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La settimana scorsa è stato annunciato che il Premio Crafoord in Matematica, che viene assegnato annualmente dall’Accademia Reale Svedese delle Scienze in collaborazione con la Fondazione Crafoord di Lund, è stato vinto quest’anno da Enrico Bombieri. Abbiamo chiesto a Luciano Modica di raccontarci questo grande matematico attraverso i ricordi di una lunga conoscenza. 

Nel novembre del fatidico ‘68 le matricole di matematica dell’Università di Pisa che andarono alla prima lezione di analisi 1 si trovarono di fronte un docente che non corrispondeva per nulla allo stereotipo (soprattutto di allora!) del professore universitario: un giovane di pochi anni più grande di loro, per giunta con quella espressione perennemente giovanile tipica di tanti matematici, vestito in modo informale, voce molto educata senza alcuna cadenza, anche se di tanto in tanto si poteva cogliere qualche leggera eco milanese dell’importante famiglia di origine, mescolata con sfumature toscane per gli anni di liceo trascorsi nell’amata Montepulciano e britanniche per il percorso dottorale trascorso a Cambridge sotto la guida di Harold Davenport.

Era Enrico Bombieri. Aveva vinto il concorso a professore ordinario a venticinque anni, nel 1965, ed era stato chiamato a Cagliari. Dopo solo un anno il rettore dell’Università di Pisa, il matematico Alessandro Faedo, l’aveva voluto nell’ateneo toscano, appena in tempo … per vederlo partire per il servizio militare, allora obbligatorio! Cosicché quel corso di analisi 1 era il primo corso che Bombieri teneva a Pisa. Certo, appena il corso iniziò e il nuovo professore cominciò a spiegare i concetti dell’analisi con stile perfetto, chiaro, sintetico, senza fronzoli né sbavature, noi studenti ci rendemmo conto che avevamo di fronte un matematico super. Tra l’altro riempiva ordinatamente la lavagna con una scrittura altrettanto chiara e sintetica ma dal segno grafico molto raffinato, tanto che non pochi si scoprirono presto a imitarla inconsapevolmente sui loro appunti e magari alcuni di loro la imitano tuttora, più di cinquant’anni dopo.

Era comunque un corso di forma e contenuti tradizionali, con poche concessioni all’approccio topologico allora così in voga a Pisa e non solo. Ma con un’evidenziazione molto precisa dei risultati davvero fondamentali dell’analisi 1, ben distinti da quella congerie di piccoli teoremi, necessari ma di routine. Ricordo ancora oggi la lezione sulla formula di Taylor, che Bombieri iniziò citando il “suo professore”: quando gliel’aveva spiegata – ci disse – aveva commentato che riteneva questa formula talmente importante per tutta la matematica che quella lezione avrebbe meritato la presenza di riflettori da teatro che illuminassero la lavagna mettendo al centro della scena questa protagonista assoluta e la sua dimostrazione. E lui lo ripeteva a noi, per lo stesso motivo. E non so quante volte io ho ripetuto identica questa gag ai miei studenti… La lezione si concluse con un suo tipico fuoco d’artificio matematico. Con lo sguardo concentrato di chi sta facendo rapidi calcoli aritmetici a mente e un sorriso sornione sulle labbra, scrisse alla lavagna una complicata composizione di funzioni razionali, trigonometriche, esponenziali e logaritmiche e ne calcolò a mente la derivata sesta nell’origine sfidando gli studenti a fare altrettanto ma, soprattutto, a capire come avesse fatto. Rimanevamo estasiati.

In men che non si dica, girarono tra gli studenti tipiche voci vagamente mitiche su di lui. Che da bambino aveva abitato a Milano nello stesso condominio di un professore universitario di matematica, Giovanni Ricci, che lo aveva guidato, ancora dodicenne, alla lettura di libri e articoli avanzati della teoria dei numeri, tanto che il suo primo articolo di ricerca in questo campo lo aveva pubblicato a soli sedici anni, da studente di liceo, diventando in poco tempo uno dei più reputati esperti al mondo nella “regina della matematica”, per dirla con l’aforisma di Gauss. Che era in grado di muoversi con estrema originalità e grande capacità dimostrativa in ogni campo della matematica, dall’analisi all’algebra e alla geometria. Che era orgogliosamente ispettore del Club di Topolino, persino. Ma soprattutto che in quell’anno, unendo i suoi sforzi a quelli di Ennio De Giorgi, un altro mostro sacro della matematica, e di Enrico Giusti, erano riusciti ad averla vinta su un problema su cui si erano lambiccati la mente per decenni senza successo i migliori matematici del mondo: il Problema di Bernstein.

Di che si tratta? La curvatura media di una superficie esprimibile come grafico di una funzione si scrive in termini delle sue derivate parziali prime e seconde. Quindi i grafici a curvatura media nulla (che si può dimostrare che minimizzano l’area a parità di contorno) corrispondono alle soluzioni di un’equazione alle derivate parziali (non lineare) del secondo ordine che è chiamata “equazione delle superfici minime non parametriche”. Il matematico russo Sergej Natanovich Bernstein aveva dimostrato nel 1915 che le uniche soluzioni di questa equazione definite sull’intero piano sono le funzioni lineari affini, che è come dire che gli unici grafici minimi globali sono i piani. L’estensione di questo bellissimo teorema a spazi a dimensione maggiore di due aveva appunto sfidato i matematici per mezzo secolo. Solo nel 1962 il matematico americano Wendell H. Fleming era riuscito a trovare, per mezzo della teoria delle correnti (generalizzazione della teoria delle distribuzioni di Laurent Schwartz), una nuova dimostrazione del teorema di Bernstein che sembrava adatta ad estenderlo in dimensioni maggiori. Infatti due anni dopo De Giorgi, con una straordinaria idea analitica e geometrica, estese finalmente il teorema di Bernstein alla dimensione n=3, seguito da Frederick J. Almgren (n=4) e James H. Simons (n=5,6,7) per tutte le dimensioni minori di otto. Ma in questa particolare dimensione n=8 la presenza di un cono “sospettato” di essere una superficie minima, individuato da Simons nel 1968, induceva ad essere guardinghi sulla possibilità di un’ulteriore estensione del teorema di Bernstein. Ebbene il celebrato articolo di Bombieri, De Giorgi, Giusti [1 ]E. Bombieri, E. De Giorgi, E. Giusti, Minimal cones and the Bernstein problem. Invent. Math. 7 (1969) 243-268 dimostrò in quello stesso anno che non solo il cono di Simons era effettivamente una superficie minima ma offrì anche un controesempio alla validità del teorema di Bernstein in dimensione otto o più.

Facile immaginare le facezie che giravano tra gli studenti di matematica su questi loro professori in grado di “vedere” nello spazio a otto dimensioni (anzi a nove perché un grafico otto-dimensionale si ambienta in dimensione nove) una situazione che non si presenta in nessuna dimensione inferiore! Più seriamente, si può trovare una calorosa cronaca personale di quell’impresa matematica – che descrive bene e dà il sapore del lavoro di un matematico che fa ricerca – in un articolo che Enrico Giusti ha pubblicato nel volume “Matematica e Cultura 2004” della serie curata per Springer da Michele Emmer [2 ]Ricordo di Ennio De Giorgi. In “Matematica e cultura 2004”, (a cura) di M. Emmer, ed. Springer, 2004, pp. 3-8. Una storia matematica del Problema di Bernstein più completa di quella accennata qui può invece essere trovata nel volume “Il teorema più bello” curato da Carlo Petronio e da chi scrive nel 2018 [3 ]L. Modica, Il teorema di Bernstein, in “Il teorema più bello”. Ciclo di seminari a cura di Luciano Modica e Carlo Petronio, Pisa University Press, 2018, pp. 1-20.

La fama di Bombieri diventò sempre maggiore e lo teneva fuori da Pisa per lunghi periodi. Fu quindi con qualche dubbio che gli chiesi di farmi da relatore per la tesi di laurea, optando non per la sua specialità principale della teoria dei numeri (che ritenevo troppo ardua per me) ma per un tema che legava insieme analisi complessa in più variabili e teoria delle correnti, su cui aveva scritto uno splendido articolo che trattava dei valori algebrici delle funzioni meromorfe e che, in uno straordinario addendum [4 ]E. Bombieri, Addendum to my paper: “Algebraic values of meromorphic maps” (Invent. Math. 10 (1970), 267-287). Invent. Math. 11 (1970), 163-166, permetteva di ritrovare per questa via inusuale un risultato di parziale regolarità simile a quello di De Giorgi per le superfici di area minima.

Entrai dunque esitante nel suo studio all’Istituto di Matematica. Il tavolo, come quelli di gran parte dei matematici, era ingombro all’inverosimile di carte ammucchiate alla bell’e meglio, ma sulla parete spiccava appeso il famoso diploma di ispettore del Club di Topolino di cui si era favoleggiato da matricole, il che giovò a rinfrancarmi. La tesi poi andò bene e fu una bellissima esperienza, ma il mio relatore volava matematicamente sempre più in alto e infatti, solo due anni dopo, fu il primo italiano a vincere la Medaglia Fields, insignito insieme all’algebrista David B. Mumford. La laudatio che tenne allora K.S.Chandrasekharan [5 ]K.S. Chandrasekharan, The work of Enrico Bombieri. Proceedings of the International Congress of Mathematicians (Vancouver, B. C., 1974), Vol. 1, pp. 3-10. Canad. Math. Congress, Montreal, Quebec, 1975 descrive bene la varietà e profondità degli interessi matematici di Enrico Bombieri e la sua eccezionale acutezza dimostrativa. Aveva solo 34 anni. Dopo un breve passaggio come professore alla Scuola Normale di Pisa, fu chiamato all’Institute for Advanced Study di Princeton (l’istituto di Einstein, Gödel, von Neumann…) dove è rimasto da allora fino a oggi. Propose a me e ad altri giovani laureati di seguirlo in USA ma io non potei e così passai nell’orbita di un’altra stella pisana, Ennio De Giorgi. Però molti anni dopo, da rettore dell’Università di Pisa, fui felice che per il primo dottorato di ricerca honoris causa conferito dal mio ateneo fosse prescelto proprio Enrico Bombieri.

Nel 2020 Bombieri ha coronato la sua splendida carriera con l’importantissimo Premio Crafoord. Se la Fields Medal è una sorta di Nobel alla bravura di matematici giovani, il Crafoord Prize lo è all’intera carriera di un matematico. Quarantaquattro anni dopo Bombieri, un altro italiano trentaquattrenne, Alessio Figalli, ha recentemente vinto la Medaglia Fields. Curiosamente, una delle migliori esposizioni reperibili sul Problema di Bernstein si trova proprio nella tesi di laurea (triennale!) di Figalli. Quasi un passaggio di testimone. La matematica italiana ne può essere orgogliosa.

Luciano Modica
Università di Pisa

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Note e riferimenti

Note e riferimenti
1 E. Bombieri, E. De Giorgi, E. Giusti, Minimal cones and the Bernstein problem. Invent. Math. 7 (1969) 243-268
2 Ricordo di Ennio De Giorgi. In “Matematica e cultura 2004”, (a cura) di M. Emmer, ed. Springer, 2004, pp. 3-8
3 L. Modica, Il teorema di Bernstein, in “Il teorema più bello”. Ciclo di seminari a cura di Luciano Modica e Carlo Petronio, Pisa University Press, 2018, pp. 1-20
4 E. Bombieri, Addendum to my paper: “Algebraic values of meromorphic maps” (Invent. Math. 10 (1970), 267-287). Invent. Math. 11 (1970), 163-166
5 K.S. Chandrasekharan, The work of Enrico Bombieri. Proceedings of the International Congress of Mathematicians (Vancouver, B. C., 1974), Vol. 1, pp. 3-10. Canad. Math. Congress, Montreal, Quebec, 1975
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