Nel dicembre 2024 sono stati pubblicati i risultati dell’indagine PIAAC-OCSE, che ha valutato le competenze di alfabetizzazione, matematiche e di problem solving adattivo degli adulti nei Paesi partecipanti. I risultati italiani sono stati inferiori alla media OCSE, suscitando preoccupazioni e dibattiti sull’adeguatezza del sistema educativo italiano e sulle implicazioni culturali e sociali di tali risultati. Su questi temi abbiamo chiesto l’opinione di Giorgio Gronchi, ricercatore presso l’Università di Firenze, dove insegna Psicologia Generale e Psicologia della Decisione.
Nel mese di dicembre 2024, sono stati diffusi i risultati dell’indagine PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies)-OCSE, uno studio internazionale finalizzato a misurare competenze di alfabetizzazione (lettura e comprensione di testi scritti), matematiche (comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche) e di problem solving adattivo (raggiungere un obiettivo in una situazione complessa, nella quale la soluzione non è immediatamente evidente) degli adulti nei Paesi partecipanti. Il quadro italiano appare sconfortante, presentando punteggi sotto la media OCSE in tutti e tre gli ambiti. Le analisi allarmistiche non si sono fatte attendere nel dibattito pubblico, e l’Italia è stata descritta come un Paese in declino culturale, i cui abitanti sono stati additati come incapaci di leggere, comprendere testi complessi o svolgere semplici calcoli. In alcuni casi, è stato perfino ipotizzato un nesso causale tra queste prestazioni scadenti e la tendenza a credere alle fake news, al complottismo o a votare seguendo particolari orientamenti politici.
Tuttavia, queste interpretazioni dell’indagine PIAAC appaiono come eccessivamente affrettate, perché non tengono conto della complessità dei fattori in gioco e, più in generale, della letteratura scientifica a riguardo. In questo articolo verranno sintetizzati alcuni di questi elementi. In primo luogo, molti commentatori hanno enfatizzato le differenze, in termini assoluti, tra la media OCSE e i punteggi ottenuti dal campione italiano, citando come, ad esempio, la media italiana in alfabetizzazione (245 punti) si trovi al di sotto dei 260 punti della media OCSE e a decine di punti di distanza dal paese con il valore massimo (296 punti). Analisi del genere hanno poco significato, in quanto i punteggi andrebbero interpretati considerando perlomeno un indice di variabilità, come la deviazione standard (che risulta di 55 punti). Al netto del fatto che sarebbe opportuno riportare analisi più sofisticate (come indici di dimensioni dell’effetto, per quantificare la grandezza di queste differenze), già considerare la deviazione standard rappresenta un’utile indicazione per comprendere l’andamento dei dati e per interpretarli in modo meno allarmistico (tendenze simili si osservano in ambito matematico e di problem solving). Inoltre, i risultati dell’indagine vengono generalmente attribuiti dai media all’intera popolazione italiana (ad esempio, “il 35% degli adulti italiani rientra nella categoria degli analfabeti funzionali”), laddove il campione sottoposto alle prove è solo di 4847 individui. Come è noto, generalizzare i risultati ottenuti su un campione all’intera popolazione è un problema di inferenza statistica non banale, che comporta un tasso di errore (e quindi sarebbe bene interpretare i dati alla luce di qualche indice statistico come, ad esempio, p-value, intervalli di confidenza, e così via).
Per quanto riguarda le prove proposte nei tre ambiti, è lecito domandarsi se i problemi proposti misurino davvero le competenze di alfabetizzazione, matematiche e di problem solving adattivo, indispensabili per partecipare attivamente alla vita sociale ed economica contemporanea. La risposta non è così scontata, dato che la letteratura scientifica ha osservato come il contesto e il formato del problema influenzino significativamente la capacità di una persona di risolverlo, anche nel caso in cui possieda le competenze necessarie. In altri termini, performance non sufficienti non implicano necessariamente un deficit di competenze. Ad esempio, un famoso studio di Nunes e collaboratori del 1982[1 ]Nunes, T., Schliemann, A. D., & Carraher, D. W. (1993). Street Mathematics and School Mathematics. Cambridge University Press. ha indagato la capacità di risolvere problemi matematici da parte di bambini che, date le difficili condizioni economiche in Brasile a quell’epoca, erano costretti a vendere oggetti per strada anziché frequentare la scuola. Ai bambini furono presentati sia classici esercizi scolastici, sia situazioni reali di vendita, ma in modo tale che rimanessero costanti tanto i numeri, quanto le operazioni matematiche da svolgere. Gli autori dello studio riscontrarono l’uso di strategie di calcolo diverse da quelle insegnate a scuola e, poco sorprendentemente, prestazioni migliori nei problemi reali. Una corposa letteratura scientifica supporta l’idea che le competenze siano profondamente legate al contesto specifico in cui le si apprende e applica, alla familiarità con il formato del problema e al linguaggio in cui esso è espresso. Tutto questo deve indurre ancora una volta ad interpretare i dati diffusi dall’OCSE con cautela.
Il dibattito pubblico, su giornali e social media, utilizza da molti anni con leggerezza l’espressione “analfabetismo funzionale”: anche in questo caso, coloro che hanno ottenuto punteggi bassi nella survey in questione sono stati etichettati come “analfabeti funzionali” e, come conseguenza dei risultati ottenuti, sono stati ritenuti particolarmente permeabili alle fake news, al pensiero complottista e alla disinformazione. In primo luogo, è doveroso precisare che l’espressione functional illiteracy non compare mai nel report esteso dei risultati PIAAC-OCSE; inoltre, il costrutto di analfabetismo funzionale è estremamente difficile da definire e misurare (vedi Vágvölgyi et al.,2016[2 ]Vágvölgyi, R., Coldea, A., Dresler, T., Schrader, J., & Nuerk, H. C. (2016). A review about functional illiteracy: Definition, cognitive, linguistic, and numerical aspects. Frontiers in psychology, 7, 1617.; Gronchi & Perini, 2024[3 ]Gronchi, G., & Perini, A. (2024). Limits of functional illiteracy in explaining human misinformation: the knowledge illusion, values, and the dual process theory of thought. Frontiers in Psychology, 15, 1381865.). Per quanto riguarda fake news e fenomeni affini, dalla ricerca psicologica emerge un quadro molto complesso. Un primo importante riferimento è la teoria del doppio processo del pensiero, descritta nel famoso libro di Daniel Kahneman, Pensieri lenti e pensieri veloci[4 ]Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e pensieri veloci. Mondadori. Leggi anche la recensione per MaddMaths! di Ruggero Pagnan.. I pensieri veloci sono intuitivi, automatici e rapidi, si basano su associazioni, emozioni ed esperienze pregresse; al contrario, i pensieri lenti sono processi deliberati, astratti e riflessivi, che richiedono concentrazione. In alcuni casi, è stato osservato che le persone credono a notizie false laddove queste ultime sono in linea con i loro valori (cioè, riferimenti generali condivisi da certi gruppi sociali) e, paradossalmente, la propensione ad usare i pensieri lenti si associa maggiormente alle false credenze perché si è più capaci di utilizzare le proprie conoscenze pregresse per razionalizzare gli aspetti inverosimili. In altri casi, sono proprio i pensieri lenti ad aiutare a individuare false credenze e a inibire i pensieri veloci che, per varie ragioni (valoriali, culturali), potrebbero indurre in errore. Al netto di questo, giocano un ruolo importante altri fattori, come la credibilità della fonte, la frequenza di esposizione a una certa notizia, la coerenza con le altre nostre credenze, nonché la percezione (spesso esagerata) di quanto sappiamo riguardo a un certo argomento. Anche le conoscenze in senso stretto sono un fattore importante, ma non così cruciale: l’idea alla base del cosiddetto modello del deficit, ovvero l’ipotesi secondo la quale lo sviluppo di credenze antiscientifiche dipenda da un deficit di conoscenza, è quanto meno incompleta[5 ]Sloman, S., & Fernbach, P. (2018). L’illusione della conoscenza: perché non pensiamo mai da soli. Raffaello Cortina Editore.. Questa breve sintesi suggerisce come l’idea di un nesso causale tra le basse prestazioni al PIAAC-OCSE e la tendenza alle false credenze sia almeno parzialmente inverosimile. Allo stesso tempo, ha poco senso anche l’idea, che trapela spesso da giornali e social media, secondo la quale se migliorassero i punteggi nell’indagine OCSE, ragionevolmente i fenomeni della disinformazione e diffusione di fake news si ridurrebbero.
In conclusione, il sistema formativo italiano, così come quelli di altri paesi, si confronta con le profonde trasformazioni tecnologiche, sociali e culturali che stiamo vivendo: ciò solleva interrogativi complessi sul tema della conoscenza e della formazione. Questo non vuole significare che “tutto vada bene” o che non vi siano criticità, ma piuttosto che è necessario analizzare i dati con rigore, tenendo conto della letteratura scientifica disponibile, per comprendere appieno le dinamiche in gioco.
In questo senso, confrontare le prestazioni di grandi campioni internazionali può offrire strumenti utili per monitorare l’andamento nel tempo e individuare eventuali anomalie, come variazioni significative all’interno di uno stesso paese o outlier rispetto ad altri contesti (e, l’attuale survey OCSE non rileva niente di tutto ciò). Questi dati devono essere interpretati per quello che sono, considerando i fattori che possono influenzarli e senza attribuire loro un valore assoluto. Non si tratta di mettere in discussione l’utilità di indagini come il PIAAC-OCSE, ma di sottolineare l’importanza di un’analisi critica e informata, che eviti letture semplificate.
Giorgio Gronchi
Giorgio Gronchi è ricercatore presso l’Università di Firenze dove insegna Psicologia Generale e Psicologia delle Decisione. È stato visiting scholar presso la Brown University. Si occupa di pensiero e di modelli computazionali in psicologia. Ha svolto attività di consulenza e formazione relativamente all’interazione uomo-computer e alla psicologia cognitiva applicata.
Note e riferimenti
⇧1 | Nunes, T., Schliemann, A. D., & Carraher, D. W. (1993). Street Mathematics and School Mathematics. Cambridge University Press. |
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⇧2 | Vágvölgyi, R., Coldea, A., Dresler, T., Schrader, J., & Nuerk, H. C. (2016). A review about functional illiteracy: Definition, cognitive, linguistic, and numerical aspects. Frontiers in psychology, 7, 1617. |
⇧3 | Gronchi, G., & Perini, A. (2024). Limits of functional illiteracy in explaining human misinformation: the knowledge illusion, values, and the dual process theory of thought. Frontiers in Psychology, 15, 1381865. |
⇧4 | Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e pensieri veloci. Mondadori. Leggi anche la recensione per MaddMaths! di Ruggero Pagnan. |
⇧5 | Sloman, S., & Fernbach, P. (2018). L’illusione della conoscenza: perché non pensiamo mai da soli. Raffaello Cortina Editore. |
Un articolo illuminante, che ci mette tutti in guardia dal “pensiero veloce” e dall’autolesionismo. Da uno che vive all’estero da 20 anni, posso dire che non mi sembra affatto che l’Italia sia così ignorante rispetto agli altri paesi…anzi!