma è necessaria una riflessione aggiuntiva, onde evitare di assolutizzare l’informazione e deplorare interi territori o intere popolazioni, diffondendo facili luoghi comuni. Poiché il punteggio di una macro-area è un punteggio medio, potenzialmente il punteggio ottenuto dal ragazzino trevigiano potrebbe essere molto più “vicino” di quanto stiamo dicendo a quello del ragazzino tarantino, o potenzialmente persino più “distante”. Non tutti i ragazzi e le ragazze di Taranto insomma mostrano le stesse prestazioni in matematica, così come non le mostrano neppure tutti i quindicenni e le quindicenni di Treviso.

Sarebbe interessante, inoltre, incrociare l’informazione suddetta con quella relativa al livello di competenza raggiunto nella prova nazionale. Mediamente, nel 2023 il 55% delle studentesse e degli studenti italiani del grado 10 ha raggiunto almeno il livello 3 in matematica (soglia minima di una competenza di base)[5 ] Sulla scala di competenza costruita da INVALSI, il livello 3 rappresenta un esito della prova adeguato ai traguardi di apprendimento previsti dalle Indicazioni nazionali per il grado scolastico considerato. Complessivamente, comunque, tra il 2019 e il 2023 il risultato medio nazionale in matematica ha subito un calo, che rileva il fatto che, con la caduta degli apprendimenti osservata dopo il periodo pandemico (occupato da lockdown e didattica a distanza), risulta ancora difficile tornare ai livelli pre-pandemia. Nel 2019, infatti, la percentuale di studenti che raggiungevano il livello 3 in matematica si attestava a 62%.. In questo 55% rientrano dunque tutti coloro che raggiungono il livello 3 oppure un livello superiore (4 o 5). La percentuale varia tra un valore minimo, 38% di studenti dell’area Sud e Isole, e un valore massimo, 67% di studenti del Nord Est. Ma il dato più interessante è che, nel 2023, i risultati in matematica sono cresciuti leggermente rispetto a quelli del 2022, limitatamente alle macro-aree Centro, Sud e Sud e Isole. Tutte queste informazioni si possono ottenere dal grafico in FIgura 1 (ripreso dal rapporto nazionale del 2023, p. 70) della percentuale di studenti che hanno raggiunto almeno il livello 3 di competenza in matematica, in Italia e per macro-area geografica tra il 2018 e il 2023.

Figura1: Percentuale di studenti che hanno raggiunto almeno il livello 3 di competenza in matematica, in Italia e per macro-area geografica tra il 2018 e il 2023.

Dunque, quei territori, così bistrattati da alcune testate, appaiono in realtà ‘risalire la china’, nonostante i disagi socio-economici-culturali che vivono. Tra l’altro, il rapporto INVALSI più recente, relativo ai risultati del 2024, conferma che il 55% di studenti e studentesse italiani raggiungono almeno il livello 3 (risultato complessivamente stabile dal 2022) e un nuovo miglioramento per le macro-aree Sud e Sud e Isole. E, se il Nord Est appare più o meno stabile tra il 2022 e il 2024, il Nord Ovest invece appare in calo (con la percentuale diminuita da 67% a 64%).

L’indagine di Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca si sofferma anche sul contesto territoriale delle regioni e sul fatto che le differenze di apprendimento sono riprodotte e amplificate “dagli indirizzi di studio” (cfr. il documento di sintesi, p. 8)[6 ]In generale, i titoli (e gli articoli) dei quotidiani si concentrano meno su questo aspetto, se non per delineare la maggior difficoltà degli Istituti professionali rispetto a quelli liceali, mostrando ancora una volta la tendenza a una generalizzazione eccessiva, che sottolinea la debolezza di un’intera tipologia di scuola, senza prestare attenzione al fatto che i dati non permettono tale operazione, poiché riferiti sempre a punteggi medi, né sul comportamento degli indirizzi liceali né sul comportamento degli altri indirizzi, siano essi professionali o tecnici. . In particolare, queste si manifestano tra le scuole e dentro le scuole (ossia tra classi di uno stesso istituto). Anche i divari tra indirizzi di studio sono un fenomeno noto, ma è innanzitutto opportuno evidenziare che l’andamento tra i diversi indirizzi è il medesimo per tutte le macroaree (seppur cambino i punteggi medi): chi frequenta il liceo scientifico, classico o linguistico, in media, ottiene risultati più alti rispetto a chi frequenta un altro liceo (delle scienze umane o artistico) o un istituto tecnico (qui la differenza è in genere minima) e ancora più alti rispetto a chi frequenta un professionale, indipendentemente da dove va a scuola. Negli articoli di giornale si parla nello specifico di una differenza massima di 33 punti. Il Sole 24 ORE sottolinea, per esempio, che in matematica, “fra il punteggio medio aggregato di tutti gli indirizzi di studio del Nord-Est e quello totalizzato dall’indirizzo professionale nella stessa macroarea ballano 33 punti: un’enormità, che equivale a più di tre anni di scuola”. La Stampa scrive, riferendosi ancora all’apprendimento della matematica: “un alunno di un istituto professionale a quindici anni è indietro addirittura di più di tre anni rispetto alla media dei risultati dei suoi coetanei” del liceo scientifico. Se il rapporto nazionale parla di “oltre due anni di scuola” (in linea con i dati già sintetizzati; p. 72) in entrambi i quotidiani si parla di “più di tre anni di scuola” senza fornire giustificazione a tale conclusione (e il numero è discordante rispetto al dato del rapporto nazionale). Ancora una volta, ricordiamo che i dati si basano su risultati medi che non escludono di per sé eterogeneità tra indirizzi, ossia che possano esserci degli studenti del liceo scientifico o di altro indirizzo liceale che ottengono risultati peggiori di loro coetanei o coetanee dell’indirizzo professionale, oppure dell’indirizzo tecnico. Ad esempio, gli studenti degli Istituti tecnici sembrano ottenere prestazioni migliori rispetto a quelli dei licei non scientifici in tutte le macro-aree escluso il Nord Ovest, dove la differenza è però di 1 solo punto percentuale.

Una considerazione ulteriore riguarda l’ultimo livello di studio delle Fondazioni Agnelli e Rocca, quello relativo alla differenza (in valori percentuali) tra le scuole di ogni indirizzo e tra le classi all’interno di ciascuna scuola. Qui sono prima esaminate le differenze tra Istituti scolastici diversi ma appartenenti allo stesso indirizzo, poi quelle tra le classi di ciascun Istituto, e tali differenze sono confrontate con quelle riscontrate per l’indirizzo scientifico. In entrambi i casi, la percentuale è misurata sulla base dei punteggi medi ottenuti in matematica (e, analogamente, in italiano). Un dato che non dovrebbe sorprendere è che la differenza tra le scuole e quella tra le classi è sempre più alta nel caso degli istituti professionali e più bassa nel caso dei licei scientifici. Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca provano a spiegare questa tendenza e le differenze tra e dentro le scuole ipotizzando che esse abbiano a che fare con il modello organizzativo e didattico di ciascuna scuola, cioè con le azioni profuse dalla comunità scolastica, dalla dirigenza e dal corpo docente. Aspetto questo che chiama in causa l’autonomia con la quale le scuole possono decidere in merito alla propria impostazione culturale, alla propria organizzazione interna, alla progettazione didattica e all’arricchimento dell’offerta formativa. Dall’analisi dei questionari di PISA 2022 e dallo studio qualitativo di cinque istituti scolastici di diverse regioni italiane (scelti–se capiamo bene–sulla base dei risultati nettamente superiori a quelli attesi in base a contesto territoriale, indirizzo di studio, status socio-economico e culturale), emerge che l’offerta di attività extra-curriculari da parte delle scuole influisce positivamente in modo significativo sui risultati in matematica (e in italiano) e che altre variabili sembrano avere un peso, ad esempio: modelli organizzativi orientati a logiche cooperative, gestioni dinamiche e proattive delle risorse sia finanziarie sia materiali, gestioni collegiali della didattica e dei curriculi con azioni condivise volte all’inclusione e alla personalizzazione degli apprendimenti. Le Fondazioni Agnelli e Rocca propongono come possibile soluzione (a carattere essenzialmente politico) per le scuole l’idea di “un’autonomia accompagnata”, che consenta uno sguardo e uno sviluppo differenziati, non generalizzati.

Lo studio discute il capitale sociale e le risorse (organizzazione e gestione) degli istituti scolastici ma tralascia un aspetto ugualmente rilevante per il processo educativo nel suo complesso, ovvero il capitale fisico, o la dotazione di infrastrutture scolastiche. La correlazione tra questa e gli esiti di apprendimento (in italiano e in matematica) nei vari cicli d’istruzione è oggetto di un’indagine della Banca d’Italia del 2024 intitolata: “Per chi suona la campan(ell)a? La dotazione di infrastrutture scolastiche in Italia[7 ]L’indagine della Banca d’Italia utilizza per gli esiti di apprendimento le rilevazioni INVALSI datate 2022. . L’indagine integra l’offerta di infrastrutture su un territorio con la domanda di servizi scolastici in quel territorio per valutarne la disponibilità, l’adeguatezza e la correlazione con variabili rappresentative degli apprendimenti, quali le competenze acquisite e la continuità del percorso scolastico.

L’offerta infrastrutturale è analizzata con particolare riferimento alla morfologia degli edifici scolastici (es. la superficie complessiva a disposizione di ciascuno studente), agli equipaggiamenti (es. la presenza di mense e palestre) e alla collocazione della scuola nel contesto urbano (es. la sicurezza nell’accesso e il collegamento con i trasporti locali). Otteniamo una nuova prospettiva di studio dei divari di apprendimento in Italia, in particolare quelli territoriali: le caratteristiche fisiche delle aule e delle scuole concorrono alla qualità dei processi educativi e alla acquisizione di competenze, hanno cioè un impatto sui percorsi di apprendimento, incidendo anche su eventuali fenomeni di abbandono o dispersione. Così, la presenza di una palestra è un elemento utile a massimizzare il tempo di permanenza a scuola e un veicolo di integrazione della scuola con la comunità. E in Abruzzo e in Sardegna la quota di scuole che ne possiede una si attesta intorno a 70%, circa il doppio di quanto accade in Basilicata e in Calabria.

L’indagine della Banca d’Italia, pur essendo descrittiva, conferma squilibri territoriali nella dotazione di infrastrutture scolastiche in Italia: le infrastrutture collocate nelle regioni meridionali presentano in generale le condizioni meno favorevoli e le differenze più accentuate per le scuole secondarie di II grado, spesso inserite in contesti valutati critici o meno collegate con i trasporti. D’altra parte, in relazione alla domanda potenziale, le situazioni più critiche di inadeguatezza dell’offerta si presentano nelle aree a maggiore densità abitativa e più facilmente raggiungibili, come i retroterra urbani di Campania, Lombardia e Sicilia.

L’indagine ci restituisce, quindi, anche l’immagine di un fenomeno molto complesso (le differenze di apprendimento), multidimensionale e multiforme, che merita una certa delicatezza nella trattazione, al fine di evitare narrazioni che stigmatizzano parti del Paese anziché far emergere potenzialità e limiti di ciascun territorio e valorizzare riflessioni volte ad agire e colmare in modo inclusivo.

Francesca Ferrara

Immagine di copertina: un momento della presentazione alla Camera dei Deputati davanti alle istituzioni e a rappresentanti del mondo della scuola. Hanno aperto i lavori i saluti della Vicepresidente della Camera, Anna Ascani. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, è intervenuto in videoconferenza. Fonte: Sito della Fondazione Agnelli.

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Note e riferimenti

Note e riferimenti
1 Le considerazioni in questo contributo si basano esclusivamente sulla lettura dei documenti rilasciati da Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca (comunicato stampa e documento di sintesi presentato alla Camera dei Deputati), dai quali non sono stati resi accessibili i dati utilizzati nell’indagine.
2 Un recentissimo articolo pubblicato su Nature situa divari di apprendimento in matematica significativi già al primo anno della scuola primaria (https://www.nature.com/articles/s41586-025-09126-4). Ne abbiamo parlato anche qui.
3 L’informazione varia se si tratta dell’apprendimento dell’italiano o di quello della matematica; perciò, non si tratta di un dato assoluto ma relativo alla disciplina di riferimento.
4 Il rapporto delle prove INVALSI 2022/2023 è scaricabile dal sito di INVALSI, al seguente indirizzo: https://invalsi-areaprove.cineca.it/index.php?get=static&pag=materiale_approfondimento.
5 Sulla scala di competenza costruita da INVALSI, il livello 3 rappresenta un esito della prova adeguato ai traguardi di apprendimento previsti dalle Indicazioni nazionali per il grado scolastico considerato. Complessivamente, comunque, tra il 2019 e il 2023 il risultato medio nazionale in matematica ha subito un calo, che rileva il fatto che, con la caduta degli apprendimenti osservata dopo il periodo pandemico (occupato da lockdown e didattica a distanza), risulta ancora difficile tornare ai livelli pre-pandemia. Nel 2019, infatti, la percentuale di studenti che raggiungevano il livello 3 in matematica si attestava a 62%.
6 In generale, i titoli (e gli articoli) dei quotidiani si concentrano meno su questo aspetto, se non per delineare la maggior difficoltà degli Istituti professionali rispetto a quelli liceali, mostrando ancora una volta la tendenza a una generalizzazione eccessiva, che sottolinea la debolezza di un’intera tipologia di scuola, senza prestare attenzione al fatto che i dati non permettono tale operazione, poiché riferiti sempre a punteggi medi, né sul comportamento degli indirizzi liceali né sul comportamento degli altri indirizzi, siano essi professionali o tecnici.
7 L’indagine della Banca d’Italia utilizza per gli esiti di apprendimento le rilevazioni INVALSI datate 2022.
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