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Il 30 settembre scorso è morto Vladimir Voevodsky, ne abbiamo parlato qui. Luca Barbieri Viale, ha scritto un post nel suo blog in cui riflette su questa perdita. Lo ripubblichiamo con il permesso dell’autore.

La morte di Vladimir Voevodsky a soli 51 anni segna un passo, una dolorosa drammatica perdita, non solo per la scienza. Non solo perdiamo un eminente scienziato, ma come sempre accade per una mente libera, per un vero intellettuale, che sia artista o scienziato, perdiamo uno sguardo sul mondo che ci ha stupito, facendoci vedere l’invisibile. Uno sguardo che ci rivitalizza, rendendoci vivi in quanto esseri vedenti, perdiamo un visionario.

Perdiamo un matematico veramente straordinario, che ha saputo oltrepassare l’immaginazione di molti, ripartendo da semplici concetti elementari per sviluppare nuove eleganti teorie astratte, che ha però anche saputo mostrare essere essenziali per comprendere e risolvere problemi concreti. Come afferma Robbert Dijkgraaf, attuale direttore dell’Istitute of Advanced Studies di Princeton, USA, dove Voevodsky ha trascorso gran parte della sua vita di ricercatore in totale libertà: “Il progresso della nostra età moderna e del mondo di domani dipende non solo dall’esperienza tecnica, ma anche dalla curiosità libera e dai benefici – e dai piaceri – di viaggiare a monte, contro le attuali considerazioni pratiche”. Come inoltre si legge nella presentazione del libro The Usefulness of Useless Knowledge di Abraham Flexner e Robbert Dijkgraaf, “la ricerca di risposte a domande profonde, motivata esclusivamente da curiosità e senza preoccupazione per le applicazioni, spesso porta non solo alle più grandi scoperte scientifiche ma anche alle più innovative rivoluzioni tecnologiche. Insomma, nessuna meccanica quantistica, nessun chip di computer.”

Proprio Voevodsky rappresenta un esempio emblematico di questa curiosità rivoluzionaria. Infatti, dopo aver mostrato come la teoria dell’omotopia algebrica sia un fertile ingrediente nella comprensione di quella teoria dei motivi presagita da Grothendieck, Voevodsky, nell’ultima parte della sua vita, si dedica ad una teoria che permette di fondare l’intera matematica sul concetto di omotopia, la Fondazione Univalente. Nelle opinioni di molti, anche eminenti matematici, si è radicata la convinzione che la vera scienza, la vera matematica, sia quella che guarda alle applicazioni o che permette di risolvere problemi insoluti da tempo: è vero proprio il contrario!

Non vi sono problemi difficili che non siano diventati semplici una volta che ci sia il modo giusto di porli, una volta che si sia trovato il linguaggio naturale in cui parlarne ed esporli. La storia della scienza ci insegna questo da Darwin ad Einstein, da Leibniz a Galois. Certamente, l’esercizio della destrezza e della furbizia nel risolvere problemi è l’addestramento dell’intelligenza ma non esaurisce affatto le nostre migliori capacità intellettive. L’assioma di univalenza di Voevodsky, nell’ambito appunto della fondazione univalente, esprime il concetto che “l’identità è equivalente all’equivalenza”. Questo semplice assioma è un capolavoro d’intelligenza. Il fatto stesso che non fosse ancora stato espresso e compreso in un linguaggio formalizzato ha dell’incredibile. Rappresenta una scoperta di un percorso a ritroso, che scava in profondità e fa nuovamente emergere la semplicità nascosta dell’originalità, di ciò che è originale. Con questa scoperta, Voevodsky ci ha nuovamente mostrato il successo della matematica quale metodo d’indagine filosofico, rivelando un nuovo linguaggio nel quale esprimere e districare mondi futuri.

Luca Barbieri Viale

Apparso originariamente nel Blog Sporadico

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Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths! e Comics&Science.

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