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Una mini-serie a cura di Gabriele Belegni, dove esploreremo i concetti principali di una delle branche più affascinanti della matematica: la topologia. Cercheremo di scoprire le motivazioni e le idee che hanno spinto ad introdurre certi concetti concentrandoci sull’aspetto intuitivo piuttosto che su quello formale. Oggi incontreremo gli spazi topologici più utilizzati, le varietà. Trovate tutte le puntate su questa pagina.

Fino ad ora abbiamo fatto un gran lavoro! Abbiamo capito cosa studia la topologia, conosciuto la sua materia prima, gli spazi topologici, e imparato a maneggiarla con vari strumenti: omeomorfismi, proprietà topologiche, gruppo fondamentale, eccetera. Con essi possiamo trattare praticamente ogni tipo di spazio topologico, anche incredibilmente complicato, anche troppo complicato… già, perché in topologia incontriamo molti spazi “strani” utili per dimostrare alcuni fatti o fornire esempi ad hoc, ma che non si presenterebbero mai al di fuori di un discorso puramente teorico. Ad esempio lo spazio a pettine, la sfera cornuta di Alexander e la collana di Antoine sono spazi topologici molto interessanti da un punto di vista teorico, ma è difficile immaginarsi una situazione del mondo fisico dalla quale essi potrebbero saltare fuori.
In effetti nelle applicazioni si utilizza quasi esclusivamente un particolare tipo di spazi topologici: le varietà.

Figura 1: Da sinistra a destra, la collana di Antoine [1], la sfera cornuta di Alexander [2]
e lo spazio a pettine [3].

Tra le varietà ci sono la circonferenza, la retta, la sfera, il toro, tutti gli spazi euclidei, i solidi, i poligoni, le curve, il nastro di Möbius e la bottiglia di Klein, insomma praticamente ogni oggetto che vi viene in mente.
Esse sono degli spazi topologici che, visti abbastanza da vicino, ricordano molto uno spazio euclideo (come la retta \(\mathbb{R}\), il piano \(\mathbb{R}^2\), lo spazio in cui viviamo \(\mathbb{R}^3\) e in generale lo spazio n-dimensionale \(\mathbb{R}^n\)), e quindi sono in qualche modo gli spazi che ci sembrano più familiari, o comunque meno strani.
Ad esempio se guardate da vicino una qualunque parte di una circonferenza noterete che essa assomiglia ad una retta, cioè a \(\mathbb{R}\), lo spazio euclideo a una dimensione, e quindi diciamo che la circonferenza è una varietà di dimensione 1, o più brevemente una 1-varietà.
Analogamente, se guardate da vicino una parte di una sfera noterete che essa sembra un piano, cioè \(\mathbb{R}^2\), lo spazio euclideo bidimensionale, e quindi la sfera è una 2-varietà, stesso discorso vale per un toro e per praticamente tutte le altre superfici non troppo strane che conoscete.

Figura 2: Circonferenza e sfera viste da vicino ricordano rispettivamente una parte di retta
e una parte di piano.

Più precisamente, la proprietà che caratterizza le varietà è che esse sono localmente euclidee, cioè dato un qualunque punto \(p\) su di esse possiamo delimitare una piccola zona (in gergo un intorno) \(A\) attorno a \(p\) omeomorfa ad una parte (o meglio, un aperto) di uno spazio euclideo \(\mathbb{R}^n\), e \(n\) sarà la dimensione della varietà. La zona \(A\) prende il nome di carta, termine che risulterà più chiaro tra poco.
Insomma, una varietà non è proprio uno spazio semplice come \(\mathbb{R}^n\), ma vista da vicino lo ricorda abbastanza bene, ogni pezzetto della varietà può essere deformato su un opportuno spazio euclideo, così come possiamo deformare ogni pezzetto di una sfera su un (pezzo di) piano.
In realtà le varietà devono soddisfare altre 2 proprietà topologiche per motivazioni tecniche, ma non ne parleremo ora per non allungare troppo la trattazione.

Figura 3: Oltre agli spazi ben noti nominati prima, tra le varietà ci sono spazi intricati e affascinanti come le
superfici di Hanson e Calabi-Yau in figura. [4]

Torniamo alla sfera. Come osservato, essa è localmente euclidea, nel senso che attorno ad ogni punto posso trovare un intorno \(A\) che è omeomorfo a un pezzo di piano. Ogni piccola zona nella sfera è omeomorfa al piano, ma l’intera sfera non lo è: non riusciamo a immaginarci come deformare la sfera su un piano senza strappare o cucire nulla, e la nostra intuizione è confermata matematicamente dal fatto che sfera e piano hanno diversi gruppi di omotopia, o anche dal fatto che non condividono la proprietà topologica della compattezza (la sfera è compatta, il piano no). Le varietà in genere non sono globalmente omeomorfe a \(\mathbb{R}^n\), ma solo localmente.
Pensiamo ad una sfera molto grande, ad esempio la Terra senza considerare montagne e colline. Essendo una 2-varietà, in qualunque punto della Terra ci troviamo guardandoci attorno non ci sembrerebbe di stare su una sfera ma su un piano, ci muoviamo e ci orientiamo pensando di essere su una superficie piana, e per questo se dovessimo disegnare una cartina geografica di una certa zona lo faremmo su un foglio, cioè su un pezzo di piano. Nei termini della definizione data sopra, noi ci troviamo nel punto \(p\) e la zona che osserviamo e che rappresentiamo sulla mappa è \(A\): ecco perché si chiama carta, è come fosse una carta geografica della zona della varietà in cui ci troviamo. Spostandoci sulla Terra disegneremo varie carte e ad un certo punto avremo mappato tutta la superficie terrestre, avremo cioè costruito un atlante, un insieme di carte in grado appunto di rappresentare ogni zona del pianeta.
Un atlante della Terra non può avere una sola carta, perché come dicevamo prima la sfera ed il piano non sono omeomorfi, ma si può provare che bastano 2 sole carte per costruirne uno, una che ricopre ad esempio l’emisfero nord e l’altra che ricopre l’emisfero sud: ecco perché le cartine geografiche del nostro pianeta sono composte da 2 pezzi (esistono anche mappamondi fatti su un singolo foglio, ma notate che comportano una “rottura”, un taglio netto solitamente in corrispondenza dello stretto di Bering e nel leggerlo bisogna tener conto che superando il “confine a destra” del foglio si sbuca nella parte a sinistra).

Figura 4: Un altante della Terra. Notate che servono almeno 2 carte per rappresentare la Terra
senza effettuare rotture come quella descritta sopra. [5]

Stessa idea e stessa terminologia vengono poi adottate per varietà generiche: grazie ad una carta \(A\) possiamo orientarci usando delle coordinate su una zona della varietà, e un atlante è un insieme di carte in grado di ricoprire tutta la varietà. In generale la carta \(A\) non sarà un foglio ma un oggetto \(n\)-dimensionale, dove \(n\) è la dimensione della varietà.

Le varietà vengono studiate principalmente sotto 3 punti di vista distinti, a cui corrispondono altrettanti tipi di varietà: quelle topologiche, quelle differenziabili e quelle Riemanniane.

Le varietà topologiche sono quelle di cui abbiamo parlato finora, e il loro studio consiste nel cercare di classificarle, cioè capire quali sono o non sono omeomorfe tra di loro. Partendo dal fatto che varietà di dimensione diversa non possono essere omoeomorfe, per classificarle le dividiamo in 2 categorie: varietà di dimensione bassa, cioè fino a 4, e varietà di dimensione alta, da 5 in su.

Le varietà di dimensione 1 sono le curve semplici (cioè senza autointersezioni) e sono molto facili da classificare: o sono omeomorfe alla retta o sono omeomorfe alla circonferenza, rispettivamente se sono curve aperte o chiuse, non ci sono altre possibilità.
Abbiamo anche una classificazione delle varietà compatte di dimensione 2. Si scopre che o sono omeomorfe alla sfera, o a una serie di tori incollati tra loro (per meglio dire, una somma connessa di tori) o a una serie di spazi proiettivi incollati tra loro. So che non abbiamo parlato di spazi proiettivi, per farla breve sono degli spazi con un “punto di fuga”, un punto in cui tutte le rette parallele vanno a incontrarsi (pensate a quando fate un disegno in prospettiva), per oggi non ci interessa conoscerli meglio. Se la superficie è orientabile, cioè possiamo distinguere una parte “dentro” da una “fuori”, allora o è omeomorfa alla sfera (se non ha buchi a parte la cavità interna) o a una somma connessa di tori (tanti tori quanti buchi), mentre se non è orientabile (come ad esempio il nastro di Möbius), cioè non riusciamo a distinguere “dentro” e “fuori”, allora abbiamo una somma connessa di spazi proiettivi.

Figura 5: Alcune 2-varietà orientabili. A sinistra, somma connessa di 2 tori [6], al centro due superfici
date dalla somma connessa di 3 tori (in particolare sono omeomorfe tra loro) [7][8], a destra
una superficie data dalla somma connessa di 6 tori. [9]

Le varietà di dimensione 3 possono essere pensate come delle possibili forme dell’Universo, nel senso che tutte le 3-varietà viste da vicino appaiono come ci appare l’Universo. La loro classificazione è estremamente più complessa rispetto a quella delle varietà di dimensione 1 e 2, tenete conto che il solo capire quali 3-varietà fossero omeomorfe alla 3-sfera (cioè \(S^3\), l’analogo della sfera ma nello spazio quadridimensionale) ha richiesto 100 anni ed è valso 1 milione di dollari: questo era infatti uno dei 7 “Problemi per il millennio“, 7 storici problemi matematici irrisolti per la cui soluzione l’Istituto matemtico Clay ha piazzato una taglia di appunto 1 milione di dollari ciascuno. Di questi 7 l’unico ad essere stato risolto è la congettura di Poincaré, proposta nel 1904 dal celebre Henri Poincaré e riguardante appunto le 3-varietà omeomorfe alla 3-sfera. Il problema è stato risolto nel 2002 dal misterioso matematico russo Grigorij Perel’man, il quale ha però rifiutato il premio e si è ritirato a vita privata nella periferia di San Pietroburgo e non rilascia interviste o dichiarazioni dal 2006.
Vi consiglio una lettura sull’affascinante storia di Perel’man su questo link. Se vi piacciono storie come queste vi consiglio assolutamente di seguire la pagina ;).

Figura 6: Un 3-toro visto molto da vicino, notate la somiglianza con lo spazio tridimensionale. [10]

Le varietà da dimensione 5 in su vengono classificate usando una tecnica particolare chiamata chirurgia. Restano le varietà di dimensione 4, che esibiscono comportamenti sorprendenti e particolari rendendo la loro classificazione abbastanza difficile. Non ci addentreremo nei dettagli, ma l’idea è questa: finché abbiamo 1, 2 o 3 dimensioni non c’è abbastanza “spazio” per far succedere cose troppo strane, mentre se abbiamo 5 o più dimensioni possono verificarsi fenomeni particolari ma abbiamo abbastanza dimensioni per riuscire a sbrogliarli e semplificarli. La dimensione 4 è quella scomoda via di mezzo in cui c’è abbastanza spazio per far succedere cose strane ma non abbastanza per risolverle, ed è quindi ricca di fenomeni speciali che non si verificano in altre dimensioni e che richiedono tecniche e strumenti ad hoc.

Veniamo ora alle varietà differenziabili. Queste sono varietà topologiche con una struttura aggiuntiva, detta struttura differenziabile, che permette di usare gli strumenti dell’analisi su di esse. Se le varietà topologiche sono oggetti “plastici”, facilmente modellabili ma che possono avere praticamente ogni forma, le varietà differenziabili sono anche lisce (anche qui in un senso ben specifico), non “spigolose”. Sulle varietà differenziabili riusciamo a dare la nozione di tangenza e possiamo costruire vettori, fare derivate e integrali e definire vari oggetti che ci permettono, per farla breve, di fare alcuni calcoli sulle varietà.
Esse vengono usate in vari ambiti della fisica e soprattutto della fisica matematica, ad esempio sono utili in meccanica lagrangiana e hamiltoniana, dove lo spazio in cui può muoversi un oggetto soggetto a vincoli è modellizzato appunto come una varietà differenziabile. Tratteremo meglio questo aspetto nella prossima puntata.

Ancora più fondamentali per la fisica sono infine le varietà Riemanniane, che sono delle varietà differenziabili in cui abbiamo una nozione di prodotto scalare, il che ci fornisce l’utilissima abilità di misurare le distanze su di esse. Nelle varietà topologiche e differenziabili non abbiamo modo di misurare la distanza tra punti, in quelle Riemanniane sì, il che le rende estremamente comode. Avete presente la famosa teoria della relatività generale formulata da Einstein? Bene, in questa teoria il nostro Universo, o meglio lo spaziotempo, è modellato come una varietà Riemanniana di dimensione 4.

Figura 7: In relatività generale lo spaziotempo è una 4-varietà e la massa degli oggetti ne determina una curvatura. La figura a sinistra [11] rende bene l’idea, ma non è del tutto corretta in quanto rappresenta lo spaziotempo come un piano. Più corretta è l’immagine a destra. [12]

Abbiamo visto tanti esempi di varietà, i più curiosi potrebbero allora chiedersi quali sono degli spazi che non sono varietà. Giusto per citarne alcuni abbiamo lo spazio a pettine visto sopra, la curva del topologo, il famigerato insieme di Cantor e un doppio cono, e in generale tutti gli spazi ottenuti mettendo assieme oggetti di dimensione diversa, ad esempio una sfera con attaccati uno o più segmenti.


Figura 8: Da sinistra a destra, l’insieme di Cantor (o meglio una sua versione tridimensionale) [13], un doppio cono e la curva del topologo (\(sin(1/x)\) per \(x \neq 0\), \(0\) per \(x = 0\)). Ad esempio il doppio cono non è una varietà poiché visto da vicino nel vertice comune esso non ricorda alcuno spazio euclideo.

Le varietà sono quindi gli spazi topologici più utilizzati e di conseguenza più studiati, ci permettono di descrivere strutture anche molto complicate in termini di spazi più semplici e ben conosciuti. Appaiono negli ambiti più disparati della matematica e della fisica, per citarne alcuni troviamo i gruppi di Lie, utili quando abbiamo a che fare con “simmetrie continue” in fisica, lo studio delle membrane in biofisica, le teorie di gauge e in particolare la teoria di Yang-Mills, una teoria quantistica dei legami nucleari elaborata negli anni ’50 e ambito di una ricerca molto attiva (un altro dei 7 problemi del millennio riguarda il fenomeno del gap di massa proprio in questa teoria, cioè capire se la massa della particella più leggera è maggiore di 0), la teoria della relatività generale e ogni altra teoria di campo relativistica.

Insomma, le varietà sono un costrutto fondamentale, e penso che siano l’oggetto giusto per chiudere la nostra chiacchierata sulla topologia. Ovviamente ci sarebbero numerosi altri aspetti di cui parlare, ma inizierebbero a diventare troppo complicati per poterli trattare in modo informale come fatto finora. Concludere qui significherebbe però aver presentato solo la parte teorica della topologia, ma come vi ho spesso accennato questa disciplina gode di numerose e interessanti applicazioni, alle quali dedicheremo quindi la prossima ed ultima puntata. Ci vediamo lì!

Images credits:
Le copertine dei vari articoli sono state realizzate da Nicolò Buselli.

[1] By Blacklemon67 – https://en.wikipedia.org/wiki/File:Antoine%27s_Necklace_Iteration_2.png, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=39804697
[2] https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-92690-8_25
[3] By Adam majewski – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20532092
[4] http://aleph.se/andart2/math/calabi-yau-and-hansons-surfaces/
[5] https://www.josefundjosefine.com/products/the-world-in-hemispheres-reprint-on-linen?variant=34467020308539
[6] By Oleg Alexandrov – Own work, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2690147
[7] https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Orange_Genus_3_Surface.png
[8] https://www.semanticscholar.org/paper/Patterns-on-the-Genus-3-Klein-Quartic-Séquin/b342ea51070885adde47fa761bcd56cccae241b8
[9] https://www.craftsmanspace.com/free-3d-models/genus-6-3d-surface.html
[10] By Jeff Weeks – http://geometrygames.org/CurvedSpaces/index.html, GPL, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36157566
[11] https://scitechdaily.com/new-atomic-clocks-measure-time-dilation-of-einsteins-general-relativity-at-millimeter-scale/
[12] https://bigthink.com/starts-with-a-bang/spacetime-real-physical-calculational/
[13] https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=55186

Gabriele Belegni

Gabriele Belegni, laureato in Matematica teorica e studente magistrale in Matematica applicata presso l’Università di Camerino. Mi occupo anche della divulgazione matematica nelle sue varie forme: articoli, conferenze e laboratori.

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