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Ha scelto la facoltà di matematica perché… era quella col minor numero di esami. Poi, per farsi perdonare, ha cominciato a divulgarla, e a divulgarla con un discreto successo…

 

Tu sei nato in Canada, ma a un certo punto, nel 1988 ti trasferisci in Italia. C’è qualche motivo particolare? Hai studiato quindi in Italia? Ci racconti il tuo percorso di studi?

Ho frequentato i primi due anni di elementari in Canada, come un qualsiasi bimbo canadese. Poi la mia famiglia si è trasferita in Camerun, dove ho quindi fatto la terza e la quarta. Dopo l’esperienza africana, i miei genitori hanno deciso di fermarsi in Italia, paese di mia madre. Ecco perché dalla quinta elementare in poi sono stato in Italia, proseguendo successivamente con le medie, il liceo scientifico e l’università a Bologna. Dopo Bologna ho frequentato per due anni Trieste per il Master in comunicazione della scienza della Sissa (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati). Quindi nonostante alcune note di colore all’inizio, la mia formazione è in netta prevalenza italiana.

Perché hai deciso di studiare matematica all’Università?

Da bambino mostravi qualche predisposizione? Fin da piccolo ero bravo con la matematica, pur cavandomela bene in buona parte delle materie scolastiche. Con l’avvicinarsi della scelta universitaria, avevo le idee sempre meno chiare: ero indeciso tra lettere, lingue, architettura e matematica. Poi la scelta è andata verso matematica per un motivo molto semplice: era la facoltà col minor numero di esami!

A un certo punto c’è la svolta divulgativa. Ci racconti cosa ti ha ‘ispirato’ questo passo? Ti è apparso in visione Piero Angela?

I miei studi in matematica non mi hanno mai fatto abbandonare il gusto per le altre discipline, e ho sempre amato relazionarmi con le persone e condividere le cose che mi piacciono. Pur non avendo avuto nessuna apparizione, un giorno cruciale c’è: cercavo informazioni tra dipartimenti di matematica sparsi per l’Italia e scoprii l’esistenza del Master in comunicazione scientifica della Sissa. Pensai subito che mi sarebbe piaciuto molto, e che assomigliava al genere di cose che avrei voluto fare. Senza quel giorno forse non avrei mai creduto che potevo fare del raccontare la scienza il mio mestiere.

Una buona parte del tuo mestiere di divulgatore è fatto dei tuoi libri. “Insalate di Matematica”, “Tutti i numeri sono uguali a cinque” e l’ultimo, uscito da poco, “Bricologica”.Che valore ha la scrittura nella tua vita, e nella tua professione di divulgatore?

Mi piacciono le parole, le frasi, la poesia e le belle storie, amo leggere e scrivere. Se poi mi ritrovo a scrivere spesso di matematica è perché è un soggetto che conosco meglio di altri, perché fa parte della mia vita, perché trovo nella matematica ci siano alcune cose molto belle. Bricologica, il mio ultimo libro, è proprio un libro di cose che conoscevo e mi parevano troppo belle per non essere condivise. Tra le pagine due mie passioni si incontrano e fondono: è infatti al contempo un libro di bricolage con materiali semplici e un libro di matematica. Si trovano le descrizioni passo passo per costruire con le proprie mani trenta oggetti, e ciascun oggetto ha in sé un pezzetto di matematica. Il tutto corredato da moltissime illustrazioni a colori e da splendide foto degli oggetti. Volevo un libro che fosse bello per le mani, bello per la mente e bello per gli occhi, che stimolasse la sfera manuale, quella astratta e quella visuale. Perché per me la matematica che si priva di uno di questi aspetti perde moltissimo del suo fascino.

La divulgazione della matematica. Hai avuto modo di venire in contatto con adulti e bambini. Che differenze ci sono, e quali riflessioni hai fatto su queste due diverse fasce d’età? I bambini sono più aperti, perché non sono stati ancora‘terrorizzati’ dalla scuola?

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, è molto frequente trovare adulti che si lasciano incuriosire dalla matematica. Certamente le esperienze scolastiche possono lasciare retrogusti amari, ma spesso ho trovato adulti con il rimpianto di non aver mai avuto un buon rapporto con la matematica. La combinazione migliore secondo me è quella delle famiglie con bambini: i genitori fanno finta di fare tutto per i figli ma nel frattempo vivono assieme a loro lo stesso piacere della scoperta.

Uno dei filoni che seguiamo è quello della divulgazione della matematica attraverso le sue applicazioni. Come ti sembra questo tipo di approccio?

Ammetto che ho sempre prediletto la matematica perfettamente inutile. Mi piace e trovo suprema forma di evoluzione del pensiero il riflettere su cose astratte che non descrivono altro che sé stesse. Sono sempre felice di poter rispondere alla domanda “A che cosa serve tutto questo”dicendo “A niente: lo faccio perché mi piace!”. Con questo tuttavia non voglio dire che considero trascurabili le molte applicazioni della matematica: anzi, spesso sono geniali, inattese e interessanti. Sono convinto quindi che raccontarle contribuisca a creare nella mente dei non-matematici un’immagine più completa e corretta della matematica.

Quali sono secondo te le cose da evitare, quando si fa divulgazione scientifica (e, in particolare, matematica)?

Una deriva che reputo rischiosa nella divulgazione della matematica e che cerco di evitare quando lavoro è caricare l’enfasi sul“divertente”, pur di acchiappare il pubblico. Questo finisce per dolcificare artificialmente cose che sarebbero buone anche senza lo zucchero del divertimento, e – rischio ben peggiore – di far credere che se una cosa non è divertente nell’immediato non valga la pena di approcciarla. Faticoso e piacevole sono due aggettivi che non di rado nella mia vita sono andati assieme. Agli antipodi di quest’edulcorazione c’è la mattonata didascalica, lo spiegone che ricalca la lezione di scuola: non mi pare nemmeno questo un cammino da seguire. Poi la conoscenza può sempre essere utilizzata come arma. A maggior ragione può esserlo la matematica, considerata da molti come un discriminante tra intelligenti e non-intelligenti. Purtroppo è frequente che chi fa divulgazione della matematica si ponga con vigore nella prima categoria, facendo automaticamente finire nella seconda le persone che l’ascoltano. Chi sa di più ha la grossa responsabilità di rimanere umile e condividere piuttosto che fare meschina carità intellettiva. Per il bene suo, delle persone che lo incontreranno e anche per la qualità e l’utilità del suo lavoro.

In questo momento vivi di nuovo in Canada, insegni matematica a scuola. Ci racconti com’è maturata questa scelta? La tua attività di divulgazione sarà influenzata da questo?

E va bene, lo dico apertamente: sono in Canada per stare a fianco della donna che amo! Il mio nuovo lavoro è un modo piacevole e onesto per guadagnare il pane. Per poter fare a tempo pieno comunicazione della matematica serve infatti un reticolo di relazioni e contatti solido e diffuso, cosa che qui in Canada ancora non ho. È chiaro che con 120 alunni il tempo per la divulgazione è ridotto, ma sono tutt’altro che scomparso! Mantengo la mia rubrica Sorsi di Mate nella rivista Alice&Bob, sto lavorando a un nuovo libro e ho delle idee video. Insomma, ci sono ancora!

Hai avuto modo di apprezzare qualche differenza notevole fra la matematica a scuola in Italia e in Canada? E nelle attività divulgative?

La prima, evidente: qui il ministero dell’educazione autorizza l’utilizzo agli esami di calcolatrice e appunti. Questo muta drasticamente la modalità di apprendimento degli studenti, e secondo me in peggio. Per evitare un sovraccarico cognitivo dovuto a calcoli e studio e lasciare quindi spazio al ragionamento si finisce per crescere degli studenti con delle difficoltà nel ritenere delle nozioni e nel fare di conto, che sono a mio parere palestra importante per imparare a formulare un pensiero matematico. Ma nell’altra direzione c’è una grossa attenzione alla risoluzione di problemi concreti, al punto che uno dei voti in pagella è proprio in “risoluzione di problemi”. Per quanto riguarda la divulgazione, qui noto che è molto diffuso il concetto di “animatore”, in qualsiasi contesto. In moltissimi ambienti si ritrova un animatore, che ha il ruolo di guidare un gruppo attraverso una data esperienza: ci sono animatori per le attività religiose, per quelle scientifiche, per la formazione dei neogenitori o dei manager. Probabilmente qui non avrei vissuto la situazione demenziale che ho trovato in Italia quando al momento del rinnovo della mia carta di identità ho chiesto di mettere come professione “animatore scientifico” e, non trovandola nel loro elenco, mi hanno proposto la professione più vicina in ordine alfabetico: animista.

Hai qualche hobby, passione, oltre alla matematica e alla divulgazione?

Ci mancherebbe! Amo l’origami e lavorare con la carta, e in Bricologica lo vedrete. Amo comporre musica, suonarla e registrarla, amo camminare all’aria aperta, aggiustarmi le cose da solo e ho praticato per alcuni anni il funambolismo. Se posso preferisco andare al cinema da solo e fare la spesa in compagnia. E poi amo la vita di tutti i giorni: mi piace avere del tempo per pulire casa, stirarmi le camicie, svegliarmi presto.

Progetti futuri?

Sto lavorando nella scrittura della prima guida italiana all’animazione scientifica, che dovrebbe uscire in primavera 2011. E vorrei riuscire a far funzionare il mio router e fissare le tende di camera mia, che continuano a darmi problemi.

 

Robert Ghattas, è laureato in matematica e si è specializzato in museologia al Master in Comunicazione della scienza della Sissa di Trieste. Da sempre interessato all’aspetto didattico e ludico-ricreativo della matematica, ha collaborato con Le Monnier e L’almanacco della scienza, e cura laboratori didattici. Ha scritto Insalate di matematica (Sironi, 2004), Tutti i numeri sono uguali a 5 (Sprinter, 2007) e Bricologica (Sironi, 2010)

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