Un eccitante prequel della Matematica del colore, attraverso la storia degli scienziati che nel diciottesimo e diciannovesimo secolo hanno dato una struttura rigorosa alla sensazione del colore. Ci regalano questo viaggio, Edoardo Provenzi, Professore all’ Université de Bordeaux e Valentina Roberti, assegnista di ricerca presso l’Università di Padova. Questo è il terzo episodio. Tutti gli episodi usciti li trovate in questa pagina.
Il protagonista di questo episodio, Thomas Young (1773-1829), è già stato introdotto nell’episodio 3 de “La matematica del colore”, disponibile qui. Vale la pena analizzare più in dettaglio alcuni aspetti della sua teoria che renderanno ancora più evidente il carattere visionario del suo lavoro.
Young, studente a Göttingen, seguì le lezioni del professore di fisica Georg Christoff Lichtenberg (1742-1799), a cui si deve la pubblicazione postuma del lavoro di Mayer nel 1775 citato nell’episodio precedente. Lichtenberg aveva tenuto una lezione sul modello di Mayer basato sui tre primari e la forma triangolare alla base di tale modello fu di ispirazione per Young.
Young propose una spiegazione fisiologica assolutamente ardita per la natura tricromatica della percezione del colore che, pur essendo in seguito riconosciuta come base della moderna teoria della visione e del colore, ebbe vita difficile all’inizio. La sua proposta consiste nell’idea che esistano tre fotorecettori nell’occhio umano responsabili della visione a colori. Egli la espose nel 1801 in uno dei luoghi più prestigiosi al mondo, ovvero la Royal Society di Londra, inserendola all’interno della sua più generale teoria ondulatoria della luce, in opposizione alla teoria corpuscolare di Newton. Non deve stupire dunque il fatto che la teoria di Young incontrò in un primo tempo non poche resistenze, specialmente in ambito britannico, all’epoca fortemente influenzato dai dettami della tradizione newtoniana, eletta a dogma.
Se da un lato Young non aveva dubbi sul numero dei fotorecettori, i tempi non erano ancora maturi per comprendere quale fosse la natura dei colori primari associati ai tre recettori: erano davvero quelli dei pittori (i pigmenti rosso, giallo e blu)?
Ai tempi di Young vi era infatti ancora molta confusione su questo punto: l’unica evidenza sperimentale era che, utilizzando i primari dei pittori per la sovrapposizione di luci, non si ottenevano gli stessi risultati percettivi della mescolanza di pigmenti. Young, guidato da alcune intuizioni, decise di modificare il triangolo di base di Mayer inserendo ai vertici i colori rosso, verde e viola al posto della triade dei pittori. Il risultato è mostrato nella figura sottostante. Si tratta solamente di una congettura che appare in una prima memoria in cui Young propose la triade dei pittori come base per la sua teoria. Tuttavia, corresse subito il triangolo sostituendo il verde al giallo.
Fu solamente a partire dagli anni ’20 dell’Ottocento che la teoria dei tre recettori ebbe ampia diffusione in Gran Bretagna e tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 Thomas Young e John Herschel suggerirono che l’incapacità di John Dalton di vedere il rosso potesse essere spiegata con l’assenza o il malfunzionamento di uno dei tre recettori nella retina. Definitivi saranno i contributi di Maxwell, Helmholtz e Grassmann per la conferma della teoria dei tre recettori. Le loro ricerche inaugurarono la moderna teoria scientifica del colore.
Vale la pena concludere questo terzo episodio con una serie di interrogativi e questioni dibattute a cavallo tra Settecento e Ottocento, che di fatto prepararono il terreno per gli sviluppi futuri. L’interesse sempre crescente verso la teoria del colore da parte non solo di scienziati ma anche di artisti e letterati, distanti sia dal punto di vista geografico che della formazione, non deve stupire il lettore, come spieghiamo di seguito.
Tra il 1790 e il 1830 nacque in Germania, per poi diffondersi in tutta Europa, un ricco intreccio di motivi filosofici e ricerche scientifiche che prese il nome di Naturphilosophie, o filosofia romantica. Letterati e filosofi misero al centro della loro attenzione la scienza, uniti dal medesimo proposito, ovvero quello di giungere a una nuova, completa, profonda e dunque più soddisfacente comprensione della natura: era necessario per perseguire tale scopo approfondire le relazioni tra arte e scienza. Tra i vari argomenti di dibattito, la natura dei colori e della loro percezione rivestiva un ruolo chiave tanto da diventare un tema affascinante non solo per filosofi naturali, ma anche per pittori e letterati. Abbiamo parlato ne “La matematica del colore”, si veda qui, dell’interesse di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) per il colore, tanto che elaborò nel 1810 una propria teoria, in netto contrasto con quella di Newton, ispirandosi alla cosiddetta sfera del colore del pittore Otto Runge.
Nella sua “Zur Farbenlehre” , Goethe concepiva i colori come il risultato dell’interazione tra luce e ombra, cioè bianco e nero, secondo l’idea di polarità di ogni processo naturale, uno dei leitmotiv della Naturphilosophie. Divise il cerchio in sei parti, considerando il semicerchio sinistro come positivo e quello destro come negativo e i colori diametralmente opposti nel cerchio come complementari o in opposizione cromatica.
Tipica della Naturphilosophie è la manifestazione di una contrapposizione tra due poli cromatici di qualità opposta, come ad esempio il polo del giallo e quello del blu, il polo del rosso e quello del verde (Ewald Hering, riprenderà e svilupperà il concetto di opponenza cromatica, come vedremo nell’ultimo episodio). L’idea di polarità in quegli anni pervadeva anche il regno delle scienze fisiche e chimiche, basti pensare all’invenzione della pila di Volta nel 1800, che presenta un polo positivo e uno negativo, o alle teorie dell’affinità chimiche, secondo cui composti chimici si uniscono per affinità o si respingono se non affini. Goethe scrisse nel 1809 il suo romanzo “Le affinità elettive”, ispirandosi proprio all’affinità chimica per descrivere le relazioni che intercorrono tra i protagonisti. Ecco di nuovo un esempio di quanto a quell’epoca, prima della settorializzazione della ricerca iniziata nell’Ottocento, il sapere non si imponesse confini.
Si interessò al dibattito sui colori e alla loro percezione anche il pittore romantico Joseph Mallord William Turner (1775-1851). Nei suoi dipinti Turner sostituiva le forme con i colori, utilizzando come primari quelli dei pittori: rosso, giallo e blu.
Turner era fortemente influenzato da Goethe e adottò la sua teoria della luce e dell’oscurità, tanto da intitolare un il dipinto che vediamo nell’immagine qui sotto proprio allo scrittore e poeta.
#fine terzo episodio
Edoardo Provenzi e Valentina Roberti
curato da Barbara Nelli
Trackback/Pingback