Quando pensiamo allo sviluppo della matematica, e in particolare alla sua “rinascita” nel periodo medievale e rinascimentale, spesso ci limitiamo a immaginare un’evoluzione lineare che la vede come un prodotto esclusivo della tradizione greca prima e latina poi. Ma questa narrazione trascura un aspetto essenziale: la matematica, in realtà, è figlia, come molte altre conquiste intellettuali, del meticciato culturale. E il Mediterraneo – con regioni come la Sicilia e la Spagna – ha avuto un ruolo cruciale in questo processo: fu crocevia delle tradizioni greca, araba e latina e rese possibile la loro mutua contaminazione che finì per generare un nuovo sapere matematico. Ce ne parla Riccardo Bellè.
Le caratteristiche del meticciato culturale sono al centro di un testo di François Laplantine e Alexis Nouss, Il Pensiero meticcio, recentemente riedito da Elèuthera. Si tratta di un libro che ci sentiamo di consigliare; anche se non dedicato specificatamente alla matematica, è senza dubbio utile per inquadrare il processo che portò nel giro di qualche secolo alla nascita della matematica moderna di Descartes e Leibniz. Vediamo però nello specifico come questi processi hanno agito nei secoli per formare la matematica moderna.
1. La Sicilia e la Spagna: luoghi di scambio e dialogo
Nel corso del Medioevo, la Sicilia e la Spagna furono non solo teatri di conflitti, ma anche straordinari laboratori culturali. La Sicilia normanna e sveva, a partire dal XII secolo fu, da questo punto di vista, paradigmatica. Sotto il regno di Ruggero II e successivamente di Federico II (1198-1250), la corte siciliana divenne un centro dove filosofi, matematici e traduttori delle tre culture – latina, greca e araba – lavorarono fianco a fianco. Un esempio celebre è l’emiro Eugenio, un funzionario di alto rango della corte normanna, che tradusse in latino opere fondamentali come l’Ottica di Claudio Tolomeo. La storia di questo testo è di per sé un prototipo dei percorsi che mettono in contatto le culture: scritto in greco ad Alessandria d’Egitto, nel II secolo EC (Era Comune) venne poi tradotto in arabo; in questa versione Eugenio la conobbe e la tradusse (in latino) poco dopo il 1150. Eugenio stesso sottolineava le difficoltà di tradurre da una lingua all’altra, scrivendo che “ogni tipo di lingua ha il suo idioma e la traduzione da una all’altra non è facile, soprattutto per il traduttore fedele” ma allo stesso tempo attraverso la sua traduzione riconosceva implicitamente il valore universale del sapere. Peraltro il testo latino di Eugenio oggi è l’unico disponibile, dato che le versioni greca e araba non sono sopravvissute, forse distrutte in uno dei tanti incendi o saccheggi che hanno devastato le biblioteche e i luoghi di cultura nel corso della storia. La traduzione dell’Ottica non fu un caso isolato: in Sicilia, nello stesso periodo, furono tradotte anche alcune opere di Euclide, mentre Aristippo, arcidiacono di Catania, portò avanti traduzioni dal greco, tra cui l‘Almagesto di Tolomeo e forse la Meccanica (o gli Spiritalia) di Erone.
Parallelamente, in Spagna, la scuola di Toledo divenne un altro nodo cruciale per la trasmissione del sapere. Traduttori come Gerardo da Cremona (1114-1187) portarono in Occidente opere arabe tra le quali un testo di Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī dal titolo Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wa ‘l-muqābala (Libro abbreviato sul calcolo attraverso la restaurazione e il confronto), nella traduzione latina Liber Maumeti filii Moysi alchoarismi de algebra et almuchabala. Questa opera segna la nascita delle equazioni e della loro risoluzione, in poche parole della disciplina che si sarebbe chiamata, da questa parte del Mediterraneo, “algebra”. La traduzione del sapere arabo – che a sua volta procedeva da tradizioni greche e indiane – costituì una delle basi da cui ebbe inizio il rinnovamento matematico in Europa.
2. Leonardo Pisano: un uomo del Mediterraneo
Uno dei personaggi più importanti, se non il più importante, del panorama matematico dell’Occidente latino tra XII e XIII secolo fu certamente Leonardo Pisano (che verrà detto Fibonacci solo molto più tardi, a partire dalla sua riscoperta nel XVIII secolo), la cui opera fu una testimonianza vivente di questa contaminazione culturale. Nato a Pisa, Leonardo trascorse la giovinezza a Béjaïa, in Algeria, dove il padre lavorava come funzionario commerciale per la Repubblica di Pisa. Fu qui che apprese il sistema di numerazione posizionale decimale a cifre indo-arabiche, con le sue nove cifre e lo zero, e i relativi algoritmi di calcolo, che avrebbe poi introdotto nell’Occidente latino. Divenuto mercante, viaggiò in tutto il bacino del Mediterraneo toccando – come lui stesso racconta – l’Egitto, la Siria, la Grecia, la Sicilia e la Provenza dove ebbe occasione di ampliare le sue conoscenze della “nuova matematica”, che poi raccolse nel Liber abbaci, completando una prima redazione nel 1202.
In questa ponderosa opera, Fibonacci non si limitò a tradurre conoscenze arabe, ma le rielaborò, adattandole alle necessità pratiche dei mercanti italiani. Questo testo, che include problemi di cambi di monete, società commerciali, baratti e interessi, è un esempio concreto di come la matematica si sviluppò per rispondere a bisogni concreti di una società in trasformazione. Non si deve per questo pensare che il Liber abbaci fosse un semplice trattato di matematica commerciale ad uso dei mercanti: si tratta di un’opera di alto profilo scientifico che attirò l’interesse dell’élite intellettuale che gravitava attorno alla corte di Federico II, tanto che Leonardo dedicò al filosofo di corte Michele Scoto una revisione del suo libro.
3. Il Rinascimento del XII secolo
Questo fervore intellettuale è parte di ciò che lo storico Charles Homer Haskins definì il “Rinascimento del XII secolo”: un periodo in cui la riscoperta del sapere antico e l’interazione con il mondo arabo portarono a un rinnovamento culturale senza precedenti. La matematica, in particolare, beneficiò di un processo di integrazione tra la tradizione greco-latina, recuperata direttamente attraverso traduzioni dal greco, e quella arabo-latina che veicolava testi greci reinterpretati e arricchiti dagli studiosi arabi. Emerse così una “nuova” tradizione latina, che emergeva dall’adattamento e dalla sintesi delle prime due. Il Mediterraneo – ponte che mise in contatto le varie culture – divenne un laboratorio dove le differenze non rappresentavano un ostacolo ma un’opportunità (continuando a rimanere terreno di scambi mercantili ma anche di violenti scontri militari). Attraverso di esso si sono realizzati scambi mercantili e confronti militari, religiosi, culturali.
4. Conclusione: una lezione per l’oggi
La storia della matematica medievale ci insegna che il progresso non nasce dall’isolamento ma dall’incontro. La Sicilia e la Spagna medievali dimostrano come la coesistenza di culture diverse possa generare innovazione e creatività. Questo messaggio risuona con forza anche nel presente, in un mondo che affronta nuove sfide di convivenza e di dialogo tra culture.
Riscoprire queste radici significa ricordare che la matematica – così come ogni sapere umano – non è mai il prodotto di una singola cultura, ma il frutto di un confronto dialettico continuo tra approcci e punti di vista diversi che genera nuova conoscenza.
Riccardo Bellè
Immagine di copertina: Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, Public domain, da Wikimedia Commons