Jo Boaler è professore di “Mathematic Education” alla Stanford University, e cofondatrice di youcubed.org, il sito sull’insegnamento della matematica di cui su MaddMaths! abbiamo un versione parzialmente tradotta in italiano, Youcubed Italia. In questo articolo Jo Boaler presenta alcune nuove scoperte che secondo lei dovrebbero cambiare il modo di insegnare matematica. Tradotto per MaddMaths! da Martina Cecchetto e Federica Poli, con la supervisione di Anna Baccaglini-Frank, dall’originale inglese apparso nel Blog dell’American Mathematical Society “On Teaching and Learning Mathematics”. (Translated by Martina Cecchetto and Federica Poli, under the supervision of Anna Baccaglini-Frank, from the American Mathematical Society’s On Teaching and Learning Mathematics Blog” from the original post “Everyone Can Learn Mathematics to High Levels: The Evidence from Neuroscience that Should Change our Teaching“).
[Originariamente pubblicato il 5 marzo 2019]
Il 2018 è stato un anno importante per la famiglia Letchford, per due motivi. Innanzitutto è stato l’anno in cui Lois Letchford ha pubblicato il suo libro: Reversed: A memoir [1], in cui racconta la storia di suo figlio Nicholas, cresciuto in Australia. Durante il primo anno di scuola, Lois è stata informata che Nicholas aveva dei problemi di apprendimento e un quoziente intellettivo molto basso ed è stato definito dall’insegnante il peggior studente che avesse mai incontrato negli ultimi 20 anni. L’altro motivo che rende il 2018 particolarmente significativo è che Nicholas si è diplomato all’Università di Oxford con un dottorato in matematica applicata.
Il percorso di Nicholas, da bambino con bisogni educativi speciali al conseguimento del dottorato ad Oxford, è sicuramente importante e fonte di ispirazione, ma non è così raro. Il mondo è costellato di persone che hanno raccolto insuccessi all’inizio della loro carriera scolastica, ricevendo numerosi messaggi negativi dalla scuola, ma che sono poi diventati tra i più influenti matematici, scienziati, e persone di successo della nostra società – incluso Albert Einstein. Alcune persone ignorano la rilevanza di questi casi, considerandoli rare eccezioni, ma la ricerca neuroscientifica degli ultimi anni ha permesso di dare nuove e importanti spiegazioni in merito a questi casi. La conoscenza che abbiamo oggi sul funzionamento del cervello è così significativa che dovrebbe portare ad un cambiamento nel modo di insegnare, di organizzare la didattica nelle scuole e nei messaggi che trasmettiamo a studenti e genitori. Questo articolo riassume tre delle più importanti aree delle neuroscienze che hanno applicazioni dirette sui processi di apprendimento e insegnamento della matematica. Per maggiori dettagli è possibile fare riferimento al sito youcubed.org o leggere Boaler, 2016 [2].
Uno degli aspetti più importanti che è emerso dalla ricerca degli ultimi decenni ha evidenziato l’enorme capacità di crescita e cambiamento del nostro cervello in ogni stadio della nostra vita. Uno dei risultati più sorprendenti è stato portato alla luce dagli studi effettuati sui tassisti londinesi. A Londra è possibile ottenere la licenza per guidare una delle famose “black cab” solo dopo aver sostenuto un intenso e complesso training della durata di diversi anni, che richiede di memorizzare tutte le strade e i collegamenti tra di esse in un raggio di 20 miglia da Charing Cross, nel centro di Londra. Alla fine del training bisogna sostenere un test chiamato “The Knowledge” (la conoscenza) e mediamente l’esame viene tentato 12 volte prima di essere superato. I neuroscienziati hanno deciso di studiare il cervello di questi tassisti e hanno trovato che il training spaziale a cui si sottopongono porta ad un aumento significativo dell’ippocampo. È emerso inoltre che, una volta pensionati, non usando più le informazioni spaziali, l’ippocampo si ritira. Queste ricerche sono significative per diverse ragioni. Innanzitutto sono state condotte su adulti di diverse fasce d’età e su tutti è stata rilevata una crescita e un cambiamento considerevole del cervello. Inoltre l’area del cervello interessata dalla crescita, ossia l’ippocampo, riveste un importante ruolo in tutti i ragionamenti spaziali e matematici. Il grado di plasticità del cervello rilevato ha sorpreso l’intera comunità scientifica. Il cervello creava nuove reti e connessioni neuronali man mano che gli adulti studiavano e interiorizzavano e, non appena queste informazioni non erano più necessarie, svanivano. Ulteriori prove dell’importanza della crescita cerebrale su persone di tutte le età, spesso misurata in seguito a interventi di 8 settimane, è stato oggetto di sperimentazioni nelle ultime decadi; queste prove hanno riportato la questione su pratiche diffuse e messaggi sociali dati a studenti convinti di non essere in grado di imparare la matematica ad alti livelli. Nessuno sa cosa uno studente sia in grado di imparare e le pratiche scolastiche che pongono limiti sul potenziale apprendimento degli studenti hanno bisogno di essere radicalmente ripensate.
Prima che emergessero i dati degli studi sui tassisti londinesi, la maggior parte delle persone credeva che il cervello rimanesse immutato dalla nascita o almeno dall’adolescenza. Ora gli studi hanno evidenziato una buona plasticità cerebrale anche negli adulti in pensione [6]. A fronte dell’idea di fissità cerebrale che ha pervaso la nostra società per generazioni, in particolare in relazione alla matematica, vi è un’impellente necessità di cambiare i messaggi che diamo agli studenti – e ai loro insegnanti – attraverso l’intero sistema educativo. Gli studenti universitari a cui insegno a Stanford vengono dalle migliori scuole della nazione, ma quando sono in difficoltà nel loro primo corso di matematica molti decidono che “non sono portati per la matematica” e si arrendono. Negli ultimi anni ho lavorato per dissipare queste idee negli studenti tenendo un corso dal titolo How to Learn Math – Come imparare la matematica –, in cui condivido con loro i risultati degli studi sulla crescita e sul cambiamento del cervello e di altre nuove idee sull’apprendimento. L’esperienza che ho maturato in questo corso mi ha mostrato la vulnerabilità dei giovani studenti, i quali tendono velocemente a credere di non essere portati per le materie scientifiche (STEM: Science, Technology, Engineering, Mathematics). Purtroppo quelli che più frequentemente si sentono tagliati fuori sono le donne e le persone di colore [7]. Non è difficile capire perché questi gruppi siano più vulnerabili rispetto ai maschi bianchi. Gli stereotipi che pervadono la nostra società su genere ed etnia sono radicati e trasmettono il messaggio che donne e persone di colore non sono portati per le materie scientifiche.
La seconda area degli studi neuroscientifici che ritengo essere più rivoluzionaria riguarda l’impatto positivo dello sforzo cognitivo. I ricercatori ora sanno che il momento in cui il cervello cambia e cresce maggiormente è quando le persone si trovano a lavorare su contenuti impegnativi, commettendo errori, correggendoli, superandoli, commettendo ulteriori errori, sempre lavorando in aree altamente stimolanti [8,9]. Gli insegnanti generalmente sono stati indotti a pensare che i loro studenti debbano dare sempre la risposta corretta e, quando li vedono in difficoltà, intervengono per salvarli dall’errore, scomponendo in problema in sottoproblemi e riducendo o rimuovendo completamente la richiesta cognitiva. Confrontando l’insegnamento in Giappone con il sistema statunitense è emerso che gli studenti giapponesi trascorrono il 44% del loro tempo “inventando, pensando e sforzandosi su concetti di base”, mentre gli studenti americani investono in questo tipo di attività solo l’1% del loro tempo [10]. C’è la necessità di cambiare il nostro approccio in classe, così che gli studenti abbiano più occasioni per sforzarsi cognitivamente; tuttavia gli studenti saranno a loro agio nel fare ciò solo se avranno imparato l’importanza e il valore della fatica e se, sia loro che l’insegnante, avranno rimosso l’idea che fare fatica sia un segno di debolezza. In una classe dove è consentito allo studente di sentirsi al sicuro anche nello sbagliare, e in cui viene dato valore alla condivisione anche di idee scorrette, gli studenti inizieranno ad affrontare la fatica che permetterà loro di sbloccare il percorso di apprendimento.
La terza importante dimostrazione che ci arriva dalle neuroscienze è la prova che, quando lavoriamo su un problema di matematica, sono coinvolte cinque diverse aree del cervello, incluse due che sono visive [11, 12]. Quando gli studenti riescono a creare connessioni tra queste regioni del cervello, vedendo, per esempio, un’idea matematica in numeri e in immagini, si sviluppano connessioni cerebrali più fruttuose e potenti. I ricercatori del Marcus Institute of Integrative Health hanno studiato il cervello di persone che sono considerate “pionieri” nei loro campi e li hanno confrontati con quelli di persone che non si sono invece distinte particolarmente nel loro lavoro. La differenza che hanno trovato tra i due gruppi di persone è notevole. I cervelli dei cosiddetti “pionieri” evidenziano più connessioni tra le diverse aree del cervello e una maggiore flessibilità nel loro modo di pensare[13]. Lavorare con domande chiuse o ripetere procedure, come facciamo comunemente nelle classi di matematica, non è un approccio che favorisce la creazione di connessioni neuronali. Nell’educazione matematica abbiamo fatto un disservizio ai nostri studenti appiattendo il nostro insegnamento su una sola dimensione. Uno degli aspetti più belli della matematica è la sua multidimensionalità, poiché le idee possono sempre essere rappresentate in molti modi, ad esempio con numeri, algoritmi, immagini, tabelle, modelli, movimenti e altro [14, 15]. Quando invitiamo le persone a fare gesti, disegnare, visualizzare o costruire con i numeri, creiamo opportunità per importanti connessioni cerebrali che non si formano invece quando affrontano solo numeri in forma simbolica.
Una delle implicazioni che derivano dalle prove di questa importante nuova scienza è che dovremmo tutti smettere di usare un linguaggio basato sulle abilità, dicendo agli studenti che hanno un “dono”, che “sono portati per la matematica” o che sono “intelligenti”. Questo è un cambiamento importante per insegnanti, professori, genitori – chiunque lavori con gli studenti. Nell’ascoltare questi elogi le persone inizialmente si sentono bene ma, quando poi si trovano difronte ad una difficoltà, iniziano a mettere in discussione le loro capacità. Se credi di avere un “dono” o di “essere portato per la matematica” e poi ti ritrovi a far fatica, quella fatica è devastante. Questo mi è stato ricordato mentre condividevo la ricerca sulla crescita cerebrale e il danno dell’assegnare “etichette” con i miei insegnanti in formazione a Stanford la scorsa estate, quando Susannah alzò la mano e disse: “Stai descrivendo la mia vita”. Susannah ha ricordato la sua infanzia quando era una delle migliori studentesse in matematica. Ha frequentato un programma per studenti dotati e le era stato detto spesso che era “portata per la matematica” e che aveva un talento speciale. Si è iscritta alla specializzazione in matematica presso la UCLA, ma nel secondo anno del programma ha frequentato un corso molto impegnativo che l’ha messa a dura prova. Fu in quel momento che decise che dopotutto non era “portata per la matematica” e abbandonò il corso di studi. Quello che Susannah non sapeva è che faticare è davvero importante per la crescita del nostro cervello e che avrebbe potuto sviluppare le connessioni celebrali di cui aveva bisogno per imparare più matematica. Se l’avesse saputo, e non le fosse stato trasmesso invece il messaggio che infine “non era portata per la matematica”, Susannah probabilmente si sarebbe sforzata e si sarebbe laureata in matematica. L’idea di essere o meno “portati per la matematica” è alla radice dell’ansia in questa materia che pervade la popolazione, ed è spesso la ragione per cui gli studenti rinunciano ad imparare la matematica alle prime esperienze di difficoltà. Susannah è una studentessa ad alto potenziale che ha sofferto dell’etichettatura ricevuta; è difficile stimare il numero di studenti che non hanno raggiunto il livello più alto a scuola e a cui è stata trasmessa l’idea che non avrebbero mai potuto fare bene in matematica. Questo tipo di messaggi hanno contribuito alla paura e all’antipatia diffuse per la matematica. [16]
Tutti noi stiamo continuamente imparando e le nostre vite sono piene di opportunità per creare nuove connessioni, con contenuti e con persone, e di migliorare così il nostro cervello. Il mio obiettivo nel diffondere le ricerche delle neuroscienze è quello di aiutare gli insegnanti a condividere l’importante conoscenza della capacità di crescita e della plasticità del nostro cervello e di insegnare la matematica come una materia creativa e multidimensionale che coinvolge tutti gli studenti. Perché è solo quando combiniamo messaggi di crescita positivi con un approccio multidimensionale all’insegnamento, all’apprendimento e al pensiero, che libereremo i nostri studenti da inutili etichette e dall’ansia per questa materia, e li renderemo liberi di imparare e apprezzare la matematica.
Jo Boaler
Questo articolo contiene estratti dal prossimo libro di Jo Boaler: “Limitless: Learn, Lead and Live without Barriers”, pubblicato da Harper Collins.
[1] Letchford, L. (2018) Reversed: A Memoir. Acorn Publishing.
[2] Boaler, J (2016) Mathematical Mindsets: Unleashing Students’ Potential through Creative Math, Inspiring Messages and Innovative Teaching. Jossey-Bass/Wiley: Chappaqua, NY.
[3] Maguire, E. A., Gadian, D. G., Johnsrude, I. S., Good, C. D., Ashburner, J., Frackowiak, R. S., & Frith, C. D. (2000). Navigation-related structural change in the hippocampi of taxi drivers. Proceedings of the National Academy of Sciences, 97(8), 4398-4403.
[4] Woollett, K., & Maguire, E. A. (2011). Acquiring “The Knowledge” of London’s layout drives structural brain changes. Current biology:CB, 21(24), 2109–2114.
[5] Doidge, N. (2007). The Brain That Changes Itself. New York: Penguin Books,
[6] Park, D. C., Lodi-Smith, J., Drew, L., Haber, S., Hebrank, A., Bischof, G. N., & Aamodt, W. (2013). The impact of sustained engagement on cognitive function in older adults: the Synapse Project. Psychological science, 25(1), 103-12.
[7] Leslie, S.-J., Cimpian, A., Meyer, M., & Freeland, E. (2015). Expectations of brilliance underlie gender distributions across academic disciplines. Science, 347, 262-265.
[8] Coyle, D. (2009). The Talent Code: Greatness Isn’t Born, It’s Grown, Here’s How. New York: Bantam Books;
[9] Moser, J., Schroder, H. S., Heeter, C., Moran, T. P., & Lee, Y. H. (2011). Mind your errors: Evidence for a neural mechanism linking growth mindset to adaptive post error adjustments. Psychological science, 22, 1484–1489.
[10] Stigler, J., & Hiebert, J. (1999). The teaching gap: Best ideas from the world’s teachers for improving education in the classroom. New York: Free Press.
[11] Menon, V. (2015) Salience Network. In: Arthur W. Toga, editor. Brain Mapping: An Encyclopedic Reference, vol. 2, pp. 597-611. Academic Press: Elsevier;
[12] Boaler, J., Chen, L., Williams, C., & Cordero, M. (2016). Seeing as Understanding: The Importance of Visual Mathematics for our Brain and Learning. Journal of Applied & Computational Mathematics, 5(5), DOI: 10.4172/2168-9679.1000325
[13] Kalb, C. (2017). What makes a genius? National Geographic, 231(5), 30-55.
[14] https://www.youcubed.org/tasks/
[15] Boaler, J. (2016) Mathematical Mindsets: Unleashing Students’ Potential through Creative Math, Inspiring Messages and Innovative Teaching. Jossey-Bass/Wiley: Chappaqua, NY.
[16] Boaler, J. (2019). Limitless: Learn, Lead and Live without Barriers.
Salve, complimenti per l’articolo. Vi suggerisco il nome di una studiosa che sostiene idee perfettamente sovrapponibili a quelle di Boaler, Carol Dweck, che parla di growth mindset invece di fixed mindset (il “dono”). Lei è una psicologa cognitiva che arriva alla stessa conclusione da una strada un po’ diversa (ma non tanto)
Il modello di insegnamento della matematica che ho sviluppato e sto sperimentando si fonda anche sul pensiero di Carol Dweck…alcuni esempi sono presenti nel mio romanzo La radice quadrata della vita
Jo Boaler: “Limitless: Learn, Lead and Live without Barriers”, pubblicato da Harper Collins. Ho appena letto gli estratti su questo sito.
Sarebbe molto bene che questo libro avesse un editore italiano: personalmente ho contatti con la Erickson, ma sinceramente non so se questo editore possa essere interessato. Ci sono già proposte editoriali?
Adalinda Gasparini
Le evidenze scientifiche alla base di questo articolo corrispondono a fatti empirici che appartengono ad una diffusa esperienza nel confronto con l’impegno, la fatica e la difficoltà nel processo di apprendimento: ovvero che confrontarsi con i limiti superiori delle proprie competenze e abilità, migliora tanto le une che le altre. Il vero limite è proprio la standardizzazione dei percorsi educativi e l’inadeguata preparazione degli insegnanti (a loro volta vittime dello stesso processo di formazione). Un cambio di paradigma pedagogico che l’articolo di Mrs Boaler centra in pieno.
Personalmente, ho sempre amato la matematica. Questo amore e passione mi fu trasmesso in particolar modo da un professore delle scuole medie.
Sono felice che le neuroscienze ci stanno venendo in aiuto, anche nel campo della psichiatria, della fisioterapia confermando la neuroplasticita’ del nostro cervello.
Ancora con questa cosa che Einstein andava male in matematica a scuola, ma è una fake news
L’autore non dice che Einstein era un disastro in matematica, ma è vero che ebbe un messaggio negativo dalla scuola. Dagli Einstein Archives della Hebrew University of Jerusalem:
“After one year of homeschooling, Albert was sent to primary school, entering second grade already at age 6 1/2. He may not easily have accommodated himself to the school’s expected mindless obedience and discipline aimed at instilling authoritarian civic virtues. Unable – or unwilling – to provide quick automatic responses, the boy was considered only moderately talented by his teachers.”
http://www.albert-einstein.org/article_handicap.html