Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come lui vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Oggi cerca di far capire cosa c’è di bello nel trovare una dimostrazione.
Avete presente il teorema della 4C, con i ragazzini di una scuola elementare che insieme alla loro maestra hanno trovato una proprietà dei numeri triangolari? Se ricordate, avevo scritto che era irrilevante il fatto che da qualche parte il teorema fosse o no già stato scoperto da qualcuno: quello che contava è che tutto il processo per arrivare ad avere prima l’enunciato ma soprattutto poi la dimostrazione era stato compiuto da loro. Come sapete, io sono un matematico non praticante, e non ho mai scoperto nessun teorema: però ci sono stati un paio di casi in passato in cui ho provato la gioia di dimostrare qualcosa, pur sapendo che il risultato era ben noto.
Il primo caso mi è capitato – non a caso, immagino – mentre ero una matricola universitaria. Nel corso di algebra, prima di cominciare con l’algebra vera e propria (gruppi, anelli, campi e via discorrendo) le prime settimane furono dedicate a quella che veniva chiamata “algebretta” ed era legata alle proprietà dei numeri naturali, ai numeri modulo n e così via. Alla fine di una esercitazione, l’assistente – un professore dalla simpatia strabordante: per dire, una volta verso la fine dell’anno terminò dicendo “tanto al primo appello non passerà nessuno di voi…” ci enunciò il teorema di Wilson: un numero p è primo se e solo se (p – 1)! ≡ –1 (mod p), aggiungendo “tra un paio di settimane dimostrarlo sarà facile, ma provate a vedere se ci riuscite adesso”. Per la cronaca, la facilità si ha usando la teoria dei gruppi: ma Wilson lo dimostrò nel 1770 quando essa non esisteva ancora e quindi sicuramente ci doveva essere qualche altro modo.
Io ho sempre amato le sfide, e mi ci si sono messo a testa bassa per un paio di pomeriggi senza cavare un ragno dal buco. In casi come questo si tenta di solito di usare l’induzione: ma i numeri primi saltano a caso, e quindi non ci si può fare nulla. La notte prima della successiva lezione, mentre stavo per addormentarmi, mi è venuta improvvisamente in mente la soluzione, che mi sono subito segnato da qualche parte per paura di dimenticarmela il giorno dopo. (Poi ho dormito come un ghiro, per fortuna). Qual era l’idea fondamentale? Innanzitutto, è chiaro che se p non è primo quel prodotto è zero: possiamo scrivere p = mn, e poiché nel prodotto dei numeri da 1 a p – 1 troviamo sia m che n il prodotto è nullo. Cosa succede se invece p è primo? Prendiamo un numero qualunque h tra 1 a p – 1 e consideriamo i suoi multipli modulo p. Devono essere tutti diversi tra di loro e diversi da zero: quindi ce ne deve essere uno, chiamiamolo k, tale che hk = 1. L’unico problema è “cosa succede se k = h?” Sicuramente questo succede per h = 1 e h = –1. Per altri valori, abbiamo h² = ap + 1, cioè h² – 1² = ap + 1 – 1, cioè (h+1)(h–1) = ap, il tutto per un certo a. Da qui vediamo che h può appunto essere solo 1 oppure –1. Ma ora siamo a posto! Consideriamo il prodotto dei numeri da 2 a p – 2: si possono tutti accoppiare in modo che il prodotto della coppia sia 1. Restano fuori appunto 1 che non ci dà problemi e –1 che è quello che vogliamo.
Chi ha studiato un po’ di teoria dei gruppi si sarà sicuramente accorto che la dimostrazione promessa per le settimane successive era fondamentalmente quella: ma come dicevo io non avevo ancora quelle basi matematiche, e me le sono dovute ricavare da solo. (Per la cronaca, non mi ricordo di alcun commento da parte dell’assistente.)
Il secondo caso mi è capitato mentre avevo già cominciato a lavorare, e visto che avevo tanto tempo libero a disposizione mi ero iscritto a informatica. Mentre studiavo i linguaggi formali, mi sono trovato davanti a questo teorema da dimostrare: “Esiste una stringa infinita in (“0” + “1”)* tale che nessuna sua sottostringa sia ripetuta tre volte consecutivamente”. Per chi non è abituato a questa notazione, (“0” + “1”)* significa semplicemente tutte le stringhe formate solo dai caratteri 0 e 1, come 011, 10100, 001001001…, 10110011100011110000…. Nei primi due casi la stringa non è infinita e quindi non ci interessa; nel terzo abbiamo la stringa 001 che si ripete tre volte, nel quarto abbiamo 111 che corrisponde a 1 ripetuto tre volte. Per quanto ne so, la soluzione standard non è molto complicata, e probabilmente è molto più semplice della mia. Ma quando vidi il problema, anche in questo caso dopo un po’ di assalti infruttuosi, mi venne in testa un’idea meravigliosa. Costruiamo la stringa ricorsivamente! Nell’immagine potete vedere la dimostrazione che scrissi al tempo. Sì, sapevo scrivere in modo leggibile. Sì, mi sono proprio innamorato di quella dimostrazione.
Che cos’hanno in comune questi problemi e il teorema della 4C? Come prima cosa c’è il fattore Goldilocks. Avete presente la favola di Riccioli d’oro che entra in una casa, trovando tutte cose in tre copie? La prima era sempre esagerata, la seconda troppo minuscola, ma la terza era perfetta. Il fattore Goldilocks consiste appunto nel non avere tra le mani un problema troppo difficile, perché non lo si saprà risolvere, ma nemmeno troppo facile, perché in questo caso non è giusto. Il problema deve insomma essere abbastanza complesso da doverci passare del tempo ma non troppo da non arrivare alla risposta.
Molti giochi di abilità sfruttano il fattore Goldilocks: se avessimo solo quattro tentativi (il par) per indovinare la parola di Waffle perderemmo una volta su tre e dopo un po’ ci stuferemmo, se ne avessimo dieci non ci sarebbe gusto. Con la matematica, se non è la tua professione, capita esattamente lo stesso: la gioia arriva perché hai combattuto contro un avversario (virtuale) della tua forza e sei riuscito a vincerlo. Nel caso dei ragazzini naturalmente la gioia è stata ancora maggiore, proprio perché hanno scoperto qualcosa oltre a dimostrarlo; io avevo il grande vantaggio di conoscere già il risultato e quindi sapere che una via da qualche parte ci doveva essere. Si parva licet componere magnis, alcuni dei miei quizzini della domenica mi hanno dato questa gioia, perché non sapevo a priori la risposta e me la sono dovuta ricavare. Però quei giochi sono solitamente più semplici, e quindi la gioia è chiaramente minore.
Non penso che tutto questo convincerà nessuno che la matematica sia bella, ma su questo non ci posso fare più di tanto. Spero però che almeno le persone curiose abbiano qualche idea in più, e capiscano la gioia di Archimede quando scoprì il principio che prende il suo nome!
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