Voglio per prima cosa ringraziare il Prof. Silvestri per aver contribuito a riportare la discussione in termini di un civile scambio di opinioni scientifiche.
Certo, mi restano della perplessità, se penso al tipo di critiche scientifiche che ci vengono mosse. Relativamente alla stagionalità dei coronavirus, prima di tutto credo che nemmeno oggi sia possibile quantificarne l’impatto. Inoltre, bisogna tenere conto che il lavoro per la fase 2 lo abbiamo iniziato a fine marzo e terminato a metà aprile, in modo da poter essere visionato dai decisori ben prima del 4 maggio. Che evidenze c’erano allora? Dirò di più. Ci siamo posti il problema della stagionalità già a inizio febbraio, quando stavamo affrontando la fase di preparazione alla futura pandemia. E la decisione, a febbraio come ad aprile, è stata la stessa, cioè quella di utilizzare cautela. Chi si sarebbe assunto la responsabilità di aver suggerito scenari basati sull’assunzione di stagionalità del coronavirus, nel caso questa non si fosse rivelata poi realistica? Di chi la responsabilità morale, e non solo? È facile criticare dopo, senza portarsi sulle spalle il peso delle responsabilità delle proprie azioni.
Passando al fatto che non abbiamo considerato la migliorata capacità di gestire COVID-19 dal punto di vista medico/epidemiologico, torniamo alla questione della tempistica del punto precedente. Prof. Silvestri, lei davvero aveva queste certezze a fine marzo, inizio aprile? Eravamo in pieno picco epidemico – Rt è andato sotto soglia in quasi tutte le regioni italiane tra il 20 e il 30 marzo – con 1400 pazienti in terapia intensiva in Lombardia. Sul fatto che non abbiamo tenuto conto della cross-reactivity con altri coronavirus umani, non riesco a immaginare come avremmo potuto tenerne conto visto che il lavoro da lei menzionato è stato pubblicato online il 20 maggio 2020.
Ciò detto, sono sicuro che il lavoro avesse delle limitazioni, come abbiamo scritto, e forse altre che non abbiamo scritto. Fa parte della estrema difficoltà di dover sintetizzare in poche equazioni un sistema estremamente complesso come quello della diffusione di un’epidemia. Riconosco questi limiti a tutte le decine di lavori scientifici che ho avuto il piacere di fare su modelli di diffusione di epidemie. Penso che lo stesso valga per i suoi su questi argomenti, e per quelli di tutti i modellisti. Il modello perfetto non esiste. Si fa con quello che si conosce in quel momento, consci delle enormi incertezze e di tutti i parametri di cui non si sa proprio nulla. Ma c’è un’alternativa?
Su come sia stata gestita la comunicazione di quel lavoro, io penso ci fossero invece due alternative. Divulgarlo prima, spiegandolo, cosa che mi sarei prestato volentieri a fare, prendendo le decisioni solo dopo, oppure mantenerlo confidenziale. Le cose, come sa anche lei, sono andate diversamente. Il lavoro, che era un rapporto confidenziale per tecnici, da non rendere pubblico, è stato dato in pasto alla stampa e utilizzato per attaccare il governo. Lei crede davvero che ci fossero le condizioni, in quel clima, per spiegarlo ad un pubblico generalista? Io credo di no, ma su questo non ho certezze. Forse, come dice lei, si sarebbe potuto comunicare in modo diverso.
Certo, mi domando ancora perché criticare sempre il “worst case” (caso peggiore) scenario che, come lei sa, va sempre aggiunto a qualunque studio di questo tipo, e non apprezzare le altre decine di scenari che invece hanno ben descritto gli eventi successivi (basta guardare a quelli dove assumiamo una riduzione della trasmissibilità del 15%-25% grazie all’utilizzo delle mascherine). Questo proprio non riesco a capirlo, specialmente se fatto da una persona che ha esperienza in questo settore. Resto comunque convinto che quelle analisi, e tutte le altre che abbiamo fatto a partire da gennaio, ci abbiano aiutato a navigare meglio in questa crisi. E con il mio team continueremo a dare una mano al paese, finché ce lo chiederanno, tenendo conto di tutta la conoscenza, man mano che questa diventa evidente.
Stefano Merler
Fondazione Bruno Kessler
responsabile dell’Unità di Ricerca “Dynamical Processes in Complex Societies”
si parla di modelli ma non ne vedo… peccato!
Salve,
mi permetto di commentare perché è un argomento che mi sta molto a cuore. L’alternativa sarebbe avere almeno avere l’onestà intellettuale di ammettere che qualche errore è stato commesso almeno a livello mediatico.
Non entro in merito al modello che ha generato quel numero del fantomatico “worst case scenario” perché non ne ho le competenze ne matematiche ne di epidemiologiche, però penso che quando è arrivato in pasto alla stampa avevate il dovere di snocciolare quel dato e spiegarlo in modo comprensibile ai non addetti ai lavori anche come servizio ai cittadini visto che da quanto mi sembra di capire quei modelli hanno dettato le scelte a livello di policy del governo sulle riaperture ed avuto un impatto sulla vita di milioni di cittadini. Non avete fatto altro che alimentare quella che chiama il professor Silvestri la macchina del panico quotidiano su Covid-19.
Infine, se devo essere sincero se un virologo di fama internazionale e con una produzione scientifica più rilevante della mia mi facesse notare che magari il modello avrebbe potuto tenere conto di alcuni parametri di “buon senso” (anche se al tempo non ancora comprovati) per avere un “fine tuning” e ottenere risultati più vicini alla realtà, magari io avrei accettato umilmente il consiglio, ma questa è solo un’opinione personale.
Buonasera Luca,
onestamente, qualche tentativo di spiegarlo lo ho anche fatto. E Lo stesso hanno fatto i colleghi di ISS. Il problema e` che quando partono su gran parte della stampa certi titoli, il piu` rassicurante che ricordo suonava piu` o meno “Ecco il documento che ha terrorizzato il governo”, non c’e` piu` niente da raccontare. Ti invito a leggere l’ultimo paragrafo di http://maddmaths.simai.eu/divulgazione/langolo-arguto/dove-finiscono-i-modelli
Riguardo ai suggerimenti del Prof. Silvestri, che non sono delle stupidaggini (intendiamoci bene), sempre al link precedente provo a spiegare perche` secondo me, in un lavoro di questo tipo, bisogna considerare solo quello di cui si ha evidenza certa, anche se con incertezza. Non e` questione di umiltà o meno, a parte che un centinaio di lavori su epidemiologia delle malattie infettive lo ho pure scritto. Il fatto e` una sorta di fine tuning, come dici tu, su cose di cui non c’e` evidenza lo deve fare la politica per prendere le decisioni che le competono, non la scienza.
ciao e grazie per il commento
Di quali mascherine si parla ? Sono un medico che da lunedì 16 dovrà riprendere ambulatori specialistici solo con mascherina chirurgica in una situazione di sovraffollamento e malati tutti a rischio (malati cronici, oncologici, immunodepressi). Che ne pensa : mascherina chirurgica o FFP2 ?
Egr. Prof Merler, da VECCHIO biologo innamorato della scienza e della conoscenza, con un bagaglio culturale abbastanza solido in ambito medico-scientifico, proveniente dalla pluridecennale militanza in Azienda farmaceutica operante in ambito immunologico, mi piace manifestare il mio apprezzamento per il proficuo dialogo instauratosi con il prof Silvestri.
Quanto più a governare la vita di una comunità saranno il metodo scientifico e il confronto sereno e appassionato tra le varie branche della scienza e della cultura, tanto più detta comunità avrà la possibilità di prosperare.
Mi piace sottolineare che governare la mia vita sono la RAGIONE, la SCIENZA e la STORIA.
Cordialità