Direttamente dal blog di Terence Tao, uno dei migliori matematici viventi, medaglia Fields nel 2006, un’opinione su di un problema che spesso allontana le persone dal fare matematica.
Pubblicato originariamente il 22 agosto 2011.
È meglio guardarsi da nozioni come genio e ispirazione; sono una specie di bacchetta magica e dovrebbero essere usate con cautela da chiunque voglia vedere le cose con chiarezza. (José Ortega y Gasset, “Sul romanzo”).
Bisogna essere un genio per fare matematica?
La risposta è un NO enfatico. Per dare dei contributi buoni ed utili alla matematica, uno deve lavorare duramente, conoscere bene un settore, conoscere altri settori e altri strumenti, fare domande, parlare con altri matematici e pensare al “quadro d’insieme”. E sì, sono anche richieste una ragionevole quantità di intelligenza, pazienza e maturità . Ma non serve una qualche sorta di magico “gene del genio” che spontaneamente generi ex nihilo profonde intuizioni, soluzioni inaspettate ai problemi, o altre abilità soprannaturali. L’immagine popolare del genio solitario (e forse anche un po’ matto), che ignora i lavori precedenti e la conoscenza convenzionale e riesce, con qualche inesplicabile ispirazione (potenziata, forse, da un tocco a piacere di sofferenza ) ad inventarsi una soluzione originale che lascia tutti a bocca aperta ad un problema che aveva messo in difficoltà tutti gli esperti, è un’immagine affascinante e romantica, ma anche parecchio sbagliata, almeno nel mondo della matematica moderna. Ci sono ovviamente risultati e intuizioni spettacolari, profondi e notevoli in questo campo, ma sono il faticoso raggiungimento finale di anni, decenni, o anche secoli di costante lavoro e progresso compiuto da molti grandi e bravi matematici; il progresso da uno stadio di comprensione al successivo può essere terribilmente non banale, e spesso piuttosto inaspettato, ma tuttavia si costruisce sulla base dei lavori precedenti, piuttosto che ripartendo totalmente da zero. (Questo è per esempio il caso del lavoro di Wiles sull’Ultimo teorema di Fermat, o di Perelman sulla Congettura di Poincaré.)
In effetti, trovo che la realtà della ricerca matematica attuale, in cui i progressi sono ottenuti naturalmente e in modo cumulativo come conseguenza di un duro lavoro, diretto dall’intuizione, dagli studi precedenti e da un pizzico di fortuna, sia molto più soddisfacente dell’immagine romantica che avevo da studente, di una matematica che progrediva principalmente grazie alla mistica ispirazione di una rara stirpe di persone “geniali”. Questo “culto del genio” comporta infatti non pochi problemi, poiché nessuno è capace di produrre queste (molto rare) ispirazioni su una base anche approssimativamente regolare, e con con un’affidabile e consistente correttezza. (Se qualcuno mostra di farlo, sono del parere di rimanere molto scettico sulle loro affermazioni.) Lo sforzo di provare a comportarsi in questo modo impossibile può portare alcune persone a diventare troppo ossessionate con i “grandi problemi” e le “grandi teorie”, altri a perdere quel sano scetticismo sul proprio lavoro o sui loro strumenti, e altri ancora a diventare troppo scoraggiati per continuare a fare matematica. Inoltre, attribuire il successo al talento innato (che è al di là del proprio controllo) piuttosto che ai propri sforzi, alla pianificazione, all’istruzione (che invece sono in qualche modo controllabili) può portare ad altri problemi ancora.
Certamente, anche se uno lascia perdere la nozione di genio, sarà ancora possibile che in un dato istante di tempo alcuni matematici siano più veloci, con maggiore esperienza, maggiori conoscenze, più efficienti, più attenti, o più creativi di altri. Questo non implica, tuttavia, che soltanto i “migliori” matematici debbano fare matematica; questo è l’errore comune di scambiare il vantaggio assoluto per il vantaggio comparato. Ci sono talmente tanti settori di ricerca matematica interessanti e problemi da risolvere, molto più di quelli che possono essere trattati in dettaglio dai “migliori” matematici, e qualche volta l’insieme degli strumenti e delle idee che possiedi ti permetterà di trovare qualche cosa che altri bravi matematici non hanno visto, anche perché anche i più grandi matematici avranno pure loro delle debolezze in alcuni aspetti della ricerca matematica. Fino a che riesci ad imparare, hai delle motivazioni, e abbastanza talento, ci saranno sempre alcune parti della matematica in cui potrai dare un solido e utile contributo. Potrebbe non essere la parte più “glamour” della matematica, ma in pratica questo porta a una cosa abbastanza sana; in molti casi viene fuori che i banali aspetti pratici di un argomento sono molto più importante di qualsiasi sofisticata applicazione. Inoltre, è anche necessario “fare pratica” in qualche parte non-alla-moda di un certo settore prima di poter avere la possibilità di confrontarsi con un famoso problema; date un’occhiata alle prime pubblicazioni di uno qualsiasi dei grandi matematici di oggi per vedere cosa voglio dire.
In alcuni casi, un’abbondanza di talento grezzo può finire (un po’ perversamente) per essere in effetti dannoso per lo sviluppo matematico a lungo termine di una persona; se le soluzioni dei problemi si trovano troppo facilmente, per esempio, uno potrebbe non mettere abbastanza energia nel lavorare seriamente, nel fare domande stupide, o allargare il proprio orizzonte, e quindi potrebbe eventualmente portare ad un ristagno delle proprie abilità. Inoltre se uno è abituato a un successo facile, potrebbe non sviluppare la pazienza necessaria per trattare problemi veramente difficili. Il talento è importante, certamente; ma come uno lo sviluppa e lo nutre lo è ancora di più.
È anche utile ricordare che la matematica professionale non è uno sport (in opposizione alle gare matematiche). Lo scopo in matematica non è di ottenere il piazzamento migliore, il “punteggio” più alto, o il maggior numero di premi e riconoscimenti; lo scopo è invece di aumentare la comprensione della matematica (sia per sé stessi, che per i propri colleghi e per gli studenti), e contribuire al suo sviluppo e alle applicazioni. Per questi compiti, la matematica ha bisogno di tutte le persone in gamba che si riescano a trovare.
Vi suggerisco infine di leggere l’articolo “How to be a genius“, di David Dobbs, New Scientist, 15 September 2006. [Ringrazio Samir Chomsky per avermelo segnalato.] (Tradotto per gentile concessione dell’autore, qui il post originale in inglese)
Terence Tao
Terence Chi-Shen Tao è un matematico australiano nato nel 1975, vincitore nel 2006 della medaglia Fields. Svolge ricerca principalmente nei campi dell’analisi armonica, delle equazioni differenziali alle derivate parziali, della combinatoria, della teoria analitica dei numeri e della teoria della rappresentazione. Il suo risultato più famoso è il teorema di Green-Tao, dimostrato in collaborazione con Ben Green, che afferma l’esistenza di progressioni aritmetiche arbitrariamente lunghe di numeri primi. Tao è attualmente professore all’Università della California di Los Angeles. Ha un blog personale What’s New, in cui presenta aggiornamenti sulle sue ricerche, articoli divulgativi, discussioni di problemi aperti e altre cose legate alla matematica.
Mi piace la sincerità e la schiettezza di questo articolo. Mi trovo davvero d’accordo specialmente quanto parla della necessità di non adagiarsi sul proprio talento perchè i veri risultati sul lungo periodo sono solo frutto di costanza e fatica.