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Nicola Ciccoli ci presenta il suo diario di bordo di questi mesi di didattica universitaria a distanza. Un racconto appassionante di come si possa ripensare la propria professione. Questa è la prima puntata. Tutte le puntate le troverete a questo link.

Quando, nel Marzo 2020, l’inizio della epidemia Covid in Italia ha trascinato il paese nel suo primo lockdown e, per ciò che riguarda la didattica universitaria, catapultato da un giorno all’altro docenti e studenti di corsi già iniziati nei territori inesplorati dell’online io potevo guardare le cose in un’ottica indubbiamente speciale.

Privo di corsi nel secondo semestre, ero nella particolare posizione di osservatore privilegiato e interessato. La mia natura intimamente pessimista, lo studio di precedenti epidemie, la coscienza della mia personale condizione di persona dal sistema immunitario fragile, mi lasciavano prevedere che con grande probabilità i miei corsi autunnali sarebbero stati anch’essi online. Mi dispiace molto essere stato facile profeta.

Da subito, quindi, ho parlato tanto e guardato molto: quali problemi avevano i miei colleghi con la didattica online e come li stavano risolvendo? Nelle prime settimane la mia attenzione era soprattutto rivolta agli aspetti tecnici. Dopo tutto, abituato da sempre a far lezione alla lavagna (avevo ricevuto da poco più di un mese una intera confezione dei famosi gessetti giapponesi Hagoromo – ordinata appositamente per i corsi del 20/21), avevo un grande timore di dovermi abituare all’uso di slide elettroniche o alla sofferenza della mia grafia, già mediocre di suo, malamente riprodotta da una lavagnetta elettronica. Come per molti, quindi, per molti giorni mi sono baloccato surfando la rete alla ricerca di programmi di WhiteBoard scaricabili e online con le più varie funzionalità; e con un ricorrente frullio per la testa: nessuno di questi metodi è adatto.

Una immagine della superficie di Bour

L’altra domanda di sottofondo riguardava gli esami: a quella avrei dovuto rispondere comunque a Giugno, visto che per il mio corso di Geometria IV ero abituato a fare esami scritti e il mio ateneo aveva da subito imposto la restrizione di dover fare solo esami orali online. Come avrei potuto far fare esercizi spesso computazionalmente pesanti ai miei studenti? Con quali strumenti seguirli attraverso il calcolo della torsione della finestra di Viviani o quello della curvatura gaussiana della superficie di Bour?

A cambiare completamente il focus delle mie domande è arrivato un post di Francis Su, professore e blogger matematico, scrittore e esperto di didattica, che mi ha subito spinto a interrogarmi su cosa e come avrei potuto cambiare nel mio insegnamento, in vista degli obiettivi che mi proponevo di raggiungere. Dopo tutto: perché volevo che i miei studenti calcolassero la torsione di una curva davanti a me? Veramente quel calcolo era uno dei miei obiettivi per il corso? O non piuttosto spingere i miei studenti a curiosità, immaginazione, creatività e capacità strategiche – le virtù matematiche che in quel post si invitavano a perseguire?

Il post di Su mi colpii tanto che decisi di tradurlo per Madd:Maths! e nei mesi a seguire continuò a ossessionarmi. Mi sembrava doveroso portare almeno qualcuna di quelle idee nel mio corso, ma non mi sembrava di trovare un modo per conciliarlo con il necessario standard matematico a cui ero abituato.

Con l’arrivo di Settembre, la ripresa del ritmo dei contagi e soprattutto una visita fiscale ogni dubbio fu dissipato: avrei fatto tutta la didattica online. Con pazienza e qualche memoria delle attività di bricolage fatte da bambino assieme a mio padre mi riuscì di costruire una lavagna nera di 2,40m x 1,20m che ebbe l’effetto principale di calmare le mie ansie tecniche. Alla peggio avrei usato quella lavagna per fare lezione. In realtà ho finito per usarla ben poco. Proprio il giorno prima della prima lezione ho trovato una whiteboard online sulla quale si poteva anche scrivere direttamente in TeX, oltre che a mano con la tavoletta grafica. Questo, assieme agli appunti preparati in precedenza, ha finito per essere il mio strumento principale di lezione, come vedremo.

La lavagna auto costruita per fare lezione, con pannelli di legno e vernice coprente cancellabile. E’ stata in seguito appoggiata su un cavalletto da pittura grande.

Ma con l’arrivo di Settembre, soprattutto, sono iniziate a chiarirsi le idee. Ho capito come avrei voluto organizzare il corso e perché lo avrei organizzato così. Ho capito quali attività mi interessano, quali novità volevo esplorare, quali obiettivi mi proponevo. Sicuro com’ero che la situazione sanitaria sarebbe progressivamente peggiorata speravo anche che il mio corso potesse essere una forma di resistenza in tempi difficili, un’oasi per gli studenti più affaticati, un riparo. Dopo tutto i pochi esami di Settembre erano stati veramente significativi. Tutti i miei studenti mostravano chiari segni di stress.

È nata in questo modo l’organizzazione di un corso speciale, di un corso che mi ha portato a sperimentare tecniche didattiche diverse dal solito e che certamente non avrebbe assunto questa forma se non fosse stato per l’emergenza sanitaria in atto. Una prova di volo.

Questi appunti vogliono essere una riflessione a posteriori su ciò che ho ricavato da questa organizzazione sperimentale del corso, sulle delusioni (poche), le soddisfazioni (varie) e le sorprese (tante) che mi hanno accompagnato nel percorso. Nessuno di noi sa prevedere ancora quanta parte della attività didattica si svolgerà online per via del Covid. Ciò che posso dire è che questa esperienza, per ciò che mi riguarda, ha segnato per sempre il mio percorso di docente e anche il ritorno nelle aule, anche il ritorno alla familiarità di gesso e ardesia, non potrà più prescindere da ciò di cui in questi mesi, anche grazie ai miei studenti, ho fatto esperienza.

I testi degli studenti che ho riportato non sono stati quasi mai editati: solo per alcuni pezzi una piccola modifica ha reso possibile riportare una citazione comprensibile molto meno estesa, cosa che mi sono permesso di fare allo scopo di rendere complessivamente più leggibile questo testo. I nomi sono di fantasia e l’attribuzione non necessariamente costante (a un nome fittizio non corrisponde necessariamente un univoco nome reale) nel rispetto di una comunicazione di natura personale.

1-continua

Nicola Ciccoli

 

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