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Qualche giorno fa sono stati presentati pubblicamente i risultati delle prove INVALSI 2021, che hanno, più di altri anni, sollevato numerose polemiche in rete, spesso poco documentate, e qualche analisi più approfondita. Dopo qualche giorno di riflessione vi proponiamo il commento di Maria Mellone della Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica dell’Unione Matematica Italiana (UMI-CIIM).

Dopo la sospensione, a pochi mesi dall’inizio della pandemia, delle prove INVALSI del 2020, quest’anno, invece, si è deciso di attivare la macchina del complesso processo di somministrazione delle prove INVALSI 2021 e di analisi dei risultati. Una scelta politica per nulla inevitabile, che ha determinato l’investimento di tantissime energie organizzative, informative e motivazionali da parte delle scuole e non solo, in un momento in cui queste energie scarseggiavano se non erano proprio quasi del tutto esaurite.

Il primo elemento di riflessione è proprio relativo alla scelta di fare le prove in questa situazione e in questo clima. In un anno e mezzo in cui la scuola ha dovuto rinunciare a tantissimo, sospendendo di fatto l’esperienza scolastica fondamentale di una relazione educativa in presenza, forse sarebbe stato opportuno rinunciare alle prove INVALSI che comunque costituiscono motivo di stress per istituti scolastici, insegnanti e studenti essendo uno strumento di osservazione invasivo e tutt’altro che a costo zero.

Questa scelta politica può, d’altra parte, essere letta come l’ennesimo tentativo di mettere “la scuola al centro” del rilancio sociale ed economico del nostro paese, come sottolineato dal ministro Bianchi nella conferenza di presentazione dei primi risultati INVALSI,  evidenziando alcune problematiche da considerare per poi impegnare efficacemente risorse.

Da una parte è però legittimo il dubbio se fosse necessario rilevare statisticamente che quest’anno la scuola ha sofferto (vedi per esempio questo post di Leonardo Tondelli) e con lei tutti gli attori maggiormente coinvolti: studenti, insegnanti e dirigenti. Dall’altra, sono emerse problematiche rilevate già prima della pandemia: con problemi di discriminazione sociale, di disuguaglianza e un tasso di dispersione scolastica molto alto soprattutto nelle aree del sud.

In questa direzione è evidente che il quadro di grandissima sofferenza – restituito dai risultati delle prove INVALSI di quest’anno – vada letto in una cornice interpretativa più complessa rispetto alla mera lettura in termini di “risultati della Dad”. Come messo in evidenza in altri post di maddmaths sulle prove INVALSI, l’interpretazione di un fenomeno è un processo complesso, ma proprio per questo interessante e generativo. Le prove INVALSI sono, infatti, uno strumento utile e potente per tante ragioni, ma una delle questioni più delicate connesse alla loro somministrazione e valutazione, tra l’altro condivisa con altre prove di valutazione come il PISA o il TIMSS, riguarda il fatto che i suoi item, costruiti con grande competenza e studio, incorporano una visione della “matematica da insegnare” molto spesso non corrispondente alle pratiche di insegnamento sviluppate a scuola. In estrema sintesi, nella visione della matematica veicolata dalle prove INVALSI viene completamente ridimensionato il ruolo delle procedure dando invece molto più spazio ai significati connessi all’uso di strumenti matematici. Sebbene potenzialmente idoneo a innescare un processo di innovazione dell’insegnamento della matematica di portata rivoluzionaria, questa visione della “matematica da insegnare” necessiterebbe, però, di un intervento sulla formazione degli insegnanti. Sarebbe quindi fondamentale attivare progetti di formazione insegnanti sistemici e strutturali sul piano nazionale, per condividere questa visione e aprire un dialogo reciprocamente generativo con gli insegnanti. Ma una formazione insegnanti di questa portata di fatto non c’è mai stata e non si può pretendere di innovare tralasciando la variabile più importante: si sono create così le condizioni per le quali molti insegnanti hanno una percezione delle prove INVALSI come di uno strumento di valutazione estraneo alla loro pratica, subito e mai realmente partecipato.

Dopo questa premessa generale che ci fornisce altri strumenti interpretativi, torniamo a parlare delle prove di quest’anno. Per quanto riguarda la scuola primaria, in particolare per la matematica, il rapporto INVALSI restituisce dei risultati tutto sommato stabili rispetto al 2019. D’altra parte, presumibilmente, le conseguenze di questo periodo di pandemia e dell’uso massiccio (in alcuni casi esclusivo) della Dad sul benessere cognitivo dei più giovani diventeranno evidenti solo nei prossimi anni.

Alla fine della scuola secondaria di primo grado, i dati sono già preoccupanti e, per la matematica, la percentuale degli allievi che non hanno raggiunto i traguardi previsti dalle indicazioni nazionali passa dal 40% del 2018 e 39% del 2019 al 44% del 2021. Inoltre, anche se la distribuzione evidenzia un calo dei risultati generalizzato, questo si concentra principalmente, anche se non esclusivamente, tra gli allievi socialmente svantaggiati. Ovviamente in queste criticità, oltre che leggere la difficilissima esperienza dell’ultimo anno e mezzo, vanno riconosciute delle fragilità sviluppate da questi alunni in tutta la loro esperienza scolastica.

Ma il risultato davvero critico viene registrato alla fine della scuola secondaria di secondo grado. Quest’anno le prove sono state effettuate solo all’ultimo anno della scuola secondaria e i risultati indicano che il 51% di questi studenti non raggiunge il livello considerato di accettabilità di competenze matematiche (nel 2019 erano il 42 %). Come già osservato, le competenze di un determinato livello scolastico sono comunque il risultato delle competenze sviluppate anche nei gradi scolastici precedenti. Quindi laddove si assuma che i risultati delle prove restituiscano un quadro significativo del livello di competenza degli studenti, è evidente che comunque i risultati di quest’anno non possono essere attribuiti solo a ciò che è successo in quest’ultimo difficilissimo periodo di scuola, ma anche gli effetti di una scuola già parecchio in sofferenza prima della pandemia.

D’altra parte, un’altra chiave interpretativa importante riguarda il grado di impegno con il quale sono state affrontate le prove: questo sì potrebbe essere stato fortemente condizionato da quella stanchezza e demotivazione contingente di cui abbiamo parlato all’inizio. Ad esempio, l’esclusiva modalità online delle prove, pur garantendo la massima flessibilità e permettendo di adattare il protocollo di somministrazione delle prove alle diverse esigenze delle scuole, ha ulteriormente sottratto del prezioso spazio vitale di presenza e relazione a ragazzi che in alcuni casi erano tornati da pochi giorni a scuola, demotivandoli ulteriormente nell’affrontare le prove.

Al netto di queste considerazioni, resta interessante (e preoccupante) l’analisi dei dati comparativi: l’incremento delle quote degli studenti con difficoltà sia molto maggiore tra coloro che provengono da famiglie svantaggiate e nelle aree del Sud Italia. Se la Dad ha avuto un effetto negativo dal punto di vista educativo, i risultati INVALSI, sembrano suggerire che la pandemia possa aver agito con maggiore violenza proprio sulle situazioni più critiche, incrementando i contesti di povertà educativa e mettendo ancora di più in crisi l’essenziale funzione perequativa della scuola. In altre parole, la difficoltà del sistema nel garantire a tutti e a ciascuno buoni livelli di competenza è aumentata proprio negli ambienti più svantaggiati. Nella conferenza di presentazione dei risultati si è giustamente parlato, più che di Dad, di “scuola da casa” e delle gravissime disuguaglianze che questa visione porta con sé.

I dati più gravi e preoccupanti sono, però, quelli relativi alla dispersione scolastica. Secondo il rapporto INVALSI 2021 in Italia il 23% dei giovani della fascia di età 18-24 anni ha abbandonato la scuola o l’ha terminata senza acquisire competenze di base minime (nel 2019 erano il 22,1%). In particolare preoccupa l’aumento della dispersione scolastica implicita, cioè la percentuale di studenti che pur non essendo dispersi non hanno acquisito competenze di base minime, che dal 7% del 2019 sale quest’anno al 9,5%, raggiungendo nel solo Mezzogiorno il 14,8%. Inoltre, ciò che forse allarma di più è che, come sottolineato da Roberto Ricci, i contesti che hanno maggiormente bisogno di un intervento spesso sono proprio quelli che tendono a non fornire dati. Questa riflessione lascia immaginare contesti di ulteriore sofferenza rispetto alle già immense fragilità che queste prove hanno messo a fuoco, contesti di estrema povertà educativa nei quali la scuola da sola non riesce a intervenire in maniera efficace.

Se le energie profuse per l’organizzazione e realizzazione delle prove INVALSI nel 2021 trovano significato nell’appello del ministro Bianchi di rimettere la scuola al centro di qualsiasi operazione di rilancio del nostro paese, l’augurio è che a partire da questi risultati altrettante energie vengano effettivamente messe in campo per orientare la scuola verso la realizzazione di rigeneranti e virtuose relazioni educative tra insegnanti e studenti. Se da un lato la Dad è stato uno strumento importantissimo per garantire una certa continuità nella relazione educativa insegnanti-studenti, il suo uso massiccio ha però creato danni psicologici, sia cognitivi che affettivi non solo negli studenti, ma anche negli insegnanti. Gli insegnanti, infatti, hanno faticato e faticano a trovare la loro identità educativa in una realtà scolastica sconvolta inesorabilmente dalla pandemia. Bisogna allora offrire loro un supporto valido per riconsegnare il valore intrinsecamente resiliente della loro professione. L’insegnamento ha, infatti, tra i sui principali obiettivi quello di mettere in collegamento le nuove generazioni con la cultura, facendone percepire bellezza e utilità e rendendola un trampolino di lancio per nuove scoperte e creazioni umane.

Vorrei allora concludere questo articolo con una nota positiva, presentando il racconto di un progetto interdisciplinare, iniziato il 21 dicembre 2020 e dedicato a Dante Alighieri, nel settimo centenario della sua morte. Il progetto punta allo sviluppo delle competenze matematiche, linguistico-letterarie e grafiche con l’obiettivo della creazione di una tombola (completa di tabellone, schede, paniere e scatola) tutta dedicata all’Inferno dantesco, in cui i 90 numeri sono associati ad altrettanti personaggi della prima cantica della Divina Commedia. Lo scopo del progetto è stato anche quello di coinvolgere in un’esperienza di didattica in presenza (quando possibile all’aperto, ma comunque in contesti di sicurezza) in vari luoghi della città di Napoli, un gruppo di quindici ragazzi e ragazze provenienti da quartieri e realtà molto diverse, in una regione in cui – più che in altre – è stata sacrificata la didattica in presenza. Si tratta di uno dei tanti piccoli grandi miracoli educativi che stanno avvenendo in tempi di pandemia e che ci auguriamo possano moltiplicarsi a macchia d’olio il prossimo anno, contribuendo a mettere finalmente “la scuola al centro” e ripartire.

Maria Mellone

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