Vari siti di informazione hanno riportato la notizia di un padre che costringeva il figlio a recitare tutte le tabelline, picchiandolo quando non le sapeva, e che è poi stato condannato in sede giudiziaria. Anna Baccaglini-Frank riflette su questo atteggiamento autoritario di alcuni genitori quando si affronta la matematica.
Il Tiger parenting (老虎妈妈, “tiger mother” or “tiger mom”, ovvero la mamma tigre) – è un fenomeno ormai riconosciuto ufficialmente come l’atteggiamento genitoriale che prevede l’uso di metodi autoritari mettendo sotto forte pressione i propri figli perché raggiungano alti livelli nelle loro prestazioni accademiche. Il termine è stato coniato dalla professoressa di giurisprudenza Amy Chua nel suo libro del 2011 Battle Hymn of the Tiger Mother (L’inno di battaglia della Madre Tigre) che illustra come la figura tradizionale orientale della “tiger mom” ormai si sia affermata anche nella società americana. La figura stereotipata dipinge la “tiger mom” come una madre che spinge il proprio figlio a studiare senza tregua, fino allo sfinimento, senza tener conto anche del suo sviluppo sociale e fisico e del suo benessere emotivo.
Purtroppo pare che il fenomeno stia prendendo piede anche in Italia, dove alle mamme tigri si sono aggiunti ora anche i padri tigri, come ci dice la notizia recente che riporta che il padre di Luca, un bimbo di 8 anni che da tre anni era costretto a recitare le tabelline a memoria fino a quella del 15 (link), è stato poi condannato per abuso di mezzi di correzione.
Torna il tema delle tabelline e della loro memorizzazione, discusso a lungo in altri articoli in questo sito. Questa volta vorrei però soffermarmi sull’imposizione di un apprendimento “a memoria”, che qui significa il saper recitare verbalmente, senza leggerle, sequenze di multipli. L’imposizione, cioè, è quella di avere una prestazione perfetta sulla recitazione di una sequenza di numeri (potrebbero essere numeri di telefono!), fine a se stessa, in cui importa solo il risultato, perché questo è l’unico oggetto di valutazione (addirittura soltanto punitiva: Luca riceveva uno scappellotto se sbagliava!). Troppo spesso continuano a verificarsi fenomeni di questo tipo anche in contesti scolastici, e, di riflesso, in contesti famigliari, in cui l’attenzione è tutta rivolta soltanto al voto finale; e se il buon voto arriva anche solo per un apprendimento mnemonico – a prescindere dall’accertamento di una comprensione a monte – si continuerà ad alimentare il circolo vizioso.
È forse importante ribadire che l’apprendimento della matematica, secondo la comunità internazionale di ricercatori in didattica della matematica, è significativo e coerente con la vera matematica soltanto se consente di capire “i perché” dei fatti; e capire i perché dei fatti è possibile soltanto se spostiamo tutta la nostra attenzione sui processi, anziché focalizzarci sui risultati e basta. Questa attenzione deve essere promossa innanzitutto dalla scuola, perché si possa propagare, creando circoli virtuosi, anche nelle famiglie di ogni studente.
Per quanto riguarda le tabelline, “come” vengono imparate influenza in modo fondamentale “quanto” le riusciamo ad automatizzare costruendole come fatti nella nostra memoria a lungo termine che riusciamo a recuperare ed eventualmente a “spacchettare” all’occorrenza. Per questa ed altre riflessioni rimandiamo a “Errori, lentezza e tabelline. Rosetta Zan e Anna Baccaglini-Frank intervengono ancora sul metodo analogico” e all’articolo “Matematica senza paura” di Jo Boaler, apparso su Archimede 1/2016, che trovate qui.
Anna Baccaglini-Frank