Sabato scorso si è tenuto a Bologna l’annuale Workshop di Scienza al femminile, sponsorizzato dal Piano Lauree Scientifiche. Gli interventi, molto apprezzati dal pubblico che assisteva in presenza e in remoto e comprendeva numerosi ragazzi e ragazze dei licei scientifici bolognesi, hanno affrontato il problema del gender gap sotto varie prospettive. Ce lo racconta Chiara de Fabritiis (coordinatrice del comitato pari opportunità dell’UMI).
Gli ingredienti per una bella mattinata autunnale di scienze non sono molti, ma per una riuscita ottimale della preparazione devono essere tutti di prima qualità; se questo requisito è soddisfatto, si può essere sicuri di una riuscita impeccabile che solleticherà l’interesse e l’attenzione di tutti i presenti.
Prendete quindi un tema di attualità ma non scontato, come la scienza al femminile, farcitelo di relatori e relatrici briosi e competenti, unite un pubblico interessato composto di studentesse e studenti dei licei scientifici bolognesi, guarnendo infine con un gruppo di organizzatrici efficienti e appassionate e otterrete un gustoso evento della serie PLS (piano lauree scientifiche) con obbiettivo la parità di genere.
Questo è quello che è accaduto sabato nel complesso Berti-Pichat dell’Università di Bologna, dove, nel workshop annuale “Scienza al Femminile”, tante persone si sono incontrate, sia in presenza che in remoto, per fare il punto sulla situazione odierna, scegliendo di non celebrare scienziate del passato, ma portando le storie di giovani donne che lavorano fuori e dentro l’accademia.
Ha aperto i lavori la professoressa Chiara Elefante, prorettrice alle risorse umane di Unibo, che ha evidenziato che in eventi come questo l’università cerchi nuovi spunti dalle giovani generazioni per aumentare la consapevolezza diffusa e la sensibilizzazione sulle pari opportunità e portare a ogni micro-universo sociale il messaggio dell’importanza del bilanciamento di genere.
La parola è poi passata a Roberto Ricci, presidente INVALSI da poche settimane, statistico di formazione bolognese. Ricci ha motivato con grande ricchezza di dati che una società dove c’è equilibrio di genere, oltre che essere eticamente più giusta, è inoltre una società che funziona meglio, anche a livello economico e di sviluppo.
L’ultimo intervento prima della pausa è stato appannaggio di Roberta Fulci, laureata in matematica a Roma, dottorato a Bologna e che è nota a un vasto pubblico come autrice e voce di Radio3 Scienza. Anche lei, essendo una matematica di formazione, ha voluto partire dai numeri, in particolare dal dato UNESCO che stima le donne nelle scienze al 28% su scala globale, mentre in Italia arriviamo al 36%.
Dopo la pausa, ha parlato Ilenia Piccardi, studi in fisica fino al conseguimento del dottorato, transitata poi alla sociologia e autrice de “I labirinti di cristallo”, in cui si sottolinea come le donne non debbano soltanto abbattere il soffitto di cristallo, che simboleggia le difficoltà di avanzamento di carriera, ma anche la porta di cristallo, che rappresenta le difficoltà ad entrare nel modo accademico. L’equità di genere nella scienza è infatti per la Commissione europea una delle priorità delle politiche per ricerca e innovazione e l’Unione favorisce progetti per spiegare i fenomeni di segregazione e ridurla.
La giornata è terminata con le testimonianze di Chiara Amadori, geologa, Elisa Frontani, chimica industriale, e Laila Mainò, matematica. Amadori ha raccontato con ricchezza di numeri e grande coinvolgimento, il lavoro di chi si occupa delle geoscienze. Si tratta di discipline in cui è presente un notevole differenza fra dottorato, in cui il gender gap è praticamente assente, e l’apice della carriera accademica, in cui invece lo squilibrio è molto accentuato; è questa problematica quella su cui possiamo e dobbiamo incidere. A tale scopo la Società Geologica Italiana si è dotata di una Divisione Diversità, Equità, Inclusione chiamata PanGEA che ha come obbiettivo quello di agire in tutti i rami delle geoscienze, Sono già state attuate iniziative per migliorare la comunicazione in ambito universitario, scolastico e nella libera professione, fra cui un Workshop dedicato alle tematiche del gender gap, alcune attività per la giornata internazionale delle donne e ragazze nelle scienze, che si celebra l’11 febbraio di ogni anno e l’istituzione di una rete di mentoring.
Frontoni, che lavora in Ducati, ha raccontato la sua esperienza di donna che lavora in un ufficio tecnico di un’azienda metalmeccanica. Il suo percorso inizia con il liceo scientifico, dove le piacciono tutte le materie scientifiche; dopo il diploma, sceglie chimica industriale per rivolgersi all’industria fin dall’inizio del percorso di studi universitari. Svolge la tesi presso un’azienda esterna, a Milano in SNAM progetti, 6 mesi che sono di crescita personale e non solo accademica. La proposta del suo relatore di svolgere un Master in metallurgia la spiazza, ma accetta volentieri; alla conclusione del master viene contattata da Ferrari, dove fa prima uno stage in fonderia e poi viene assunta nel laboratorio materiali. Dopo aver lavorato 12 anni ed essere diventata referente di un reparto, ha un’opportunità di tornare a Bologna, in Ducati dove le propongono un mestiere diverso: tecnologa, esperta di processi produttivi, di impianti. Adesso lavora in Ducati da 9 anni, chimica in un ufficio di 100 ingegneri, in grande maggioranza uomini. Quello che le ha permesso di fare questo importante cammino lavorativo è stato il fatto di aver cercato di cogliere le opportunità che le si presentavano e di sfruttarle al massimo, gli studi scientifici danno infatti un modo di affrontare i problemi e una forma mentis che permette di capire le cose e, ragionando, trovare le possibili soluzioni.
L’ultima a parlare è stata Laila Mainò, laurea a Bologna, PhD ad Harvard con Joe Harris. Mainò ha cominciato ricordando a ragazze e ragazzi che devono avere la possibilità e il diritto di cambiare idea; lei ha iniziato a studiare matematica perché era una disciplina che le dava sicurezza, di cui le piacevano la pulizia, la linearità, la semplicità, la bellezza. Ha avuto la fortuna di trovare una persona competente e appassionata, che si è presa cura del suo percorso di studi; un mentore infatti è chi ti porta a superare i tuoi limiti. Spinta a fare domanda all’estero, consiglia a tutto il pubblico giovane di fare un’esperienza fuori casa, anche se confessa che per i primi 6 mesi ha tenuto la valigia pronta per tornare a casa sotto il letto, guardandola tutti i giorni. La parte umana di questa esperienza è stata importantissima, stare a 6mila km di distanza da casa in una società multiculturale, cambia la prospettiva. Dopo un anno di insegnamento a University of Michigan ha preferito non continuare con la ricerca e l’insegnamento e ha cominciato a occuparsi di consulenza nell’abbigliamento, nel tessile, nella grande distribuzione. Il problem solving. che viene insegnato nelle facoltà scientifiche e a matematica in particolare, infatti, è stato un passepartout impagabile: i dati devono venire tradotti in informazioni, perché altrimenti sono solo una massa informe. Questo passaggio però non era per lei sufficiente ed è entrata in Fendi, dove ha iniziato a lavorare sui numeri: raccolta, interpretazione, diffusione su scala mondiale. Del resto una nota definizione del lusso è “blend of magic and logic” e sulla logica Mainò pensava di poter dare un valido contributo. Anche altri hanno pensato così, perché si è spostata poi a Parigi a lavorare in Yves Saint Laurent e adesso è in Bottega Veneta. Il messaggio che vuole lasciare in chiusura è importante per tutti e tutte: le materie scientifiche danno una grandissima libertà di scegliere il proprio percorso futuro. E ricordatevi, ha concluso, che se non vedete donne in una posizione, dovete pensare: è arrivato il momento di vedere una donna lì, e potrei essere io…