Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come lui vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Il tema di oggi è filosofico: i concetti matematici esistono? Sono veri? Più in generale, cosa sono? Le risposte sono sempre troppe.
Se ricordate, avevo scritto che – almeno per quello che riguarda la matematica – io mi definisco un platonista riformato. Che cosa intendo con questa affermazione? Comincio subito a dire che non ha nulla a che fare con il mio essere un matematico non praticante. Non sto infatti parlando di come fare matematica, ma di cosa è secondo me la matematica. Questa è una classica domanda di tipo filosofico, il che significa che la risposta è diversa per ciascuno di noi, e non è detto che potremo mai trovarci d’accordo su quale sia la risposta corretta. Anzi, noi esseri umani siamo anche in grado di accettare contemporaneamente due risposte che non sono coerenti. Come facciamo? Non ci preoccupiamo più di tanto delle conseguenze…
Da un punto filosofico abbiamo tre distinti temi. L’epistemologia cerca di rispondere alla domanda “Come facciamo a sapere che quello che ci dice la matematica è vero?”. L’ontologia cerca di rispondere alla domanda “esistono i concetti matematici?”. Infine la metafisica cerca di rispondere alla domanda “che cosa sono i concetti matematici?”. La voce di Wikipedia sulla filosofia della matematica a me pare tanto una ricerca originale e quindi qualcosa che sull’enciclopedia non dovrebbe starci: mi sa che sia rimasta perché nessuno se la fila. Ho appena fatto un rapido controllo, e la voce “Puffi” viene visitata dieci volte di più di quella sulla filosofia della matematica. Però la voce è abbastanza completa e può dare un’idea di quali siano le varie correnti filosofiche: qui faccio una rapida ricapitolazione, senza entrare nel meandro delle varie sottocorrenti.
La prima posizione da considerare è quella del realismo matematico, più noto come platonismo. Per un platonista gli enti matematici esistono indipendentemente dalla nostra mente: questo significa che noi non inventiamo la matematica, ma la scopriamo, un po’ come quello che disse Michelangelo per cui il blocco di marmo andava scolpito affinché potesse liberare la statua che vi era imprigionata dentro. . Il termine “platonismo” deriva ovviamente dall’analogia con il mondo delle idee di Platone, quello che nell’analogia della caverna può essere visto solo indirettamente. Questa posizione è predominante ancora oggi tra i matematici: se ne prendete uno a caso e gli chiedete se i numeri esistono indipendentemente dal fatto che li usiamo o no, per un attimo vi guarderà come la mucca guarda il treno, e poi dirà “come, non è forse per forza così?”.
Fino alla metà dell’Ottocento non credo nemmeno ci fossero altre idee, almeno in forma esplicita: poi le cose sono cambiate, perché soprattutto le geometrie non euclidee ma anche la teoria cantoriana degli infiniti ha messo in luce il maggior problema del platonismo, che è quello epistemologico: come è possibile sapere che gli enti matematici – che come ho detto sopra esistono davvero per un platonista – siano veri? Dobbiamo già metterci prima d’accordo su cosa significa “vero”: se facciamo i conti modulo 3, per esempio, abbiamo che 2+2=1. Un platonista duro e puro magari dirà che quell’“1” non è lo stesso che usiamo noi, ma la risposta pare un po’ forzata. Vediamo come si può risolvere il problema.
Il formalismo, il cui primo campione è stato David Hilbert, dà una risposta che elude il problema epistemologico. Hilbert formalizza una concezione già presente in modo implicito nei lavori di Eulero e si sbarazza dell’ontologia: per lui i numeri non sono entità né astratte né di chissà quale altro genere. I numeri, e la matematica in generale, sono semplicemente dei segni che si fanno sulla lavagna o sulla carta; quello che conta è il sistema formale che mette in relazione tra di loro questi segni. Possiamo vedere così la matematica come un grande gioco con le sue regole, e tutto quello che dobbiamo fare è vedere se le regole che usiamo sono consistenti e permettono di ricavare tutta la matematica senza basarci su null’altro che essa. Come sapete, Gödel gli ha rovinato la festa, mostrando che la matematica è molto più complicata di quello che appare a prima vista e il programma di Hilbert è destinato al fallimento. Questo duro colpo ha ridimensionato la portata di questa corrente.
Un’altra corrente filosofica parallela al formalismo è il logicismo. Esso, che possiamo associare a Gottlob Frege, è un programma tendenzialmente riduzionista, nel senso (filosofico) che vuole ridurre la matematica a una branca della logica: a questo punto si può assiomatizzare la logica e ottenere immediatamente una formalizzazione della matematica. Purtroppo però già Russell aveva mostrato come tutto il monumentale costrutto di Frege si basava sull’ammettere che una qualunque collezione di oggetti definibile sia un insieme il che porta a paradossi come quello del barbiere. Ci sono alcuni filosofi che stanno cercando di salvare il programma fregeiano restringendo la definizione di insieme, ma la loro è una visione estremamente minoritaria.
Più fortuna hanno avuto costruttivismo e intuizionismo, che in genere si trattano insieme perché anch’essi molto simili. Il primo ha come paladino Leopold Kronecker, che affermò che Dio aveva creato i numeri naturali mentre tutto il resto è opera dell’uomo: La differenza con il platonismo è dunque che non tutti gli enti matematici esistono, ma esistono solo quelli che possiamo esplicitamente costruire (in un tempo finito e con un numero finito di operazioni), e non definire implicitamente. L’intuizionismo è stato reso famoso da Luitzen Brouwer, che dopo avere dimostrato il teorema del punto fisso con tecniche non costruttive ha avuto una crisi matematica mistica e ha ripudiato tutto quello fatto da lui fino a quel momento, arrivando a negare anche il principio del terzo escluso per insiemi non costruttivi: per esempio un intuizionista dice che (oggi, in futuro chissà) non possiamo nemmeno dire “all’interno dello sviluppo decimale di pi greco esiste una sottostringa di 42 zeri consecutivi, oppure tale stringa non esiste”. Diciamo che io trovo piuttosto esagerata una posizione simile, ma ognuno ha diritto alle proprie idee.
Negli ultimi decenni sono sorte altre correnti filosofiche che potremmo definire in un certo senso “più umanistiche”, se mi passate il termine: in esse il fattore umano ha un’importanza estrema, a differenza di tutte le correnti precedenti che di per sé sono universali. La teoria della mente incorporata, a parte il pessimo nome, sostiene che gli esseri umani non scoprono la matematica, ma se la costruiscono: la matematica rimane però un concetto che se ne sta all’interno dei nostri cervelli, e pertanto non è universale. Una civiltà aliena – ma se per questo anche un’ipotetica civiltà di delfini intelligenti – avrà perciò una matematica del tutto diversa dalla nostra. Gli autori di riferimento sono George Lakoff e Rafael E. Núñez con il loro libro Where Mathematics Comes From (Da dove viene la matematica). Il costruttivismo sociale vede invece la matematica come una costruzione sociale, appunto: la differenza con la teoria precedente è che essendo la matematica essenzialmente un costrutto empirico esso segue le mode del momento e i suoi risultati possono essere scartati se li riteniamo privi di senso (attenzione: “li riteniamo”, non “sono”). La cosa che trovo più divertente di questa corrente è che è molto divisa al suo interno, e addirittura quelli che considerano i loro precursori – Imre Lakatos e Paul Erdős, con la sua rete di collaborazioni sui campi più svariati – hanno sempre negato con forza di farne parte. Forse il più noto esponente di questa corrente è stato Reuben Hersh, arrivato alla matematica tardi e partendo da una laurea in letteratura inglese (!), che nel testo What is Mathematics, Really? (Che cos’è davvero la matematica), e in altri scritti con Philip Davis, parla di umanesimo matematico. Per Hersh la matematica è reale, ma la sua realtà è socioculturale e storica, e si trova nei pensieri comuni di coloro che la imparano, la insegnano e la creano. Notate che siamo arrivati all’opposto del platonismo: la matematica non si scopre, ma si crea.
E che penso io della matematica? Quello che ho detto nel titolo di questo post: che sia un “platonismo riformato”. Per me gli enti matematici esistono indipendentemente dal fatto che noi esistiamo, e pertanto non accetto l’idea della matematica diversa a seconda di chi la fa: un numero primo è un numero primo, che uno lo usi come base per la fattorizzazione o non gliene importi nulla. Ammetto che da bambino ero essenzialmente in formalista, perché mi piaceva giocare con la struttura delle regole matematiche proprio come mi piaceva giocare con i Lego, ma crescendo mi sono convinto che nella matematica ci fosse appunto qualcosa in più di un semplice gioco. Per quanto riguarda l’intuizionismo, proprio perché ritengo che gli enti matematici esistano, non vedo perché limitarli a quelli che posso costruire: una definizione implicita di un ente non è bella come una esplicita, ma se non c’è altro a disposizione ce la facciamo bastare.
Ma è vero che non esiste una collezione di enti matematici universalmente accettata, ed è qui che entra in gioco il nostro essere umani. Tornando all’esempio dei numeri primi, non posso escludere a priori che qualcuno crei della matematica senza usare questo concetto: posso solo dire che chi lo usa troverà sicuramente il teorema della fattorizzazione unica. Ma potrebbe esprimerlo dicendo che 1 non è un numero primo, come facciamo noi, oppure dicendo che 1 è primo e nella fattorizzazione unica si possono usare quanti fattori 1 si vuole senza perdere l’unicità. La formulazione vi sembra forzata? Pensate ai poligoni costruibili con riga e compasso: sono quelli il cui numero di lati è un prodotto di numeri primi di Fermat e di quanti fattori 2 si vuole… Questo mio pensiero mi avvicina almeno in parte al costruttivismo sociale, da cui però mi separa una concezione di fondo: la matematica per me non è empirica. Mi spiego con qualche esempio.
William Rowan Hamilton, quando ideò i quaternioni, pensò di aver trovato il modo per fare finalmente operazioni matematiche nello spazio, proprio come con i numeri complessi si era potuto farle nel piano. Ma pochi anni dopo in matematica venne introdotto il concetto di vettore, e i quaternioni non vennero più usati in pratica e rimasero studiati solo come struttura algebrica… almeno fino a quando si scoprì che in computer graphics era più facile indicare i movimenti di un oggetto usando i quaternioni. O pensiamo banalmente al modo di risolvere un’equazione di secondo grado. Noi usiamo direttamente la formula matematica; nel mondo anglosassone si insegna ai ragazzi come “completare il quadrato”; e se traduciamo l’equazione in linguaggio corrente Euclide usava una bellissima costruzione geometrica. Tre matematiche diverse? No. Per me l’ente “equazione di secondo grado” è sempre lo stesso, solo che persone diverse lo vedono da una sfaccettatura diversa e quindi ricavano una matematica diversa, un po’ come la barzelletta in cui si porta alcune persone bendate a toccare un elefante e poi si chiede loro di descriverlo. A seconda di quale parte hanno toccato, la descrizione sarà completamente diversa.
Tornando alla matematica come empirismo, io posso giocare con la matematica, lo faccio tutte le volte che cerco di risolvere un problema; ma questo significa che è il mio approccio a essere empirico, non la matematica. Il “riformato” nel titolo sta proprio a significare questo: l’accettare una dicotomia tra quello che la matematica è e quello che io, o chiunque di voi, vede. Un po’ come le ombre cinesi, per tornare all’analogia di Platone, o se preferite alle nuvole: c’è qualcosa uguale per tutti, ma ognuno di noi vede qualcosa di diverso.
E per voi che cosa è la matematica?
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Nella frase “all’interno dello sviluppo decimale esiste una sottostringa di 42 zeri consecutivi, oppure tale stringa non esiste”, mi pare manchi un pigreco o un phi… ‘sti due ragazzacci saltano sempre fuori. Ecco, “la matematica è quella cosa con dentro phi e pigreco (e, ogni tanto, “e”)”.
ok, questa invece è una mia dimenticanza classica, la mente va più velocemente delle dita quando scrivo 🙁 (e anche quando rileggo)
meno male che non è il contrario… 😀
Maurizio, se facciamo i conti in base tre 2+2 fa 11 però. Penso tu volessi dire “modulo tre”.
Ovviamente intendevo modulo tre, e mi chiedo come abbia fatto a scrivere “base” 🙁