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“Il sesto congresso europeo di matematica si tiene i primi di luglio a Cracovia, dove atterro la domenica della fi nale degli europei dopo un volo piuttosto turbolento e uno tranquillo. Quando arrivo in albergo a fine serata non sta andando a ffatto bene per noi, ma resisto davanti al televisore della mia camera fino alla stanca e triste conclusione”… il reportage del nostro “inviato speciale”  Camillo De Lellis.

 

Camillo De Lellis è un matematico italiano molto noto per per i suoi brillanti risultati, questa è la sua pagina web (perché stranamente non è la prima uscita che trovate digitando il suo nome su Google…). I lettori di Maddmaths! lo conoscono per un’intervista di qualche tempo fa. Questa volta si traveste da reporter e ci racconta il suo punto di vista sull’ultimo convegno europeo di matematica a Cracovia (e sì, ne aveva già parlato dopo l’estate Elisabetta Strickland). Chi volesse scaricare il PDF del reportage di Camillo per leggerlo con calma può farlo cliccando qui: scarica “Un matematico va al Congresso” di Camillo De Lellis.

 


Un matematico va al congresso

di Camillo De Lellis


È una giornata d’aprile, bella e tiepida per quanto consenta il clima della zona in cui vivo. Un’influenza mi impedisce il duro lavoro intellettuale che solitamente mi dà il pane, ma non resisto comunque al rito della posta elettronica. Nell’Inbox c’è un messaggio di Roberto, che mi propone di scrivere qualche pagina sul sesto European Congress of Mathematics per il sito di “MADDMATHS!”. Dovrei rifiutare, ma l’influenza mi ottunde e mi gioca un brutto scherzo. Piú onestamente credo sia colpa del mio ego: il modello di Roberto “sarebbero i reportage di Wallace per Harpers magazine” e si rivolge a me perché sa che “sono un lettore” ed è “sicuro che scrivo bene”. Qualche giorno dopo mi rendo conto che posso solo coprirmi di ridicolo, ma nei cinque mesi trascorsi dal congresso tutti i miei tentativi di svicolare sono andati a vuoto. Roberto non molla ed eccomi qui a scrivere il “reportarge dall’interno” (parole di Roberto, come in tutti gli altri virgolettati di questo paragrafo).

Il sesto congresso europeo di matematica si tiene i primi di luglio a Cracovia, dove atterro la domenica della finale degli europei dopo un volo piuttosto turbolento e uno tranquillo. Quando arrivo in albergo a fine serata non sta andando affatto bene per noi, ma resisto davanti al televisore della mia camera fino alla stanca e triste conclusione.

La mattina della prima giornata iniziamo con la solita cerimonia di apertura dei congressi di queste dimensioni, che per fortuna questa volta è decisamente sobria. Le autorità si astengono dai tipici noiosi e triti discorsi, l’unico neo del cerminoniere è che non può astenersi dal ricordarci la Spagna fresca vincitrice degli Europei di Calcio. Ho paura che sia solo la prima di una lunga serie di simili osservazioni e invece no, il resto della settimana non mi riserva neanche un semplice sfottò, sembra che siano tutti troppo contenti che l’Italia abbia eliminato la Germania. Alla cerimonia d’apertura segue la consegna dei premi e tra i premiati ci sono Alessio Figalli e Corinna Ulcigrai, che conosco fin da quando erano ragazzi (Alessio avrà avuto 16 anni la prima volta che l’ho incontrato a uno dei corsi estivi delle Olimpiadi della Matematica). Non posso non sentire un certo orgoglio, visto che sono passati tutti e due da Pisa, come me. Devo proprio aggiungere che nessuno dei due è in Italia? La generosità del nostro paese è stupefacente: i tanti, ottimi, giovani scenziati che le nostre università formano con fatica li cediamo munificamente al resto del mondo.

Il congresso si tiene in un palazzetto ultramoderno, la sala principale è fatta davvero bene e, nonostante le dimensioni, l’acustica è impeccabile. Nel programma molti contributi che vertono su temi analoghi sono previsti in contemporanea ed è troppo sistematico per non tradire una chiara intenzione degli organizzatori. Probabilmente vogliono incentivare i partecipanti a seguire anche conferenze di cui non sono esperti, ma l’impressione è che la strategia non abbia funzionato a dovere e alcune delle grandi aule sembrano, malinconicamente, un po’ vuote. Decido che nei prossimi giorni asseconderò gli organizzatori e salterò molte conferenze di chi conosco bene, per lasciarmi soprendere da qualcuno che non conosco affatto. Quindi non andrò a sentire né Alessio né Benjamin Schlein, i due amici con cui dividerò la quasi totalità delle cene; ma in un caso me ne pento, perché la conferenza che scelgo non è all’altezza: è una classica “lista-della-spesa”.

Le conferenze che chiamo liste-della-spesa consistono di un lungo elenco di svariati risultati, cosí fitto che lascia poco o nulla a commenti e idee. Anche se in alcuni casi possono dare un’utile panoramica su cosa sta succedendo in un certo settore, è improbabile che le liste-della-spesa riscuotano piú di qualche sbadiglio davanti a una platea variegata. Sono però una tentazione a cui è difficile resistere e uno dei conferenzieri della prima giornata, un matematico esperto che, mi dicono, sa come coinvolgere la platea, ci cade in pieno. Deve essere fuori forma perché oltre a risultare piuttosto noiosa e (credo) incomprensibile a chi non ha una certa familiarità con la materia, la sua lezione finisce per essere un compendio degli errori da evitare accuratamente, a partire dal piú banale: un carattere troppo piccolo che dalla terza fila non si legge già piú.

La prima giornata ha il suo acuto nella lezione di Simon Brendle. Non è una delle conferenze più belle che gli abbia sentito fare, ma si tratta comunque della soluzione di una famosa congettura di Lawson degli anni Settanta, sull’unicità del toro di Clifford quale superficie minima di genere uno embedded in \(\mathcal S^3\). Simon è ormai abbonato a risultati di questo tipo. Curiosamente il 2012 è stato l’anno del toro di Clifford, con la soluzione di un’altra celebre congettura che lo riguarda, la congettura di Willmore. Probabilmente l’unica critica seria che posso muovere al congresso di Cracovia è che nessuno dei due brillanti solutori, André Neves e Fernando Codá Marques, è presente. Fernando è brasiliano e lavora all’IMPA di Rio, ma è difficile immaginare un’occasione migliore per invitare André, che è portoghese e professore all’Imperial college. A difesa degli organizzatori va detto che la soluzione della congettura è apparsa a marzo, quando probabilmente il programma del congresso era già stato deciso; tra l’altro è un malloppo di un centinaio di pagine. La soluzione di Simon della congettura di Lawson è, invece, sorprendentemente breve.

Nel primo giorno ho subito occasione di farmi un’idea della città. Cracovia è effettivamente bella: lo si dice sempre, ma in questo caso è vero. Il centro storico lo è in modo convenzionale e purtroppo è parzialmente rovinato dal turismo di massa. Ogni sera, mentre cerchiamo un posto in cui cenare, ci vengono offerti biglietti per svariati strip club, corredati da commenti in italiano sulla bontà dell’intrattenimento (un tizio cita il Bunga-Bunga, tristemente celebre anche qui); decido che è l’aspetto equivoco dei miei amici a catalizzare le offerte. Il resto della città ha cose meno convenzionali da offrire, in particolare quell’atmosfera da Europa orientale che non so ben definire, ma che si avvale anche del fascino dei piú deleteri prodotti architettonici del socialismo reale.

Nel pomeriggio del secondo giorno mi trovo a seguire una delle lezioni più interessanti di tutto il convegno, tenuta da Martin Hairer, un probabilista austriaco che lavora a Warwick. Ho sentito parlare di Hairer in diverse occasioni con toni assolutamente lusinghieri e ho anche avuto l’opportunità di assistere a una sua lezione durante un convegno del SIAM. Non ero stato però particolarmente attento perché il mio intervento era subito dopo il suo. Questa volta non ho scuse e posso godermi tutta la conferenza; è l’esatto contrario di una lista-della-spesa ed è incentrata su un suo risultato recente, che a un profano come me sembra basarsi su una serie impressionante di idee nuove e interessanti. Lo stesso pomeriggio mi riserva anche uno dei punti più bassi del convegno: un intervento a “parte interna vuota”. Il conferenziere decide di fare solo intrattenimento e forse ha ragione, visto che è la fine della giornata, ma dietro (almeno secondo me) non c’è il necessario supporto matematico. Allora preferisco la lista della spesa, se le voci sono della qualità necessaria.

Il mercoledí è la giornata dei giganti, con tre conferenze per cui sarei tentato di usare l’aggettivo “epiche”, se non suonasse cosí stucchevolmente melodrammatico. La prima la tiene Talagrand, un celebre probabilista francese, uno di quei nomi che senti ripetere con reverenza in talmente tante occasioni che cominci a sospettare che non si tratti di una persona in carne e ossa. È la prima volta che lo vedo e ho deciso di andare a sentirlo nonostante le voci poco incoraggianti (riassumendo l’opinione di alcuni amici, non si capirà un accidenti): nella peggiore delle ipotesi conto di poter associare una faccia a un nome. La sua presentazione è invece bellissima: chiara, coinvolgente, con la giusta dose di humour. Francamente mi sarei sentito fuori posto a parlare dopo Talagrand e non invidio Cristopher.

Anche se il nome Cristopher Hacon non lo lascia sospettare, il secondo conferenziere è un nostro connazionale e, nonostante i tanti anni trascorsi all’estero, nel suo italiano si sente ancora un inequivocabile accento pisano. Anche lui è passato da Pisa, anche lui non è in Italia, perché ha lasciato il paese subito dopo la laurea e si è dottorato negli Stati Uniti. Da studente conoscevo molto bene suo fratello, che ha studiato fisica (“ah, ma è quello che assomiglia a Kurt Cobain” è il commento di un’amica a cui tentavo di far capire chi fosse Johnny Hacon). Cristopher smentisce il credo di tanti matematici: è inutile andare a una conferenza di geometria algebrica se non sei un geometra algebrico, perché non capirai neanche di cosa si sta parlando. Onestamente Cristopher non è accattivante come Talagrand, che ha potuto contare su problematiche indubbiamente piú intuitive e semplici da formulare. Però fa una bella lezione, accessibile a chiunque abbia un’infarinatura decente, anche se un po’ arrugginita, su un argomento che ha l’indubbio fascino dei classici: la classificazione della varietà algebriche. Si sente un grande respiro; mi sembra che Cristopher sia entrato nella storia della matematica, con dei teoremi che saranno ancora lí tra anni e anni. È l’impressione di un profano, ma non credo di sbagliarmi. Mi consolo pensando che comunque lui non assomiglia affatto a Kurt Cobain, tutto sommato c’è un po’ di giustizia in questo mondo.

Se sono un profano nelle materie delle due conferenze appena citate, per la terza non è cosí. Dai primi anni del dottorato fino ad oggi ho sudato per parecchie ore sugli scritti di Vladimir Šverak e non me ne sono mai pentito: una discreta parte dei miei lavori piú apprezzati ne sentono l’influenza. Vladimir si è occupato di alcune questioni fondamentali del calcolo delle variazioni e sulle equazioni alle derivate parziali, per la maggior parte motivate da famosi problemi della fisica matematica. Molti dei suoi lavori contengono, ad oggi, i risultati piú significativi e profondi nel corrispettivo ambito di ricerca, ogni volta raggiunti grazie a un punto di vista nuovo, a una connessione inaspettata tra gli argomenti piú disparati. L’originalità delle sue idee colpisce anche nei primissimi articoli che ha scritto e ho perso il conto delle volte in cui mi sono chiesto “ma come diavolo gli è venuto in mente”? E come tante idee profonde della matematica, i punti di vista innovativi di Vladimir diventano, dopo un po’, quelli piú “naturali”. Cosí mercoledí pomeriggio ho violato la mia promessa di sacrificare il noto (a me) a favore dell’ignoto. Ne è valsa la pena perché Vladimir, come al solito, ha fatto una conferenza ispirata: manco a dirlo, un nuovo punto di vista su un problema classico.

Il giovedí nella prima mattinata il congresso tocca il fondo, è il mio turno. A parte Maria, la mia chairman, che al primo secondo fuori tempo massimo mi toglierà la parola, non ho altri motivi per preoccuparmi perché nella platea mancano i due che potrebbero smentirmi. Uno è László Székelyhidi, il compagno di battaglie con cui ho scritto tutti i miei lavori che menzionerò oggi. Alla fine del 2006 ci siamo accorti di una cosa curiosa: alcuni “mostri” della letteratura delle equazioni differenziali alle derivate parziali, che fino ad allora occupavano un posto particolare, si possono spiegare in modo semplice ed elegante con l’h-principio, un concetto introdotto da Gromov per riunire alcuni tra i piú sconcertanti fenomeni della geometria differenziale, come il “paradosso” di Nash-Kuiper. La sorpresa sta nel fatto che i mostri sono soluzioni delle equazioni di Eulero, un classico sistema della fluidodinamica incomprimibile. Cito Gromov piú volte, in particolare una sua frase sull’improbabilità che l’h-principio si possa applicare a delle equazioni della fisica matematica, cosa che io e László siamo orgogliosi di aver smentito. È un po’ azzardato, perché stiamo parlando di un commento forse marginale, ma fortunatamente Gromov, anche lui assente, non può intervenire.

Quella che all’inizio del 2007 sembrava una curiosa, seppur intelligente, osservazione, negli ultimi 5 anni si è evoluta in un ambizioso progetto di ricerca. Dopo esserci imbattuti in molte altre coincidenze, alla fine del 2007 abbiamo proposto, come possibile applicazione dell’h-principio, una linea di attacco a una congettura del 1949 avanzata da Lars Onsager in un suo celebre lavoro sulla teoria della turbolenza. La congettura afferma l’esistenza di soluzioni delle equazioni di Eulero che dissipano l’energia cinetica ma che sono continue, con esponente di Hölder minore di \(\frac 1 3\). Dopo quattro anni di duro lavoro siamo finalmente riusciti a dimostrare che soluzioni continue dissipative effettivamente esistono e all’inizio di maggio abbiamo anche raggiunto la regolarità Hölder: il nostro esponente per ora è \(\frac {1}{10}\), un numero di tutto rispetto come primo tentativo (a novembre un brillante dottorando di Princeton ha migliorato nella sua tesi i nostri metodi spostando la soglia a \(\frac {1}{5}\)).

Spero di non aver fatto una lista della spesa. Mi premerebbe convincere la comunità che i nostri risultati non sono cosí strani come sembrano a prima vista, ma che anzi presentano “indizi” sulla correttezza di molte considerazioni dei fisici sulla teoria della turbolenza, anche da un rigoroso punto di vista matematico e non solo da quello fenomenologico. Il problema è che i nostri risultati sono difficili da inquadrare nell’ottica della classica letteratura sulle equazioni alle derivate parziali. Il verbo imperante è “mostrare la buona positura” e i nostri fanno tutto il contrario: otteniamo tante, troppe soluzioni. Inoltre l’analista classico vuole le “stime hard” e fino a qualche anno fa le stime dei nostri lavori erano troppo “soft”; il vero duro è quello che ha la stima piú lunga. Almeno questo aspetto frivolo è migliorato negli ultimi due lavori sulle soluzioni continue: nessuno che abbia gettato uno sguardo serio agli ultimi scritti può contestarci la presenza di decine di stime lunghe e complicate.

La giornata di giovedí è stata piuttosto pesante e la stanchezza si fa sentire ancor di piú durante l’ultimo giorno: tengo fede al proposito di evitare le conferenze piú vicine ai miei temi di ricerca, ma non ne ricavo granché. Come mi è successo molte altre volte, la mia speranza di vedere Gromov è rimasta delusa: avrebbe dovuto chiudere il congresso ma ha poi cancellato il suo intervento per motivi di salute. Al pomeriggio decido di saltare la cerimonia di chiusura per fare una visita all’ex fabbrica di Oskar Schindler…Bisogna pur concedere qualcosa al turismo di massa prima di tornare a casa.

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