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In occasione del giorno della memoria, Nicola Ciccoli ha scritto quattro quadretti di matematici scomparsi in conseguenza della Shoah. Questa è la storia di Jacques Feldbau.
Scopri gli altri quadretti sulla pagina della Memoria della Shoah.

Camminare in una calda mattina di Giugno, nella luce fioca dell’alba, per andare a prendere i fogli necessari a completare la propria tesi di dottorato: se non è questo il momento in cui parlare di speranza quale allora? Certo, pensa Jacques, sembrerebbe impossibile doversi sentire pieni di speranza adesso, con i nazisti che li hanno prima obbligati a trasferirsi a Clermont-Ferrand e ora controllano ogni minimo respiro nella città. Ma finirà, ne è sicuro. Le notizie di ritirate dei tedeschi sia in Russia che in Nord Africa anche se non ufficiali, passano di bocca in bocca tra i suoi amici. E quindi è facile sperare che ci sia un domani in cui questi anni saranno solo un brutto ricordo. Chissà quando potrà riprendere a pubblicare articoli a suo nome e lasciar da parte quel ridicolo finto cognome, Laboreur, quando finalmente anche loro ebrei potranno riprendere a fare gli scienziati? Un giorno, ne è convinto, potrà tornare a fare sport, a nuotare, lui che è stato campione universitario dei 200 farfalla. Un giorno potrà procurarsi quei libri di cui Ehresmann gli racconta meraviglie e come lui andare Princeton, e parlare di persona con tutti quei matematici che ha sentito solo nominare. Ascoltarli e imparare. Ma anche dire la propria. È molto contento, Ehresmann, dei loro risultati sull’omotopia dei fibrati, in particolare sui fibrati sferici, e quando la vita non sarà più limitata a sfuggire alla Gestapo, finalmente potrà dedicare alle sue ricerche il tempo che meritano. Finalmente potranno parlare di matematica alla luce del sole. Un giorno, finalmente, riprenderà a suonare il piano.

Non si aspetta che l’antisemitismo scompaia del tutto, no, non è così illuso. In fondo non c’erano i nazisti quando non si è potuto iscrivere alla Ecole Normale perché l’esame d’ingresso era di Sabato. Ha voluto mantenere i suoi principi. Ma ha dimostrato che non era impossibile arrivare a un dottorato e restare fedele a se stesso. Questa mattina, in quest’alba piacevolmente tiepida, non vede ragione per non coltivare un moderato ottimismo.

Jacques non sa che proprio quella notte la Gestapo ha deciso di vendicare l’uccisione di due suoi agenti da parte di uno studente universitario membro della Resistenza francese. Non sa che è in corso quella che passerà alla storia come la Grande Retata di Clermont-Ferrand, che già 37 studenti sono nelle mani della polizia che ha fatto irruzione alle due di notte nello studentato e che gli uomini della Gestapo ora aspettano, comodamente seduti, che qualche altro ragazzo si presenti, ignaro, a quell’indirizzo. È quello che fa Jacques, appunto, e nelle prime ore del mattino il suo arresto si aggiunge a quello degli altri. Pochi giorni dopo sono già tutti su vagoni in viaggio per i campi di concentramento in Germania. Dieci di loro arriveranno già morti. Il viaggio di Jacques, però, sarà più lungo e non finisce in Germania. Il 10 Ottobre del 1943 attraversa i cancelli di Auschwitz.

Camminare in una gelida mattina di Gennaio, nella luce fioca dell’alba, per andare chissà dove; se non è questo il momento in cui parlare di disperazione, quale allora? Non pensa più “sono ancora vivo” Jacques, che nella sua mente c’è solo posto per fame, freddo, stanchezza. Li hanno radunati velocemente e velocemente si è sparsa la voce che abbandonavano il campo. Per dove? Nessuno lo sa. Sanno che questo vuol dire che i tedeschi stanno perdendo la guerra. Ma il pensiero del freddo è più forte che quello del futuro. È il Gennaio del 1945 e Jacques è sopravvissuto dietro quei cancelli per sedici eterni mesi e il freddo più duro da sopportare è quello che nasce dal pensiero dell’elenco infinito di persone che ha visto morire. Chissà se sono più dei passi che lo aspettano. 570 chilometri percorsi a piedi fino al campo di Flossenburg. Difficile pensare di percorrerli in buona salute e con un clima decente. Invece quando parte è già uno scheletro e in pigiama e attorno a loro c’è solo neve. Sopravvive anche a questo. Forse grazie alle energie residue del fisico da atleta, forse perché è semplicemente destino. Muore a Flossenburg quando mancano solo 20 giorni alla fine della guerra. Di consunzione. Quella speranza è stata spremuta dalle sue ossa fino a esaurirla. Molti muoiono anche dopo la fine della guerra, non illuda quella vicinanza, la natura non può fare sconti. Passerà un po’ di tempo prima che qualcuno si chieda chi sia quel Jacques Laboreur che negli anni ’40 scriveva articoli sull’omotopia dei fibrati. Poi, lentamente, dalla nebbia della storia, riprenderà il suo posto Jacques Feldbau.

Nicola Ciccoli

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