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Negli ultimi cento anni le teorie della probabilità si sono messe al centro dello studio dei sistemi complessi. La disciplina è relativamente giovane, almeno se parliamo di una sua prima formalizzazione matematica. Si  fa risalere il suo inizio al 1654 quando Antoine Gomabud cavaliere de Méré, scrittore ed accanito giocatore d’azzardo, invia una lettera al filosofo e matematico francese Blaise Pascal con il seguente problema:

La probabilità che esca almeno un 6 lanciando 4 volte un dado è la stessa che esca almeno  una coppia di 6 lanciando 24 volte due dadi?

De Méré cerca una risposta per migliorare le sue vincite al gioco dei dadi. Lui è convinto che la risposta sia positiva e ne propone il ragionamento. Sia \(A\) l’evento “uscita di almeno un 6 da 4 lanci di un dado” e \(B\) “uscita di almeno una coppia di 6 da 24 lanci di due dadi”. Per il primo evento, la probabilità che esca un 6 dal lancio di un dado è \(1/6\). De Méré decide di sommare per quattro volte questa probabilità, ottenendo:

\[P(A)=4\cdot 1/6=2/3.\]

Per il secondo evento, la probabilità di uscita di una coppia di 6 dal lancio di 2 dadi è \(1/36\), essendo 36 tutti i possibili esiti. Ancora una volta, de Méré conclude che

\[P(B)=24\cdot 1/36=2/3.\]

Per de Méré le due probabilità coincidono, quindi è perfettamente equivalente scommettere su uno dei due eventi.

Le perdite di danaro sembrano contraddire questo ragionamento. Ed infatti Blaise Pascal, assieme ad un altro matematico francese, Pierre de Fermat, rivela a de Méré che il secondo evento ha minori probabilità di realizzarsi rispetto al primo. Per fare questo, i due matematici utilizzano la proprietà che assegnato un evento \(A\) con probabilità \(P(A)\), l’evento complementare \(A’\) ha probabilità

\[P(A’)=1-P(A).\]

Partiamo dal primo evento \(A\), ossia “ottenere almeno un 6 lanciando 4 volte un dado”. L’evento complementare \(A’\) è “nessun 6 lanciando 4 volte un dato”. Per ogni lancio, la probabilità che non si abbia il 6 è \(5/6\), quindi, essendo gli eventi indipendenti a ogni lancio, per cui la probabilità del loro avvenire simultaneamente è uguale al prodotto delle loro probabilità, la probabilità che su 4 lanci non si abbia mai un 6 è \((5/6)^4\). Utilizzando lo schema dell’evento complementare, si ha:

\[P(A)=1-P(A’)=1-(5/6)^4=0,5177.\]

Analogamente per il secondo evento \(B\). In questo caso l’evento complementare \(B’\) è “nessun doppio 6 lanciando 24 volte una coppia di dadi”. Per ogni lancio della coppia, la probabilità di non ottenere un doppio 6 è \(35/36\), quindi su 24 lanci \(P(B’)=(35/36)^{24}\). Come nel caso precedente, l’evento di partenza ha probabilità

\[P(B)=1-P(B’)=1-(35/36)^24=0,4914<P(A).\]

Dove sbaglia il Cavaliere de Méré? Nel sommare le probabilità. Per il primo evento considera la probabilità di uscita di un 6, pari ad \(1/6\), e traduce l’almeno in somma dei singoli eventi. Facendo così, lui tratta gli eventi come incompatibili tra loro, mentre nessuno vieta che possa uscire un 6 al primo lancio e uno al terzo, per esempio. Il passaggio all’evento complementare, spesso utilizzato anche nella probabilità moderna, gli avrebbe potuto evitare  una brutta figura e qualche perdita di troppo ai tavoli d’azzardo.

[Illustrazione di Luca Manzo]

Marco Menale

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