Molti conosceranno il libro “La Matematica in Cucina” di Enrico Giusti, nel quale l’autore ci invita a guardarci intorno per scoprire quanta matematica suggeriscano gli oggetti che normalmente si trovano in cucina. Se proviamo a fare un passo oltre e accendiamo i fornelli per guardare con occhio matematico i processi di cottura, allora andiamo incontro a sfide tanto ardue quanto affascinanti… di Antonio Fasano
Questo mese il nostro ‘angolo arguto’ è dedicato alle buone forchette. Esploriamo infatti, grazie all’articolo scritto da Antonio Fasano del Dipartimento di Matematica “Ulisse Dini” dell’Università degli Studi di Firenze, che cosa succede in cucina mentre prepariamo l’arrosto, le patatine fritte, o stiamo semplicemente facendo cuocere degli spaghetti, dal punto di vista della matematica. I processi di cottura, infatti, possono interpretarsi in senso matematico e in questo modo è possibile capire la loro dinamica e, magari, riuscire anche a migliorarli a tutto vantaggio del gusto.
Abbiamo diviso l’articolo in varie ‘portate’, come se si trattasse di un menu. In questo modo potrete scegliere cosa ordinare… oppure ordinare l’intero menu del giorno! Noi vi consigliamo… tutto. È tutto ottimo. Buon appetito!
Pane
Il forno è un autentico laboratorio matematico. La pasta lievitata è un mezzo poroso deformabile ricco del biossido di carbonio (CO2) sviluppato dai batteri del lievito (altro interessante problema matematico) e che contiene, ovviamente, un considerevole quantitativo di acqua. Portata alla temperatura di ebollizione, questa libera vapore. Il vapore e la CO2 aumentano la propria pressione al crescere della temperatura, causando la formazione delle bolle visibili nella mollica e la conseguente crescita di volume. Al tempo stesso la superficie esterna, maggiormente esposta al calore, subisce dei cambiamenti di struttura, dando origine alla crosta. Tutti questi fenomeni avvengono simultaneamente alla trasmissione del calore verso l’interno del pane, allo spostamento delle componenti gassose attraverso i pori e all’espansione della pasta, e sono tra loro intimamente collegati. E non abbiamo accennato alla conversione dell’amido ad una forma commestibile (ci ritorneremo sopra proprio per i nostri spaghetti). Troppo complicato? Risposta affermativa, tanto che i non molti lavori che si trovano in letteratura non credo abbiano dato risposte definitive. L’istinto del fornaio resta per ora insostituibile.
La matematica dell’ arrosto non è molto più semplice. La differenza principale è l’assenza di CO2, però il sangue che impregna la carne ha un elevato contenuto di acqua e quindi siamo ancora alle prese con la formazione e la migrazione del vapore. Anche qui esisterà un “fronte di cottura” (abbastanza ben visibile al confine tra la zone rossa e quella più scura). Un’altra differenza riguarda la “crosta”: quella del pane è friabile e praticamente trasparente al vapore, mentre tutti sanno che per avere un arrosto “succulento” è bene dare una bella “scaldata” all’inizio, che ha lo scopo di rendere meno permeabile la superficie e limitare la perdita di liquidi.
Patate fritte
Accendiamo il gas sotto una padella con l’olio e al momento buono buttiamoci delle patate a fette. Dopo brevissimo tempo le patate cominciano a “friggere”, ossia ad emettere un intenso flusso di vapore che produce le caratteristiche scoppiettanti bolle (e i conseguenti schizzi). Poi si forma la croccante crosta esterna. Ma quali fenomeni stanno avvenendo nelle nostre patate? Per capirlo dobbiamo pensare che la patata non è altro che un mezzo poroso saturo (la parte solida e’ sostanzialmente amido ed essa è imbevuta d’acqua). Il trasporto di calore dall’olio verso l’interno produce due zone: una esterna in cui la temperatura è superiore a quella di ebollizione dell’acqua e una interna a una temperatura inferiore. Sul fronte di separazione avviene una transizione di fase liquido-vapore. Ma qual è la temperatura di ebollizione dell’acqua? Se ponessimo la domanda a una scolaresca di bambini vedremmo subito tante manine alzate: “Io lo so, io lo so: 100°C” (alla pressione atmosferica standard, aggiungeremmo noi). E invece è proprio qui cominciano le difficoltà. Infatti il vapore viene espulso con una certa vivacità, segno che è presente un considerevole gradiente di pressione che ne guida il moto verso l’esterno. Questo si realizza grazie al fatto che la temperatura e la pressione sul fronte di ebollizione non sono costanti, ma crescono entrambe, man mano che il fronte avanza all’interno. Esse sono tra loro legate da una legge di tipo esponenziale (legge di Clapeyron), la quale ci mostra che un piccolo aumento di temperatura può provocare un grande aumento di pressione del vapore. Ora vediamo bene che non soltanto dobbiamo descrivere la propagazione del calore nella patata, lo spostamento del fronte di ebollizione verso l’interno e il moto del vapore verso l’esterno, ma dovremo pure determinare questa ulteriore incognita: la temperatura sul fronte di ebollizione. Difficile, sì, ma questa volta fattibile. Sempre a proposito della frittura, prima di andare avanti vale la pena osservare che la particolare natura della legge di scambio di calore olio-patata alla superficie esterna, sulla quale non ci possiamo dilungare, suggerisce che, quando un corpo scambia calore con l’esterno in un modo che dipende dalle proprietà fisiche della sua superficie, a loro volta influenzate dalla temperatura, si possono verificare curiosi fenomeni di tempi d’attesa. Mi spiego meglio: supponete che un corpo abbia una superficie “bianca” (che assorbe poco calore) sopra una certa temperatura T* e “nera” (che scambia molto calore) al di sotto di essa. Supponiamo che la sua temperatura iniziale sia inferiore a T* ed esponiamolo a una temperatura esterna superiore a T*. Nel momento in cui la superficie raggiunge la temperatura critica il profilo interno di temperatura mostra un gradiente elevato, compatibilmente col fatto che la superficie è “nera”. Se la superficie diventasse immediatamente bianca la quantità di calore condotta dall’esterno verso l’interno diventerebbe incompatibile con il flusso di calore stabilitosi internamente. Perciò è necessario che l’evoluzione della temperatura superficiale si arresti per dare modo alla superficie di evolvere attraverso una gamma di “grigi”. Durante questo tempo il gradiente termico interno si attenua fino a diventare compatibile con lo stato di superficie “bianca”: solo allora riprenderà l’evoluzione termica normale. Così ecco che il problema della patata fritta finisce per aprire la strada a considerazioni molto più generali e certo non banali sulla classica teoria degli scambi termici. Questo concetto è un bell’esempio di come nel bel mezzo della costruzione di un modello. la matematica a un certo punto prenda le redini e sia lei a portarti a spasso nella direzione che più le piace. Nel caso della patata, il “cambio di colore” (da nero a bianco) è dovuto all’azione di schermo termico esercitata dal vapore in uscita.
Con l’acqua che ha incominciato a bollire (il che ci garantisce una temperatura di 100°C, con le solite precisazioni), vi invito a fare un esperimento che io stesso ho fatto in cucina prima di cominciare a lavorare sugli spaghetti. Ecco: “buttate” la pasta (chissà perché si dice così) e abbiate cura di scegliere spaghetti abbastanza spessi (diciamo 2mm di diametro). La prima cosa che notate è che fate una certa fatica ad affogare gli spaghetti, a causa della loro rigidità. Questa però si attenua dopo pochi secondi, consentendovi di immergere gli spaghetti totalmente nell’acqua bollente. Si tratta dell’effetto della temperatura sulle caratteristiche meccaniche della pasta secca. Infatti si può calcolare che lo spaghetto assume praticamente la temperatura dell’acqua in pochi secondi.
A questo proposito facciamoci aiutare dalla seguente tabella che sarà d’ora in poi il nostro riferimento principale:
Tab. 1: tempi di penetrazione delle varie isoterme per gli elementi indicati (lasagne con spessore di 2mm, spaghetti con diametro 2mm, gnocchi “sferici” con diametro 2cm, patate “sferiche” con diametro 4 cm).
Questa tabella ci dice già molte cose. Se ci riferiamo ad es. all’isoterma 80°C (alla quale la “cottura”, come vedremo, è già operante), ci accorgiamo che i tempi relativi a gnocchi e patate sono paragonabili ai rispettivi tempi di cottura. Non è certo così per la pasta secca. Il fatto è che patate e gnocchi si cuociono utilizzando l’acqua che già contengono, mentre la pasta secca è … secca e richiede un processo di imbibizione la cui lentezza spiega la grande differenza dei tempi di cottura. Noi trascuriamo l’abbassamento di temperatura dovuto all’immersione della pasta a temperatura ambiente (anche perché per il nostro esperimento bastano pochi spaghetti).
Ora veniamo alla fase sperimentale vera e propria: per ogni minuto dopo l’immersione estraete uno spaghetto ed esaminatelo. Per i primi cinque-sette minuti (dipende dal diametro) lo spaghetto si spezza se piegato oltre un certo limite, ma dopo acquista una buona flessibilità. Se lo sezionate, noterete per i primi campioni che esiste una vasta zona centrale biancastra circondata da un anello dall’apparenza più “morbida”. Lo spaghetto sta appunto cercando di mostrarvi il fenomeno importante in questa fase del processo: la penetrazione dell’acqua. Naturalmente questo si verifica per ogni tipo di pasta secca ed è tipico anche della cottura dei cereali (che però sono ancora più compatti e quindi richiedono più tempo). Nella geometria semplice dello spaghetto è però ben visibile il fronte circolare di penetrazione. Rimandiamo la domanda di come si potrà descrivere la dinamica di questo fronte e continuiamo l’esperimento sezionando spaghetti più “maturi”. Adesso vedremo che la zona interna si è molto ridotta e che compare un nuovo anello esterno dal colore avorio. Questa è la regione della pasta “cotta”.
Ma che vuol dire “cotta”?
L’ ingrediente dominante della pasta è l’amido. Questo è una grande invenzione delle piante, che lo accumulano nei tuberi o nei semi perché serva da nutriente per i germogli. Si tratta di un polisaccaride (cioè – per farla breve – un polimero costituito da una catena di molecole di glucosio). Ma come – direte – la sintesi dei polimeri è stata una vittoria abbastanza recente della chimica (che ci ha regalato ogni sorta di “plastica”) e invece le piante hanno sempre saputo come farla? Proprio così! Ma non solo le piante: la seta e la ragnatela sono polimeri con eccezionali proprietà meccaniche. Noi siamo ben pieni di polimeri (non siamo fatti di plastica, ma tutto ciò che abbiamo di fibroso – ad es. “la trama” del tessuto connettivo – è di quella natura). Comunque cerchiamo di non perdere di vista la pasta. L’amido non è digeribile dall’uomo (almeno in una cosa siamo inferiori ai polli). Perché lo diventi bisogna gelatinizzarlo. Accidenti! A ogni passo ce n’è una nuova! Insomma, vuol dire che la catena polimerica va spezzata in aggregati più semplici. Questo lavoro è affidato all’acqua, che la attacca in più punti e la idrolizza. Tale processo però avviene solo quando si raggiunge una sufficiente concentrazione di acqua (che dipende dalla temperatura, la quale per nostra fortuna è fissa). La presenza di una tale soglia spiega la comparsa del secondo fronte, che è appunto il fronte di gelatinizzazione.
Continuando a estrarre e sezionare spaghetti si vede che i due fronti si muovono verso il centro. Noterete che lo spaghetto “al dente” contiene ancora un piccolo nucleo non gelatinizzato (o addirittura non penetrato). Lo spaghetto “scotto” e semplicemente uno spaghetto cotto.
Altro esperimento interessante: lasciate degli spaghetti crudi immersi in acqua fredda e andate a dormire. Il giorno dopo li troverete completamente molli. Segno che la temperatura influenza solo la velocità di penetrazione, ma il processo di imbibizione avviene anche a temperatura ambiente. Solo che ovviamente gli spaghetti non saranno cotti: avranno un disgustoso colore bianchiccio, invece del caldo color avorio della pasta cotta. Io non ho avuto il coraggio di assaggiarli (l’amore per la scienza ha i suoi limiti).
QUI puoi scaricare l’articolo completo di Antonio Fasano, che contiene anche i riferimenti bibliografici e il modello matematico della cottura degli spaghetti
Antonio Fasano è professore ordinario di Fisica Matematica all’Università di Firenze dal 1978. E’ autore di libri di testo di Meccanica razionale e di Meccanica analitica adottati in molte università italiane e di oltre 200 pubblicazioni scientifiche. Fra le sue numerose ricerche ricordiamo soprattutto quelle in matematica industriale e sulle applicazioni della matematica a tecnologia, chimica, biologia e fisica.