La matematica non è solo una disciplina scientifica, ma anche un modo di guardare in modo diverso quello che è accanto a noi… compresa la matematica stessa, se serve. Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Oggi parliamo di se e quanto sia efficace la matematica.
Uno dei modi in cui gli scienziati cercano di convincere gli umanisti (perdonatemi le categorie tagliate con l’accetta) dell’importanza della matematica è il saggio del 1960 di Eugene P. Wigner L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali, dove il futuro premio Nobel per la fisica si chiedeva come mai la matematica funziona così bene per modellare il mondo reale. Sono passati due terzi di secolo, e l’efficacia della matematica pare ancora più chiara a chiunque si fermi un momento a pensare a cosa facciamo con essa: dalle analisi di mercato in Borsa al calcolo di un percorso stradale, per non parlare degli attuali sistemi di intelligenza artificiale. Riusciamo insomma a vedere il mondo con occhio matematico, come del resto aveva già detto Galileo tre secoli prima.
Io personalmente non sono molto d’accordo con il metodo: o meglio non credo che se una persona si vanta di non capire la matematica non sarà per nulla toccato da questi argomenti, e del resto una persona che è così fissata con la scienza da non capire che quell’approccio non funziona si merita una sonora pernacchia. (Ve l’avevo detto che stavo tagliando con l’accetta i rappresentanti dei due gruppi. Nella realtà le posizioni sono di solito un po’ più sfumate.)
Ma quello che conta di più è che passando al merito io parto dal punto di vista opposto di Wigner: non è il mondo che segue le leggi della matematica, ma siamo noi che abbiamo imparato ad accontentarci delle approssimazioni e quindi crediamo che il mondo segua leggi semplici. Non ne siete convinti? Aprite un libro di fisica, anche a livello di corso di laurea triennale, e date uno sguardo ai problemi proposti. Abbiamo palle che rimbalzano con urti perfettamente elastici, piani inclinati senza attrito, solidi incomprimibili e liquidi perfetti. Certo, poi possiamo avere conti molto più precisi come il modello quantistico dell’atomo di idrogeno, ma già andare oltre è impraticabile. Ma anche solo banalità come il concetto di proporzionalità diretta non si possono davvero ottenere: ci saranno sempre piccole variazioni che complicano inevitabilmente le formule con cui ricavare i risultati esatti, se non vogliamo accontentarci delle approssimazioni.
Le equazioni differenziali sono in effetti un’idea interessante, ma anch’esse hanno i loro guai. Anche ammettendo che rispecchino il comportamento della variabile, resta il fatto che spesso non possono essere risolte analiticamente, e quindi dire che abbiamo la soluzione è un po’ barare. Aggiungiamo la considerazione che esse richiedono comunque un modello dei numeri reali, che come sapete non esistono davvero, e torniamo alla mia tesi.
Detto tutto questo, non pensiate che io ritenga sbagliate le equazioni della fisica. All’atto pratico funzionano a sufficienza per i nostri scopi, e se abbiamo bisogno di una maggior precisione possiamo aggiungere altri termini. In altre parole, concordo che la matematica sia un modo ragionevole per rappresentare il nostro mondo, e sono anche convinto che queste funzioni fisiche siano “well-behaved” e quindi non dobbiamo fare sporchi trucchi matematici per far tornare i conti. (Sì, so bene della delta di Dirac e della rinormalizzazione in meccanica quantistica. Farò finta di nulla). Quello che voglio dire è che il mondo è complesso e quindi richiede equazioni complesse. Solo che noi esseri umani siamo esseri semplici: ci va bene il good enough, E nel caso delle equazioni il good enough corrisponde a equazioni semplici, quelle che Wigner afferma essere irragionevolmente efficaci. Poi è chiaro che Wigner, che di matematica ne sapeva molto più di me, aveva perfettamente chiara questa cosa: però gli faceva comodo usare questa argomentazione verso chi non sapeva accorgersi di quello che c’era dietro le quinte…
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(Immagine generata da fooocus)
Ok, ho il sospetto di essermi spiegato male.
Non ho mai pensato “non esiste nessun numero reale”. Per dire, tutti i numeri algebrici (e quindi anche la radice dodicesima di 2) per me esistono, perché in linea di principio posso calcolarli anche se mi ci vorrebbe un tempo infinito. Lo stesso vale per tantissimi numeri trascendenti: ho parlato di pi greco ed e, ma potrei anche dire sin 1 (radiante o grado è lo stesso, esistono entrambi). In pratica tutto quello per cui c’è un algoritmo, quindi per esempio gli zeri di una funzione che calcoliamo col metodo di Newton-Raphson, esiste.
Il fatto è che la descrizione dei reali di Dedekind ha un doppio livello di infinito: quello delle successioni e quello del limite delle successioni. Tutto questo serve per avere la completezza di R, ma siamo davvero sicuri che ci serva?
Buongiorno. E’ strano come i contenuti di questa rubrica mi trovino assolutamente concorde nel merito, ma un po’ perplessa nell’argomentazione.
Non credo però sia costruttivo cavillare su questo, perciò mi limito a condividere una osservazione a favore della bontà del “good enough” ed è il riferimento al “temperamento equabile”, sistema che “risolve” il problema di dividere l’intervallo di ottava in parti “uguali”, sebbene ciascuno di essi risulti dalla radice dodicesima di 2 (wikipedia è fortissima nel colmare le mie insufficienze culturali). E radice dodicesima di 2 … emh … dovrebbe essere un numero reale.
Ancora un’associazione mentale. In “2001 Odissea nello spazio”, quando il monolite si manifesta in epoca moderna, gli scienziati rimangono esterrefatti perché, per quanto affinino gli strumenti di misura, l’oggetto continua ad misurare ostinatamente 3 x 6 x 9 metri e, quindi, non può essere un manufatto umano.
Un saluto
Trovo abbastanza curioso vedere come, quando si arriva ai fondamenti, ognuno abbia opinioni proprie, quasi uniche. Ognuno risponde a modo suo sull’esistenza dei numeri reali (per quel nulla che possa contare, la mia opinione è che dovremmo prima metterci d’accordo sul concetto di “esistenza”; esiste Zio Paperone? No, se ci aspettiamo un papero vero in occhiali e marsina; sì, che consideriamo il personaggio condiviso dall’immaginario di milioni di persone), e sull’efficacia della matematica nella descrizione del mondo fisico. Anche qui la mia sensazione non è tanto che “ci accontentiamo delle approssimazioni”, quanto del fatto che il modo di ragionare dell’Homo sapiens (una volta pacificati gli istinti di sopravvivenza) razionalizza in un modo che potremmo chiamare matematico, e quindi c’è una sorta di vizio di fondo: per forza che la matematica funziona, se è con la matematica che ci convinciamo della bontà o meno di un ragionamento. Allo stesso modo, i conflitti arrivano lo stesso, però: nell’esempio di 2001 Odissea nello spazio (ricordavo le dimensione del monolito come 1x4x9, ma potrei sbagliare e soprattutto non cambia niente) gli strumenti non possono essere “affinati” oltre la lunghezza di Planck, se concediamo agli strumenti e al monolite stesso di essere fatti di una materia appartenente a quest’universo. La fisica lì si ferma, la matematica (con i numeri reali, che esistano o meno) è pronta ad andare ben oltre i 10 alla -35 metri.
Si è vero, ha ragione lei: il monolite misura 1x4x9 (“il quadrato dei primi tre numeri consecutivi: 1,2,3”, chiosa IA). Mi ricordavo male.
Forse è meglio se specifico che uno dei punti su cui concordo è l’auspicabilità di reciproca conoscenza e stima tra “umanisti” e “scienziati” in genere. Personalmente, per formazione scolastica, sto dalla parte degli “umanisti”, ma ho sempre amato la matematica (pur con pessimi risultati), e il fatto che frequenti queste pagine, lo conferma.
E quindi, nello spirito di “collaborazione” tra saperi, aggiungo, riguardo la disposizione umana a razionalizzare in modo matematico, che uno dei campi lessicali più stabili in una lingua è proprio quello dei numerali. Tanto che, assieme al campo semantico delle strutture di parentela, costituisce uno strumento fondamentale per la ricostruzione di un ipotetico “indoeuropeo”.
Finisco aggiungendo che gli indeuropeisti (almeno i pionieri di questa disciplina) classificavano le varie lingue in funzione dell’esito della consonante “K” prendendo come campione la parola per numerale cento: “ḱm̥tóm”.
Sperando che queste considerazioni non siano troppo fuori tema per questa discussione .
Un saluto
Giusto per condividere sia l’approccio che la conclusione, senza nulla togliere a Wigner ed ai suoi epigoni.
Io credo che “politica”, religione e matematica siano i più antichi ed evoluti costrutti fortemente astratti che i nostri predecessori ci hanno lasciato in eredità.
La matematica è tuttavia l’unico di questi costrutti che, pur avendo subito come gli altri un complesso, lungo e travagliato processo evolutivo, è riuscito a sviluppare un formalismo sempre più ampiamente condiviso.
Ciò ha consentito il confronto e l’apporto di decine di migliaia di contributi provenienti da menti appartenenti a epoche, società, costumi, ideologie e fedi anche molto diverse fra loro, consolidando l’impressione che i fondamenti della matematica possano essere qualcosa di “oggettivo”, da scoprire, e non qualcosa che sia frutto di una selezione evolutiva, e quindi qualcosa da “creare”.
Questo mi sembra abbastanza evidente proprio nell’uso della matematica che la fisica (ma non solo) ha fatto e fa della fenomenologia naturale rilevata sperimentalmente con il metodo scientifico.
Beh, come ho scritto nella mia presentazione io sono un platonista ancorché riformato e quindi non posso non pensare che gli enti matematici si scoprano (anche se *il loro utilizzo* è una cosa diversa).
Quel che è certo è che nei millenni abbiamo imparato a usare molto bene la matematica, e quindi abbiamo molte frecce al nostro arco per descrivere quantitativamente un fenomeno fisico. Poi è chiaro che qualche volta ci comportiamo come quelli che hanno in mano un martello e quindi vedono tutto come dei chiodi da ribattere.